Ci sono momenti in cui spesso ci si affeziona facilmente a una personalità storica, artistica o letteraria. Occasioni in cui non ci basta semplicemente leggere un libro, ascoltare un intervento registrato o studiare singoli accadimenti nella vita pubblica di queste figure, ma vogliamo saperne di più, soprattutto della loro vita privata, al punto da far crescere in noi una certa ossessione.
Una cosa del genere è capitata a Stefania Marongiu, autrice esordiente che quest’anno ha pubblicato per i tipi di Agenzia Alcatraz e per la loro nuova collana di narrativa italiana Labirinti curata da Sergio Vivaldi il suo romanzo d’esordio La parte della memoria. Storia privata di Saverio Tutino, una sorta di biografia romanzata su Saverio Tutino, partigiano, membro del PCI e fondatore della «Repubblica» di cui quest’anno cade il centenario della nascita.
La trama di «La parte della memoria»
La parte della memoria racconta la figura di Saverio Tutino, partigiano in Val D’Ossola e a Cogne, giornalista per «L’Unità» a Parigi e testimone della rivoluzione comunista cubana di Fidel Castro e Che Guevara. Saverio Tutino viene descritto come «un romantico» il cui «romanticismo si infrange contro la realtà». Fervido comunista, i suoi ideali si scontrano infatti contro i vertici di Via delle Botteghe Oscure, fra cui Giancarlo Pajetta, e lo portano persino a essere definito una spia del KGB e in combutta con le Brigate Rosse. Oltre alla fondazione di «La Repubblica», Tutino è noto anche per l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, il grande tentativo di raccogliere le memorie di un luogo la cui storia è stata cancellata dalla Seconda Guerra Mondiale.
Questa, però, non è solo la storia di Saverio Tutino. È anche la storia di Stefania Marongiu, che impiega otto anni a scrivere questa storia, dal 2014 al 2022, che si innamora e si ossessiona della figura di Tutino dal momento in cui ha deciso di scrivere una tesi di laurea su di lui e sull’Archivio diaristico nazionale. Una scrittrice che tenta di collegare le testimonianze di chi ha conosciuto Tutino e i suoi diari per cercare di conoscere al meglio l’uomo dietro lo scrittore, una persona che ha combattuto fino alla fine per le sue idee anche al costo di scontrarsi con la realtà, ma allo stesso tempo la Storia del nostro paese e della nostra epoca.
«La parte della memoria»: letteratura di scrittori su scrittori
La parte della memoria non è una semplice biografia. Esso è un libro in cui si fondono tre piani: i diari di Saverio Tutino, la sua biografia romanzata e il reportage di Stefania Marongiu del suo tentativo di conoscere in maniera più approfondita la storia dello scrittore e giornalista originario di Milano. Questa struttura a incastro fa rientrare il libro sicuramente in una letteratura dedicata a scrittori dal sapore bolaño che sta diventando sempre più una tendenza italiana.
Non è un caso che Marongiu inserisce in esergo Lo stadio di Wimbledon di Daniele Del Giudice, pioniere di questo tipo di letteratura a cui si ascrivono opere recenti come Grande karma di Alessandro Raveggi (Bompiani, 2020), Tutti gli appuntamenti mancati di Alice Zanotti (Bompiani, 2021) oppure Un uomo sottile di Pier Paolo Vettori (Neri Pozza, 2021). In tutte queste opere, infatti, vi è l’intreccio fra le vite di due scrittori, dove quella dello scrittore oggetto dell’opera viene rimaneggiata ai fini della narrazione per permettere in qualche modo agli stessi autori di parlare di sé.
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La cura del vuoto per la storia di Tutino
In questo senso è da intendersi, dunque, la citazione che l’autrice fa nella nota bibliografica a Il realismo è l’impossibile di Walter Siti. Marongiu fa dialogare per l’appunto i diari di Tutino, le testimonianze e i suoi pensieri arrivando spesso a narrativizzare – alle volte rimaneggiando i diari di Tutino – la vita dello scrittore.
Questa intromissione dell’autrice, segnata sia dalla narrazione in terza persona della biografia dell’autore che dal rimaneggiamento dei diari dove l’autrice in nota ammette di aver persino immaginato dei monologhi, permette alla stessa Marongiu di far rivivere la memoria della persona di Tutino, ma anche dell’epoca in cui è vissuta:
C’è un evento che è come un cuore sepolto che continua a battere, incessante. Tutti credono che così sommerso dalla terra, dalle strade, dai palazzi, dalle piazze e dalle macchine e dai tram e dalle persone che gli camminano sopra, non può di certo essere ancora in grado di battere. E invece batte, pulsa, strepita. Non muore, non morirà mai, la sua memoria equivale a farlo continuare a vivere e a infestare sempre quelle strade, quei palazzi, quelle piazze e quelle persone. Lo immagino, posso pensare di aver ragione. Quello che immagino l’ho sentito raccontare, l’ho letto, l’ho visto nei film. Quello che immagino può essere vero.
Citando Lo stadio di Wimbledon di Del Giudice, Marongiu cerca di capire attraverso la storia di Tutino «dov’è che il vuoto, la cura del vuoto, finisce per trovare la sua compensazione». Cerca di comprendere, infatti, in che modo attraverso la sua scrittura sia possibile riempire gli spazi bianchi delle tracce di Tutino per dare ai lettori un racconto più fedele possibile dello scrittore e al contempo dell’epoca in cui ha vissuto e in cui viviamo.
Saverio Tutino, un romantico che si infrange contro la realtà
Importante, dunque, per Marongiu è far rivivere la storia di Saverio Tutino. Il racconto del rapporto con lo zio Nino, partigiano che ha portato alla salvezza di ebrei al confine con la Svizzera, della Resistenza, del comunismo, della rivoluzione cubana fino a quello degli anni di piombo e del rapporto con Giangiacomo Feltrinelli e del progetto archivistico di Pieve Santo Stefano ci mostrano un Saverio Tutino idealista e sempre alla ricerca della verità.
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Come racconta lo scrittore cubano Norberto Fuentes all’autrice, Tutino era «un romantico», e «il romanticismo si infrange contro la realtà». Lo scrittore e giornalista, infatti, scoprirà a sue spese che la realtà è qualcosa di altro rispetto alle sue idee, e che la verità è e resterà sempre parziale: più ci si avvicina a essa, più ci si allontana. Soprattutto per volere degli altri, in quanto spesso è meglio credere a delle verità parziali per imporre la propria influenza.
Emblema di ciò è lo «spioncino nel buio», espressione che Marongiu usa per parlare di sé e che mette in bocca ai pensieri di Tutino. «Sono molte le cose», scrive l’autrice, «che non ho potuto raccontare, perché nessuno le ha dette, per volontà o per dimenticanza, o perché Saverio non le ha raccontate, perché sono molte le cose che in una vita accadono e rimangono segrete».
Tutino comprende, però, che l’unico modo per cercare di raggiungere la verità è la scrittura, in particolare quella dei diari: i suoi e quelli raccolti per l’Archivio diaristico nazionale. Scrivere è un modo per riempire gli spazi bianchi lasciati dalla Storia, quelli che la storiografia ufficiale ci impedisce di colmare. Scrivere la propria vita e rimaneggiando quanto si è vissuto, soprattutto, è lo strumento che ci resta da usare affinché tutto possa sopravvivere ai posteri.
Stefania Marongiu e l’ossessione per le tracce di Tutino
Qui vi è il punto di contatto fra Stefania Marongiu e Saverio Tutino: nella scrittura, che unendosi alle verità parziali riesce attraverso la finzione a propagare la memoria di ciò che è stato. Tornando a Del Giudice, la scrittura è la cura del vuoto che compensa gli spazi bianchi della Storia. Marongiu insegue la storia di Tutino «con una furia segreta che non confessa nemmeno a se stessa», consapevole che la sua vita sia «un luogo incerto costellato di punti di arrivo che però, appena toccati, rivelavano la loro consistenza poco solida».
A leggere queste righe sembra tornare in mente quanto scrisse Pier Paolo Vettori in Un uomo sottile, libro in cui il protagonista Paolo – un io autofinzionale dell’autore – si mette alla ricerca di Daniele Del Giudice, qui chiamato semplicemente DDG: «la verità non è un punto d’arrivo ma un processo di espansione della conoscenza». Come il protagonista di Un uomo sottile, anche l’autrice giungerà presto alla conclusione che la verità non è mai stato un fine, ma un mezzo: i frammenti di verità su Tutino le servono semplicemente per fare esercizio di memoria non solo di una persona, ma di un’intera epoca, che se non ricordati rischiano di scomparire.
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La scrittura come esercizio di memoria
Per ricollegarci alla verità come strumento, il già menzionato Norberto Fuentes fa capire a Marongiu che «la vita è tutt’altra cosa», che è impossibile raccontare la vita di una persona per quello che veramente è stata, perché è impossibile raccontare una verità autentica. L’autrice capisce che, anche se parziale, la ricerca della verità su uno scrittore e quello che ha vissuto è un modo per farlo rivivere e sottrarlo all’oblio della Storia:
Più cercavo, più venivano fuori pezzi, ricordi, persone vive e altre morte, vite passate ma dotate ancora di una tale concretezza nel presente da lasciarmi stupefatta. Cercare di tessere i fili della vita di qualcuno serviva a qualcosa che non apparteneva a maldestri tentativi di storiografia, o a una meticolosità archivistica, quanto solo ed esclusivamente alla memoria come atto che sancisce che un’esistenza è stata vissuta, che è accaduta. Solo a questo. Mi è servito per meravigliarmi e, anche, credo, per salvarmi. A un certo punto, per tutte queste ragioni, mi sono seduta e mi sono messa a scrivere.
Raccontando di Saverio Tutino, Stefania Marongiu ha raccontato anche se stessa. Come lo scrittore di cui parla, l’autrice è giunta alla conclusione che la scrittura è un modo per raccogliere i frammenti della verità e unirli di modo da raccontare qualcosa che si è vissuto, e che dunque è esistito. Scrivere significa urlare la propria esistenza nel mondo e sottrarre al passare del tempo vite ed eventi che senza memoria rischierebbero la definitiva scomparsa.
«La parte della memoria»: storie che ci passano attraverso
La parte della memoria (acquista) di Stefania Marongiu aggiunge un nuovo tassello a una letteratura che racconta di altri scrittori ricostruendo le loro verità per parlare di se stessi e del mondo circostante. Parlando di Saverio Tutino, Stefania Marongiu ha compreso come la scrittura nella sua finzione sia la verità: la testimonianza che ciò che narriamo è esistito veramente, e nel raccontarlo e ricordarlo lo si sottrae all’oblio della Storia riscattandolo al contempo dalle ingiustizie subite.
Cosa è rimasto? Sei rimasto tu. E sono rimasta io. Tutto intorno a me pareva sfaldarsi, tutto intorno a noi continua a sfaldarsi e a confondersi, cosa resiste se non una storia? Che poi non è una. È una che ne contiene molte. Hanno creato il mondo, hanno creato loro stesse raccontandosi. Queste storie sono altro da me, eppure sono me. Sono passate attraverso di me. Si sceglie una storia per se stessi così da passare dall’altra parte, per fendere la propria vita con il colpo di una rivoluzione.
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