«Storie del pavimento»: il viaggio secondo Gherardo Bortolotti

Un esperimento letterario per raccontare il senso della vita

8 minuti di lettura
Storie del pavimento

Nel gennaio del 2019 la Tic Edizioni inaugura il primo volume della seconda serie della collana ChapBooks. Gherardo Bortolotti, già componente del comitato di redazione, ha l’onore di aprire le danze con Storie del pavimento. Autore versatile, da sempre dedito alla prosa, si è avventurato anche nel campo poetico. Negli anni si è imposto come scrittore d’avanguardia, sperimentando con il linguaggio e le tecniche narrative, manifestando una particolare attenzione verso l’opera di Italo Calvino. Attento studioso, ha collaborato con diverse riviste e case editrici, ponendosi sempre nell’ottica dell’originalità senza scadere nei cliché dell’ambiente.

L’anno scorso, sempre per la Tic Edizioni, è uscito anche Low. Una Trilogia che raccoglie per la prima volta i suoi tre romanzi, pubblicati tra il 2009 il 2016: Tecniche di basso livello, Senza paragone e Quando arrivarono gli alieni. Parti 236-341.

Omaggio a «Viaggio intorno alla mia camera»

Storie del pavimento è un piccolo ma intricato esperimento letterario. Bortolotti, però, non gioca con le parole in maniera esibizionistica, anzi, soppesa ogni sillaba, componendo così i vari periodi con una cura tale da renderlo un artigiano della parola. Il libro si ispira dichiaratamente – come si evince dalla citazione in epigrafe – al Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre del 1794. Entrambi i lavori si compongono di quarantadue parti; tuttavia, la differenza rimane notevole.

In Viaggio intorno alla mia camera vengono descritti gli oggetti contenuti nella propria abitazione per, appunto, quarantadue giorni. De Maistre evoca vecchi ricordi, intessendo fantasiosi dialoghi con se stesso e improvvisando storie degne della migliore tradizione letteraria. È una sorta di romanzo autobiografico, quasi un memoir, che serve a de Maistre per rielaborare e comprendere la propria esistenza. Un libro che gioca anche sul piano strutturale: evocando ricordi su ricordi alla vista di semplici oggetti, anticipa le avanguardie e le sperimentazioni che saranno riprese e maggiormente rielaborate nel XX secolo.

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Bortolotti, rendendogli omaggio, improvvisa un diario, redatto dal 17 febbraio al 30 marzo dell’anno 1790. Ogni giorno è accompagnato da una più o meno breve riflessione che non supera mai la pagina di lunghezza. Fin dall’inizio ci accorgiamo che l’anno di riferimento è del tutto arbitrario e conferisce un forte senso di alienazione alla vicenda: vengono citati – oltre che il volume di de Maistre – Le città invisibili di Calvino, automobili, fotografie ecc. Onnipresenti anche le Macchine dell’appartamento che potrebbero tranquillamente riferirsi ad alcuni elettrodomestici (ad esempio la Macchina del giorno 18 febbraio che «sembrava il sospiro di un Mostro inquieto» potrebbe essere una stufa oppure una lavatrice).

La trama di «Storie del pavimento»

L’autore narra le vicende di Paolino che si muove in un panorama singolare: un appartamento. Paolino è un bambino che percorre un viaggio iniziatico all’interno di quelle poche stanze che, tuttavia, nascondono un intero mondo. Il bimbo è anche vittima naturale delle arrabbiature di Paparone (l’accrescitivo non è casuale), le cui grida finiscono addirittura per deformargli il viso. Un’immagine da cartone animato, però cruda e spietata, tanto da infondere terrore e angoscia. Per gli appassionati di cinematografia, il pensiero va verso il violento e zotico Randy di Dumbland (regia di David Lynch, 2005). È quindi naturale che il bambino trovi riparo nel proprio mondo, ma anche le sue costruzioni mentali subiscono delle repentine svolte di un’angoscia esistenziale tale da sfiorare le crisi d’identità.

Paolino – già piccolo di per sé – è ridotto a un essere minuscolo, le cui fughe delle piastrelle somigliano a fiumi quasi impossibili da guadare. La copertina di Enrico Pantani è un altro tassello emblematico: una mano che indica, quasi a toccare, un piccolo uomo stilizzato. Paolino, nel suo viaggio fantastico, incontra diversi personaggi privi di nome, ma identificati semplicemente con una loro caratteristica (tutti rigorosamente con la lettera maiuscola, come l’Omino dell’Ombra). Il lettore si trova così catapultato in una fiaba sì sentimentale, ma fortemente sofferta, capace di ragionare sul senso delle azioni e della vita. Paolino è immerso in un cosmo dominato dai Grandi che detengono solo apparentemente il potere dell’appartamento. In realtà, mente i Grandi sono presi dalle risa per una battuta dello Zio, regnano «i figli di confuse vicende altrui, venuti dalle spiagge della luce e della dissoluzione, […] gli Dèi dell’appartamento».

Lo stile di Bortolotti

La prosa poetica si insinua in maniera naturale, spontanea, all’interno del percorso di crescita e comprensione di Paolino. Le stagioni si susseguono in modo frenetico e gli anni passano solo in apparenza. Paolino si rende conto che i Grandi sono accompagnati da un’ombra, denominati i Gemelli neri «di ferocia e ignoranza». L’Omino dell’Ombra, quasi un eremita che tutto sa e nulla dice, non risponde alle domande timorose del protagonista.

La certezza è solo una: nel sonno arriveranno i Gemelli neri e lo uccideranno ancora. E quell’ancora viene evidenziato nella pagina del 18 marzo, come a indicare che la sofferenza del protagonista si propaga in ogni giorno della sua vita, come il Prometeo incatenato. Per Paolino, però, tutto vive, respira e perfino gli oggetti inanimati hanno una propria sensibilità che proprio come nel Viaggio intorno alla mia camera evocano riflessioni inaspettate. E a differenza di Peter Handke, il dolore non è come un’elica che gira solamente senza tirare. In questo caso, il dolore porta alla maturazione e alla comprensione.

Come anticipato, Storie del pavimento (acquista) assume i contorni di un viaggio iniziatico, un’analisi precisa e spiazzante dell’infanzia con una narrazione matura e poetica. A tratti, questo piccolo capolavoro ricorda il romanzo L’uomo che si innamorò della luna di Tom Spanbauer del 1991. Tuttavia, Bortolotti evidenzia maggiormente il lato fantastico, accompagnando il lettore in un viaggio intriso di sottotrame, parole non dette e suggestioni. Il mondo dell’adolescenza e poi degli adulti si affaccia quasi minacciosamente, ma con la redenzione di Paparone e la sensibilità di Paolino tutto è possibile.

Questa è la città invisibile sia di Bortolotti che di tutti noi.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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