«Far sì che una persona si guardi dentro quando non è nelle condizioni di farlo può essere una cosa molto pericolosa» scrive Rachel Aviv in Stranieri a noi stessi, una frase che riassume quello che sarà per il lettore l’impatto con le storie racchiuse in questo libro.
Parlare di salute mentale è sempre un rischio, soprattutto quando ci troviamo in un terreno di inesattezze senza confini. Può essere un racconto che scorre in una irrefrenabile discesa, o una estenuante salita. In questi alti e bassi, il corpo e la mente sfuggono al nostro controllo, ci tradiscono, rivelano che, sì, siamo stranieri anche a noi stessi.
«Stranieri a noi stessi», sei tormentate esistenze
Rachel Aviv parte dalla sua esperienza personale, la sua storia di «presunta l’anoressica più giovane d’America». A soli 6 anni viene ricoverata perché smette di mangiare.
Non avevo mai sentito parlare di anoressia. Quando mia madre mi riferì la diagnosi, la parola mi suonò come una tipologia di dinosauro.
Nel libro pubblicato da Iperborea e tradotto da Claudia Durastanti, il primo punto fondamentale nel raccontare la malattia è il nome che a essa viene dato: un nome che per qualcuno è salvezza e per altri diventa identità, e oltrepassa la persona provocando la perdita di un sé e l’annullamento dell’io.
«Solo perché giocavo a ping pong, mangiavo un pezzo di pizza, o sorridevo, o posso aver detto una battuta, o fatto gli occhi dolci a una bella ragazza, non significa che fossi in grado di sostenere davvero dei sentimenti di piacere.» Proseguì: «Mi dicevo: “Sono vivo, ma non sto vivendo.”»
Per tutti i cinque i profili la giornalista del New Yorker scegli di alternare studi ed esperienza: raccoglie informazioni attraverso i diari dei protagonisti, i loro blog. Non affronta esclusivamente l’esperienza personale della malattia ma anche gli effetti che essa ha sulle persone che vivono attorno alla persona affetta da malattia mentale.
Queste persone, oltre l’autrice, sono Ray, Bapu, Naomi e Laura. Infine, nel prologo, Hava: una ragazza più grande ricoverata nella stessa clinica di Aviv e che lei arriverà a idolatrare. Una ragazza per cui «essere magra era come entrare in uno “stato di completa e assoluta euforia”».
Ray è un nefrologo che per molti anni della sua vita si è dedicato al successo, finché entra in una strana «forma di melanconia» dovuta al non sentirsi mai all’altezza. Bapu è una casalinga bramina che, satura del suo rapporto familiare tossico, sceglie di sposare il misticismo indù. Naomi è una donna nera condannata per omicidio dopo essersi gettata in un fiume con i suoi due figli neonati (era convinta di essere seguita da assassini razzisti). Laura è una studentessa di Harvard che si sente intrappolata nella vita di una sconosciuta – «Al mattino dovevo motivarmi per entrare in doccia, cambiarmi e uscire interpretando Laura Delano» –, ha un disturbo bipolare eccessivamente trattato a livello farmacologico: 19 diversi tipi di farmaci in 14 anni di vita.
Un saggio empatico
In Italia il tema della malattia mentale ha acquisito importanza, soprattutto dopo la pandemia, ma il bonus psicologo non sembra avere la stessa rilevanza per il Governo: se al bonus psicologo 2022 erano stati destinati 25 milioni di euro, i fondi sono scesi a 5 milioni di euro per il 2023 e a 8 milioni di euro per il 2024. È possibile fare richiesta dal 18 marzo e fino al 31 maggio 2024, ma come leggiamo sul Sole 24 Ore «sono 175mila le richieste arrivate all’Inps per il bonus psicologo a soli due giorni dall’avvio delle domande.»
Le storie che Rachel Aviv ha scelto di raccogliere sono una fotografia della pratica psichiatrica, dei suoi limiti, del suo rapporto con le etnie e la cura farmaceutica. Se da un lato la malattia mentale delle donne nere sembra non avere alcuna importanza, dall’altro lato la malattia di una studentessa di Harvard – il ritratto della perfezione – sfocia nell’abuso di farmaci. Queste sei tormentate esistenze hanno una comune finale disperazione: non capire più cosa fare per riuscire a stare meglio.
È stupefacente accorgersi di quanto poco basterebbe per vivere, o per sfiorare, vite radicalmente diverse.
Queste storie compongono un saggio, che potremmo definire empatico, sulle solitudini che spinge a guardare da un’angolazione diversa la storia di una persona che cerca di sopravvivere a se stessa. Stranieri a noi stessi (acquista) di Rachel Aviv è un’indagine sulla mente e sull’animo umano, sull’inquietudine che ci portiamo dentro.
Consigliato a chi trova sempre il tempo per osservare, comprendere la storia di una persona in tutte le sue fragilità.
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