Wisława Szymborska nasce nella Polonia centrale nel 1923 e, appena ventenne, comincia a scrivere brevi racconti e componimenti in versi. È proprio nella poesia che mostra il maggior talento, che le permette di vedere pubblicati in breve tempo i suoi primi lavori su alcune riviste letterarie. Nell’immediato ha invece meno fortuna al momento di pubblicare un’intera raccolta, poiché i temi trattati nelle sue poesie sono considerati distanti dai dettami del regime comunista.
La poetica di Szymborska si caratterizza per una grande attenzione per la quotidianità, anche attraverso la scelta di un linguaggio molto semplice. Questa linea stilistica non deve però essere presa per banalità. L’autrice, infatti, non manca di trattare temi etici complessi (come la tortura, nell’omonima poesia) o di attualità: celebre è, per esempio, la poesia che scrive in occasione dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.
Nel 1996 diventa la settima donna nella storia a vincere il Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: «per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana». Proprio l’ironia, infatti, è l’espediente che spesso Szymborska impiega per parlare con apparente leggerezza di temi impegnati. E che ha rivolto anche a sé stessa e alla sua opera in Ad alcuni piace la poesia, affermando che questa può essere apprezzata forse da due persone su mille.
Muore a Cracovia nel 2012.
Per iniziare: «Scrivere il curriculum»
Che cos’è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.Conta più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
È la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
Scrivere il curriculum è la poesia ideale per cominciare a conoscere Wisława Szymborska. Il punto di partenza, infatti, è qualcosa di fortemente radicato nel quotidiano e, all’apparenza, quanto di più distante dalla poesia: la risposta a un annuncio di lavoro e l’invio di un curriculum. Ma, sembra dirci Szymborska, l’ispirazione è nascosta nella quotidianità molto più spesso di quanto si creda.
«Che cos’è necessario?» si chiede la poetessa nel primo verso, dando l’idea di scrivere un’insolita guida. Il curriculum è il biglietto da visita con cui proviamo a “fare colpo” su un perfetto sconosciuto, nel tentativo di essere assunti in azienda. «È d’obbligo concisione e selezione dei fatti», ci ricorda Szymborska. Dobbiamo fin da subito giocare tutte le nostre carte per apparire i candidati perfetti e sbaragliare la concorrenza. Abbiamo pochissime righe a disposizione per mostrarci nella nostra luce migliore.
Fatta questa premessa, Szymborska ci accompagna nella paradossalità della scrittura del curriculum. Ciò che va scritto è infatti totalmente diverso da ciò che siamo davvero. I luoghi della nostra vita, da paesaggi legati a ricordi ed emozioni, si trasformano in indirizzi, freddi e impersonali.
«Di tutti gli amori basta quello coniugale, e dei bambini solo quelli nati»: Szymborska suggerisce che dentro di noi portiamo anche le persone che abbiamo amato in passato ma che, per un motivo o per un altro, non sono più al nostro fianco. Persone diverse da quella che abbiamo finito per sposare, ma che non per questo hanno ricoperto un ruolo meno importante nella nostra vita. Eppure in un curriculum non c’è posto per loro, per quanto abbiano contribuito a renderci quelli che siamo. Un discorso simile vale per i figli: valgono solo quelli nati, non contano nulla quelli morti prima di venire al mondo o semplicemente sognati.
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«Sorvola su cani, gatti e uccelli, cianfrusaglie del passato, amici e sogni». Ovvero su tutto ciò che ci sa strappare un sorriso, che ci rincuora, che ci spinge ad andare avanti. Tutto cassato. E alla fine di noi cosa resta, allora? Forse nulla, se il nostro curriculum – e quindi la nostra vita – non viene giudicato abbastanza interessante. In questa poesia che si fa denuncia della disumanità del mondo del lavoro moderno, Szymborska conclude che il destino di chi viene bollato come indegno è solo uno: finire in un distruggidocumenti.
Per proseguire: «ABC»
Ormai non saprò più
cosa di me pensasse A.
Se B. fino all’ultimo non mi abbia perdonato.
Perché C. fingesse che fosse tutto a posto.
Che parte avesse D. nel silenzio di E.
Cosa si aspettasse F., sempre che si aspettasse qualcosa.
Perché G. facesse finta, benché sapesse bene.
Cosa avesse da nascondere H.
Cosa volesse aggiungere I.
Se il fatto che io ero lì accanto
avesse un qualunque significato
per J. per K. e il restante alfabeto.
Un componimento breve e all’apparenza molto semplice, in linea con la poetica di Wisława Szymborska. In ABC l’autrice polacca si lascia ispirare dall’elemento forse più banale della lingua: l’alfabeto. Ancora una volta, qualcosa che abbiamo sempre sotto gli occhi e al quale non prestiamo più attenzione. Vengono messe in scena nove situazioni in cui è immediato ritrovarsi. Pensieri che tutti noi, almeno una volta, abbiamo avuto, tutti legati alla stessa frase iniziale: «Ormai non saprò più». ABC è una poesia di discorsi rimasti in sospeso, di dubbi destinati a non essere mai fugati. Un omaggio ai rapporti interrotti senza clamore né risposte chiare, ma in cui la rottura non fa meno male, anzi.
La particolarità della poesia è che i protagonisti di queste piccole riflessioni non sono persone con un nome e un cognome precisi, ma semplici lettere. Ed è così che ABC acquista universalità: sono i lettori a dare un nome e un volto a ognuno dei personaggi-lettera messi in scena da Szymborska. Ognuno di noi, in cuor suo, sa bene chi sono stati nella sua vita A., B., C., D., E., F., G., H., I., J., K. e il restante alfabeto. E ognuno di noi sa ancora meglio che non potrà mai conoscere i reali motivi celati dietro le loro azioni.
Innamorati di Wisława Szymborska: «Ogni caso»
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
Ogni caso è senza dubbio tra le poesie più celebri di Wisława Szymborska, nonché l’ideale per innamorarsi in via definitiva di questa straordinaria poetessa. Si tratta di un testo fortemente ambiguo, fin dai primi versi: «Poteva accadere. Doveva accadere». Che cosa? Ai lettori non viene rivelato, con tutta probabilità per poter applicare anche qua lo stesso espediente visto in ABC: una deliberata vaghezza, che facilita l’immedesimazione. Sappiamo solo che Szymborska ci presenta una situazione casuale, ma in qualche modo voluta dal destino, che ha determinato la salvezza della persona cui si rivolge.
La vita, sembra suggerirci la poetessa Premio Nobel, è un susseguirsi di casualità che ci hanno portato a essere qui e ora. Le persone che fanno parte della nostra esistenza ci hanno incontrato grazie a un concatenarsi di eventi che non riusciremo mai a districare. E sono proprio queste eventualità a esserci presentate, quasi spasmodicamente, nella seconda strofa della poesia. È anche la fortuna – protagonista di un’anafora alla terza strofa – a metterci del suo, aiutandoci in modi che spesso non comprendiamo davvero, come sottolinea l’enigmatica frase «Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio». Un’immagine che allude quasi al rocambolesco viaggio del piccolo Mosè sulle acque del Nilo, narrato nella Bibbia. È la fortuna, il destino, forse qualcuno di più grande a determinare la sua salvezza, e la nostra.
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«In seguito a, poiché, eppure, malgrado», scrive Szymborska alla quarta frase. Queste locuzioni e congiunzioni (rispettivamente una temporale, una causale, un’avversativa e una concessiva) ci ricordano che nemmeno la lingua, con le sue rigide regole, è in grado di spiegare l’evento inevitabile cui la poetessa dedica il componimento.
Fino ad arrivare, al termine di questo percorso burrascoso, alla strofa conclusiva, la più potente. L’autrice si rivolge con tre domande al suo interlocutore, per poi farsi tutt’uno con lui negli ultimi versi: «Ascolta come mi batte forte il tuo cuore». Si crea così un’inattesa, sofisticata sovrapposizione di punti di vista (e di battiti cardiaci), ma con tutta la semplicità apparente della narrazione di Wisława Szymborska.
In copertina:
Artwork by Luigi Mallozzi
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