«Invece di andare a scuola, la maestra entrò nel bosco.» È il 1970, nel biellese la maestra Silvia è scomparsa. Ha scoperto che Giovanna, la sua giovane alunna, è morta dopo essersi buttata dalla finestra. Le scarpe sul davanzale sono l’ultima cosa rimasta di lei. Poche ore prima del suicidio, la maestra Silvia aveva parlato al telefono con le madre, l’aveva avvisata delle continue assenze della figlia Giovanna. Il ricordo di quella chiamata, delle dita che compongo il numero, della voce della donna, sono un forte dolore da cui sente il bisogno di fuggire. La maestra Silvia, invece di andare a scuola, entra nel bosco e da lì non fa più ritorno.
Si attacca ai suoi alunni più del dovuto, non so come dire. In maniera morbosa. Cioè, sono tutto quello che ha. Ed è una bella cosa eh, una maestra del genere. Lo sappiamo tutti. Ma poi succede una disgrazia e vai fuori di testa.
«Tornare dal bosco» e la storia dietro la scomparsa
Nel romanzo di Maddalena Vaglio Tanet, Tornare dal bosco (Marsilio, 2023), la maestra Silvia si trova intrappolata in una sorta di limbo tra la vita e la morte, circondata di fantasmi e paure, di pensieri e ricordi. Fugge forse da un dolore troppo grande da portare da sola, da un piccolo paese di montagna dove tutti si conoscono e ciascuno ha un ruolo già scritto. Dalla cecità e dai sensi di colpa.
Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet è il romanzo finalista al Premio Flaiano Internazionale narrativa 2023 e candidato nella dozzina del Premio Strega 2023, proposto da Lia Levi con la seguente motivazione:
La storia narrata è ambientata in un paesino di montagna certo più aspro che confortevole. Un giorno la tragedia: Giovanna, una scolara di undici anni si è suicidata e Silvia, la sua maestra, è sparita senza lasciare tracce. Tutto il paese si affanna alla sua ricerca ma senza risultato. La troverà per caso Martino un bambino di città trasferito a forza, per motivi di salute, in quella zona montana. Silvia, accucciata in un capanno abbandonato nel cuore del bosco, muta, stracciata, è ridiventata creatura della terra allo stato primigenio. Sarà Martino a portarle acqua, cibo e a riuscire a farla di nuovo parlare mantenendo la promessa di non rivelare a nessuno il suo nascondiglio. Alla fine della vicenda tutto si scioglierà in un finale che, però, non risolverà del tutto i tratti misteriosi di certi inestricabili comportamenti umani. Ma l’elemento che per me è risultato vincente è stata la doppia sfaccettatura dello stile letterario con cui la Vaglio.
Attraverso le voci dei vari personaggi, l’autrice racconta il legame tra la maestra e la piccola Giovanna, come il legame familiare e la convivenza in un paese dove la maldicenza è un vizio tatuato sotto gli occhi. Parole, ricordi, ipotesi nutrite di nulla, di sentito dire, di pregiudizi su una donna come Silvia, sola. Intanto, Anselmo, il cugino di Silvia, si mette alla ricerca e non si dà pace: teme di trovare il suo cadavere da qualche parte.
Silvia, attraverso dei flashback, non fa che pensare ai momenti trascorsi con Giovanna, ai tanti aiuti che le ha fornito per spronarla a non essere nuovamente bocciata. I sensi di colpa sono forti, e l’equilibrio mentale di Silvia barcolla. Il suo non è uno smarrimento solo fisico quanto mentale.
La maestra riconobbe su di sé l’aria fredda della sera, e fu quella sensazione familiare, restituendole un briciolo di lucidità, a metterla nelle condizioni di soffrire davvero.
Nel bosco non ci sono regole, non ci sono sentenze. Il silenzio diventa rifugia, la morte è un’amica fedele. Silvia lascia che la sua lingua diventi terrosa e il suo corpo si mimetizzi con le radici e il fango. Attende la fine, si abbandona alle regole del bosco. A salvarla da questa follia è Martino.
Martino ha dieci anni e, a causa dell’asma, ha dovuto lasciare Torino per trasferirsi in paese. Non è nella classe della maestra Silvia, ma sa chi è. La scuola elementare di Biella è piccola. Come nelle avventure di Tex Willer o Sandokan, si addentra nel bosco, scorge un capanno abbandonato e trova Silvia. Non dice a nessuno di averla trovata, mantiene il segreto. La mantiene in vita. Le consente di prendersi il tempo necessario per vivere ai margini e mettere a tacere i sensi di colpa che porta con sé. Martino diventa il custode del suo corpo in attesa che Silvia ritorni in sé e ritorni ad accettare la vita. E i ruoli si ribaltano: la maestra, di per sé figura accudente e accogliente, viene accudita e accolta da un ragazzino.
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Una storia di possibilità e di fantasmi, ispirata a una vicenda vera
Assistere da un’angolazione diversa, da lettore, al rapporto tra adulti e bambini lascia una sensazione che comprime i polmoni. I più piccoli non vengono ascoltati ma oppressi da responsabilità che stentano a comprendere perché nessuno glielo ha spiegato, perché nessuno si è preso del tempo per comunicare con loro. Giovanna si butta dalla finestra senza comprendere che dopo quel salto non tornerà davanti alla porta di casa, non tornerà nella sua cameretta con i suoi fratelli. Giovanna non lo sa perché non conosce l’irrimediabile morte.
L’esordio narrativo di Maddalena Vaglio Tanet, attraverso una scrittura precisa e limpida, è ispirato a una vicenda vera, che riguarda la cugina del nonno dell’autrice. Tornare dal bosco (acquista) è una di quelle vicende nascoste in famiglia, sentite nei discorsi qua e là, lette nei giornali e messe insieme in una storia in cui però i vuoti sono più delle rivelazioni. Nel mezzo, un tentativo di guardare il mondo da un’angolazione diverso: dallo sguardo semplice dei bambini. Maddalena Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro.
Un romanzo intimo, corale, consigliato a chi come i bambini non ha paura di perdersi tra le paure e i segreti acquattati nel bosco. Una storia dedicata a chi si è perso tra gli sbagli a cui è difficile porre rimedio e da cui non c’è più ritorno. Per scoprire che una via, al contrario, esiste. Basta solo mettere a tacere la voce dei sensi di colpa, ascoltare la purezza e la semplicità dei bambini e comprendere che sbagliare non è una fine ma un punto di partenza.
E tornare dal bosco, diversi.
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