Cicatrici americane

«L’ultima cosa bella sulla faccia della terra» di Michael Bible

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«L’ultima cosa bella sulla faccia della terra» recensione libro Bible

Ogni storia inizia da una voce. Un personaggio prende vita sulla pagina e inizia a raccontare. Uno scrittore ascolta e si mette al suo servizio. La scrittura, per Micheal Bible, cattura proprio questo inaspettato incontro tra voci, al limite tra finzione e realtà.

Così è nato L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, il magnetico romanzo con cui il giovane autore statunitense ha esordito tra gli scaffali italiani per Aldephi, con la traduzione di Martina Testa.

Una fiamma inestinguibile

Ad Harmony, una cittadina asfittica dell’arido Sud degli Stati Uniti, la vita di provincia scorre indisturbata sotto un’opprimente nuvola di noia e rassegnazione.

La gente non faceva altro che lavorare ed andare in chiesa. Io restavo sveglio in piena notte a pregare che scoppiasse la guerra nucleare. Poi mi resi cono che nessuno avrebbe mai sganciato una bomba su Harmony. Non succedeva mai niente. Non cambiava mai niente.

D’improvviso, durante una celebrazione qualsiasi di una domenica qualsiasi, la vita della cittadina cambia per sempre. L’ordinario flusso degli eventi viene bruscamente interrotto. Mentre tutti i fedeli sono raccolti in preghiera, un ragazzo fa il suo ingresso nella chiesa del paese. Con sé ha un fiammifero, una tanica di benzina e un peso interiore insostenibile. In un gesto disperato e maldestro, prova a darsi fuoco. Il rogo lo lascia illeso, ma brucia con violenza le esistenze di venticinque persone. Per Iggy, il ragazzo della tanica, non resta che il carcere e una inevitabile condanna a morte. Per Harmony, una ferita aperta, inferta da un incendio che non si è mai veramente estinto.

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Un dolore corale

Diciotto anni dopo, Harmony non si è ancora liberata dall’ombra del lutto. Gli abitanti continuano ad interrogarsi senza mai trovare una risposta. Le loro voci di dolore si mescolano e si attorcigliano incessantemente in un angoscioso lamento corale.

Ciascuno di noi ha perso qualcosa quel giorno ed è un lutto che ancora ci portiamo dentro. Ma la cosa che più ci ha fatto male è stata la nostra ignoranza, la nostra incapacità di concepire un gesto così brutale. Un’esistenza privilegiata che ci proteggeva dal vedere la vera natura delle cose. Abbiamo provato a rimettere insieme i pezzi del tempo, a trovare un modo per tornare indietro.

In disparte, tra le mura del carcere, risuona la voce di Iggy. Abbandonato tra le macerie del suo mondo, si arrovella nel rimpianto. Racconta la sua versione della storia e ripercorre un passato di dipendenze, relazioni complicate e sentimenti inconfessabili. «Forse ero così insensibile che volevo provare qualcosa, anche solo il dolore altrui». Il suo lamento denuncia il tormento di una Costante, un vuoto esistenziale asfissiante che lo accomuna agli altri abitanti di Harmony. La sua voce non è poi così distante da quella di Paul, Cleo, Farber e Joe. Anche loro, proprio come Iggy, sono stati traditi dalla vita e si ritrovano a fare i conti con l’amarezza della parola “fine”.

Erano tutti sopravvissuti a tempeste diverse e naufragati sulla stessa riva.

«L’ultima cosa bella sulla faccia della terra»

Ne L’ultima cosa bella sulla faccia della terra (acquista), Bible restituisce un ritratto brutale di una comunità alla disperata ricerca di un riparo dalla realtà. Una storia polifonica di resistenza quotidiana, in cui esistenze ferite s’intrecciano in una realtà intrappolata in un eterno presente. «Ciò che mi interessa principalmente non è la sostanza del tempo, la sua struttura lineare o non lineare, ma la sua percezione», ha suggerito l’autore in un’intervista.

Lo stile secco e il ritmo cadenzato danno vita ad una prosa essenziale che assume le forme di una lunga poesia intrisa di una solennità biblica. Il romanzo viene costruito pezzetto per pezzetto da voci diverse che finiscono per fondersi in un flusso di coscienza corale nel tentativo di ricomporre un’esistenza ridotta in cenere dalla violenza dell’incendio. Tra le rovine, però, sembra esserci ancora spazio per la bellezza. Forse la vita vibra ancora. Forse non è mai troppo tardi per sperare nell’ultima cosa bella sulla faccia della terra.

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Costanza Valdina

23 anni, nata a Perugia, studia letteratura americana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La descrivono come un’instancabile lettrice, un’incurabile cinefila e una viaggiatrice curiosa. Negli anni si è innamorata della scrittura e del giornalismo, ispirata dall’ideale che “pensieri e parole possono cambiare il mondo.”

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