Rappresentare il dolore per la perdita di qualcosa di molto caro è un compito difficile per la letteratura, ma soprattutto per gli scrittori che si devono confrontare con tale sofferenza. È pure vero, come scriveva Nadia Terranova in Addio fantasmi (Einaudi Stile Libero, 2018), che si riesce «a tollerare il dolore solo scrivendone» e trasformandolo in invenzione è possibile «trovare quella pace che nella quotidianità manca».
Confrontarsi con il dolore spesso richiede il ritorno ai luoghi della propria vita, ma anche un confronto serrato con gli oggetti del passato. Questa idea sottende Vascello fantasma (Giulio Perrone Editore, 2021), la nuova silloge poetica di Marietta Salvo, poetessa messinese Premio Montale 1989.
«Vascello fantasma»: ricordare il dolore
Ti scrivo dal mio ampio lenzuolo
appoggiando alla brezza i coralli
del mare
ritrovando le angosce inquadrate per due
come avevo lasciato,
S’è perduto l’incrocio felice tra me e le parole
Questi versi della poesia Ti scrivo sono l’ideale per dare una panoramica generale dell’ultima raccolta poetica di Marietta Salvo. La poetessa inscena il dolore di un io lirico di fronte all’incapacità di confrontarsi con l’assenza delle persone e dei luoghi a lei cari. Gli oggetti e i luoghi che ritrova al ritorno sono pieni di sofferenza, e le parole fanno ancora più male, in quanto incapaci di riempire il vuoto.
L’unico modo, però, per confrontarsi con il dolore è quello di abbandonarsi a quest’ultimo attraverso i ricordi di ciò che non c’è più. Per farlo, Marietta Salvo racconta di Messina, la sua «Città di Sabbia», gli affetti perduti e i segni sul corpo che le hanno lasciato creando una lingua che colma i silenzi e dà forma alla memoria.
«Vascello fantasma»: la ricerca della salvezza
Vascello fantasma è una raccolta poetica incentrata sul dolore ma anche sul tentativo da parte dell’io lirico di salvarsi costruendo un ponte fra passato e presente in grado di colmare il vuoto lasciato dalla perdita. Come scrive nella prefazione il critico e professore ordinario di letteratura italiana all’Università di Messina Antonio Di Grado:
[…] c’è chi come Salvo s’è imbarcato su un “vascello fantasma” per peregrinare ai confini del possibile come l’Olandese volante, alla ricerca di una salvezza per sé e per tutti che forse solo la poesia, dando nuovi nomi e altro senso al mondo, può assicurare […].
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Quello che compie Marietta Salvo secondo Di Grado è «una navigazione tra larve domestiche e inospiti plaghe in compagnia d’un convitato di pietra, “compagno segreto” da subire e mistero da interrogare: la morte, […] insostituibile misura del vivere». Il viaggio dell’io lirico di Salvo è un percorso negli spazi interni della casa e della memoria, attraverso una Sicilia le cui case riecheggiano del vuoto dell’assenza, cercando di stabilire un legame con la morte fino ad accoglierla come parte del proprio vissuto.
«Vascello fantasma»: la parola poetica salvifica
In questo viaggio nel proprio dolore, Salvo ha bisogno di una lingua nuova, dolorosa e complessa capace di dar vita ai fantasmi del passato. Come scrive nel suo componimento Problemi:
Giochi di rimandi echi sensuali
di attraversamento
la liquidità si insinua nelle compatte
membra tese
e lingue rinnovate stabiliscono
un tempo del mare lì dove c’erano
solo crateri e vuoto. E i cerchi si stringono
concentrici e si allargano
e torna con un orgasmo acceso
il sole
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La lingua poetica di Salvo è ciò che rinnova la vita nel momento in cui l’io lirico cerca di ridare forma ai momenti passati, ai luoghi e alle persone che non ci sono più. La lingua della poetessa messinese ristabilisce la presenza del mare, i colori del territorio e i sentimenti scaturiti dal contatto con i corpi, perché è solo ricreando le atmosfere e le sensazioni del passato e penetrando la propria memoria che si può trovare una salvezza dal dolore presente:
Ripescare tra le onde
un pensiero perduto
che si condensa in gelo.
E tornare. Dopo anni tornare.
Messina, città di sabbia e ombre
Questi versi tratti da Le ali della Musa danno un’ulteriore chiave di lettura per capire al meglio la poetica di Vascello fantasma. Confrontarsi con il proprio dolore significa in primo luogo ritornare: ai luoghi fisici del passato, ma allo stesso tempo ai ricordi di chi non c’è più. Il ritorno fisico dell’io lirico inscenato da Marietta Salvo è quello in Sicilia, in particolare a Messina, a cui la poetessa dedica i seguenti versi:
Come un buco lunare si perde stralunata
di curve diffusa di lagune fumosa
senza sogni
mai allagata per vuoto d’acqua nuda
d’ombre e di riverberi.
Messina è una città le cui acque del mare sono nere, il profumo dei tigli «pesante». Messina «è impietosa e sconfigge è un’amazzone in pietra», ma anche «una sirena che chiama / area triste tra il Tirreno e le stelle», «terra di transito» che riverbera di un passato nostalgico che nel presente hanno lasciato solo ombre di un vuoto difficile da colmare, e il cui ritorno è doloroso perché il territorio è strettamente legato alla dimensione della perdita e della mancanza:
Rintrona guerra si alza come
foschia leggera vento di mare
è Lucrezia la strada del destino incisa
da mercanti sommersa nel fango da viandanti
perduta invece la lumiera antica e al fianco
aperto di collina est si incolla turpe Catena
città deserta sgolati mostri da un rivolo
ad un altro ombre al vagheggio mentre la bella
con torri sulla fronte impalma.
«Ricostruire la mappa e il diario di bordo»
L’io lirico trova soltanto «bufera e case come spiedi vuoti»: di certo non un ritorno connotato positivamente. L’io è tornato, parafrasando Giorgio Caproni, dove non era mai stato, ovvero a un posto che non ha più nulla dell’essenza passata, poiché cambiato con il passare del tempo. Lo scorrere del tempo, infatti, ha portato via con sé gli affetti ma anche i luoghi cari all’io, costretto a ricostruire tutto a partire dal ritorno ai propri ricordi, come scrive Salvo nell’omonima poesia Vascello fantasma:
C’è un tramonto e giardini
nascosti in verticale.
Ci stacchiamo dal molo lenti
come bestioni in letargo.
inizia cogli occhi la grande ricerca
del comandante. E ricostruire
la mappa e il diario di bordo.
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Una volta tornato, l’io lirico deve ristabilire la presenza di ciò che ha perduto. L’io inizia a colmare il vuoto iniziando, per esempio, dai luoghi esterni, in particolare il bar con le sue «insegne illeggibili» e i ragazzi che «vivono come attesa di notti», e via Faranda, «strada deserta», «porta sbrecciata periferia dal centro sfiorata» e luogo di «infanzia sfrenata sconoscenza d’amore».
Convivere con l’assenza
Ricostruire l’assenza, però, richiede anche lo scandaglio degli spazi interni, come succede nella lirica La vecchia casa:
Spazi segreti intercapedini zone franche dal dolore
percorsi celati che diventano faglie protettive
dalla malinconia della memoria dalla dismemoria
che a onor del falso
vorrebbe corrispondere al vero
e le pagine si innalzano dentro il ruvido silenzio
la notte si spalanca sottile si posa appianata.
E le pagine si innalzano
pochi selvaggi lambiscono l’abisso.
La casa diventa per l’io lo spazio in cui si può recuperare quanto perduto. In questo luogo bisogna abituarsi all’assenza, perché all’interno di spazi come la propria abitazione ci sono ancora tracce di vita passata che possono rivivere nei ricordi e nelle parole dell’io. La casa è lo spazio dove per esempio si fa sentire di più l’assenza dell’amato, ma restano i segni della vitalità del corpo attraverso le «capacità del corpo mio a ritrovarsi / lucido e in lotta / per le tue brame». Sempre gli spazi della casa sono quelli che ricordano all’io persone ormai scomparse: il balcone è lo spazio dove l’io aspetta il bacio serale della madre, mentre lo specchio è dove ritrova la presenza della sorella.
Ogni cosa è «ricordo / e taglio e lama fredda / e scuro sangue», perché «niente torna». L’io prova dolore perché è consapevole che nulla torna, ma paradossalmente proprio questa consapevolezza gli permette di risignificare i luoghi, di riempirli di nuova vita che nasce dal vuoto:
Com’era la tua casa della lunga infanzia?
È in atto una cessione dei luoghi
al futuro.
Il dolore nebbiolina che stride
tra lidi rumori e calori
di troppi corpi esposti.
I luoghi dell’io sono «uno spazio ritmato dal niente», dove davanti gli si pone «la magia del nulla ponderato». L’io deve imparare a convivere con l’assenza colmandola con nuove parole e gesti che sanno dar forma alle tracce del passato. Solo così può riportare in vita ciò che non c’è più: ripercorrendo i luoghi del passato, ripetendo i gesti e le sensazioni che hanno lasciato tracce negli spazi del suo vissuto.
«Vascello fantasma»: dare corpo all’assenza
Le poesie di Vascello fantasma (acquista) ci mettono di fronte alla difficoltà più grande di tutte: quella di dare forma al vuoto e all’assenza; di convincersi che quello che si è perso non torna più e che l’assenza è ciò che determina le nostre vite. Marietta Salvo, però, lavora per superare il dolore dell’assenza creando una lingua difficile da interpretare, che mescola la corporeità, l’assenza e la memoria, dimostrando, dunque, come proprio il doloroso confronto con il vuoto e la mancanza siano necessari per rinnovare la propria vita.
Ometti verbi e mi incateni
impietri i nomi e lasci
lumi tra un ricordo e un seme.
Come la striscia della cometa
lo scrigno ovale si apre e chiude
col tratteggio.
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