Quanto siamo consapevoli delle decisioni che prendiamo di pancia? Il più delle volte, non molto. Ma quando una scelta, anche la più drastica, viene dal ventre, abbiamo davvero bisogno di rifletterci? Margherita ha scelto di morire il giorno del suo ventiseiesimo compleanno, ma non c’è riuscita del tutto.
Mi sono uccisa ma non sono morta.
Mi hanno chiamata Margherita, come i fiori di campo. Quelli che si strappano via o si soffocano sotto passi disattenti.
Strappati e soffocati.
Di «Ventre», incontri e scontri
Il romanzo d’esordio di Giulia Della Cioppa, Ventre (Alter Ego Edizioni, 2023), si svolge interamente nella stanza di un ospedale, i ricordi sono una finestra dalla quale Margherita osserva la vita che ha tanto odiato e, suo malgrado, la tiene stretta alla Terra.
Si trova in uno stato di coma irreversibile, sospesa in un limbo tra vita e morte. Attorno a lei pochi personaggi, due imprescindibili: la madre apprensiva e l’infermiera Bianca. Poli opposti: bianco e nero, vita e morte. Figure femminili con cui confrontarsi, presenze che le ricordano costantemente di essere ancora viva.
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Il nodo del rapporto con la madre si scioglie incontro dopo incontro: è una donna apprensiva, sempre accanto al suo letto, che ama e manipola. Una madre troppo sola che allontana e richiama a sé, che forse solo adesso si rende conto di non essersi presa cura di sua figlia. Quello con Bianca, invece, è un rapporto, se tale si può definire, di sottomissione: l’infermiera la pulisce, accudisce – sorveglia – e poi le parla, la tocca e… trasforma le sue cure in puro sadismo su un corpo che non risponde.
Mi morde la vita. Bianca mi morde la vita, il ventre e l’inguine, l’ascella, il petto, la gola, la spalla. Mi pungola. La sua smania di vedermi pronunciare un segno di vita, una reazione di rabbia o di dolore, un movimento fisiologico.
«Neanche così senti?».
Mi mette sul lato. Mi morde la schiena, la scapola, la spina dorsale. Affonda i denti nella carne che trova, sottile in quelle zone, il gomito, il polso, il dorso della mano. Mi sfianca e mi smuove.
«Non puoi non sentire. Io sono la persona che meglio conosce la pelle, fiorellino. Non puoi non sentire».
Non conosci la mia meglio di me.
Ritorna sul mio corpo. È sudata, umida intorno alle labbra, respira con l’affanno. Gli occhi infossati nella pelle. Ha il viso stanco, disperato. Mi punta la luce negli occhi, preme il pulsante per aumentare la luminosità, di un grado, di due.
«Sbatti gli occhi due volte».
La guardo e non lo faccio.
«Margherita, ti chiami così».
Sì, mi chiamo così.
«Sbatti gli occhi due volte».
Una e due.
Hai vinto.
Dopo i baci e le carezze, Bianca esplora il corpo di Margherita attraverso tagli e incisioni, è la carnefice di una tortura che fa sentire viva la protagonista proprio adesso che soffoca di vita, come quella boccetta di Tavor bevuta a goccia e che non ha sortito l’effetto sperato. Margherita vede, sente e, soprattutto, pensa. E aspetta di morire come un fiore di campo attende di essere reciso, decapitato, vittima di un “m’ama, non m’ama”. Per Margherita c’è un prima e un dopo, ma rinascere vuol dire ritornare in vita anche quando quella di prima non lo era? E questa è una conseguenza che la madre non può cambiare, se la certezza viene dal ventre.
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Rinascerei solo a patto di farlo in una dimensione senza tempo. Vorrei il presente, non mi interessano più i perché. Un suicida ha perso il gusto di indagare le cause, le cause hanno a che fare con il passato e infatti io vorrei questo adesso, il presente. Vorrei che Bianca rimanesse qui dov’è con le sue mani di rami secchi. Le sue mani, vorrei rimanessero sul mio corpo. Vorrei oscurare il tempo. Il mio corpo ne è la traccia da sempre. Vorrei ripulirlo di tutto.
Vertigine e terrore
Attraverso una voce spigolosa e ispida, Margherita invita nelle tenebre di una solitudine che non ha mai desiderato rischiarare per nessuno, che Bianca ha spezzato con un bisturi, piantandosi lì: tra corpo e pelle, tra anima e sangue. Ventre è un esordio potente che immerge il lettore in una dimensione da osservatore, come Margherita. Attraverso questa prospettiva dimostra come nelle stesse situazioni della protagonista non esisterebbe altra scelta da prendere. Tanti punti di partenza, tanti spunti, per un’autrice che con questo esordio è pronta a dimostrare molto di più, molto di meglio.
Giulia Della Cioppa, attraverso uno stile di scrittura tagliente ed essenziale, disseziona l’abisso umano di “non detto” di un corpo spento, analizza il passato e il presente di Margherita. L’autrice, come il lettore, s’interroga sul perché la protagonista non vuole un futuro, e magari una risposta l’ha trovata. O forse, resta nel limbo di risposte mancate che solo in un libro trovano la giusta dimensione di essere. Un racconto lungo, spietato, consigliato a chi nella vita e nella morte non cerca qualcosa in cui credere, ma la vertigine e il terrore di un innamoramento.
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