Storie di morti e di padroni

«Pelleossa» di Veronica Galletta

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«Pelleossa» di Veronica Galletta

In Fumisteria (Sellerio, 2015) Fabio Stassi fa dire al narratore, un ex contrabbandiere balbuziente ora galeotto, le seguenti parole: «le storie sono come i vapori di una pentola: profumano l’aria, ma non si vedono. In poco tempo se ne svaniscono, e nessuno che se ne ricordi». Ci sono storie come quelle della strage di Portella della Ginestra del 1947, raccontata appunto in Fumisteria, che sono sempre rimaste tagliate fuori dalla Storia ufficiale, taciute per molto tempo con la conseguente impossibilità di rendere giustizia alle vittime attraverso la memoria.

Ci sembra di rileggere Fumisteria in Pelleossa, nuovo romanzo di Veronica Galletta uscito per i tipi di minimum fax dopo il successo – con tanto di finale al Premio Strega 2022 – di Nina sull’argine. Già finalista al Premio Neri Pozza 2017 per le opere inedite, Pelleossa offre ai lettori una controstoria, ovvero il racconto di vittime di terre espropriate e di sfruttamento che, se non narrata, rischia di essere cancellata dalla storiografia ufficiale.

La trama di «Pelleossa»

Siamo in Sicilia, nel paese immaginario di Santafarra, fra il 1943 e il 1947. Sullo sfondo imperversa la Seconda Guerra Mondiale e l’arrivo degli americani in Sicilia. Protagonista di questa storia è Paolino Rasura, conosciuto come Ncantesimo, in quanto «a volte rimango a pensare, e se mi pàrrunu, se accade un fatto…non me n’adduno». Paolino è figlio di Felice Rasura, detto il Saracino, un pescatore, e di Lucia, donna dedita alla casa e alla famiglia, ma soprattutto con la testa rivolta al figlio Calogero, partito per la guerra e che forse non tornerà mai più e la cui assenza aleggia in casa Rasura come un fantasma.

Stufo del suo soprannome, Paolino decide di affrontare una prova di coraggio: andare nel giardino di Filippu, considerato il pazzo del paese. Quella che doveva essere una semplice prova di maturità, non solo si trasformerà in una grande amicizia, ma anche nell’occasione per Paolino di conoscere qualcosa in più del suo paese e della sua comunità, da sempre animata da grandi segreti e tradimenti.

Le storie sepolte di Santafarra

Sebbene sia successivo a Le isole di Norman, ma antecedente a Nina sull’argine, ed essendo anche molto diverso fra i due, Pelleossa contiene a livello tematico e contenutistico qualcosa dei due romanzi. Con il primo, infatti, non solo condivide l’ambientazione siciliana – anche se l’Ortigia del primo romanzo in realtà è vera, a differenza di Santafarra –, ma anche il tema delle relazioni umane e della verità. I personaggi, infatti, interagiscono fra loro soprattutto nel momento in cui devono raccontarsi certe verità e segreti. Spesso, però, il loro rapporto risulta conflittuale, in quanto lo svelamento della verità fa emergere una sorta di colpa comune nelle ingiustizie inferte e subite.

Con Nina sull’argine, invece, il romanzo condivide l’aspetto sociale. Se nella storia di Caterina/Nina si parla del lavoro e del rapporto conflittuale fra soggettività e prestazione, in Pelleossa non solo abbiamo l’aspetto del lavoro, come nella storia di Zi Ntoni e della solfara, ma anche quello dello sfruttamento dei contadini e del loro rapporto con i padroni, datori di lavoro assenti che sfruttano e privano i contadini dei loro beni a loro piacimento.

«Pelleossa» nella narrativa degli ultimi

A differenza degli altri due romanzi, Pelleossa non solo ha un’atmosfera più fiabesca, data, ad esempio, dalla presenza delle teste parlanti scolpite da Filippu, ma presenta anche una lingua sperimentale, un misto fra italiano e siciliano che dà al tutto una patina di oralità.

Non è stato un caso, dunque, che si è tirato in ballo precedentemente Fabio Stassi, in quanto come editor della narrativa italiana di minimum fax ha dato vita a un tipo di narrativa degli ultimi in cui Pelleossa rientra assieme ai libri di Remo Rapino e a Sangue di Giuda di Graziano Gala. Una narrativa fatta di storie sepolte e narrate da personaggi ai margini della Storia che con il loro sguardo dal basso ci danno una controverità di ingiustizie e tradimenti.

Il destino dietro all’ingiuria

Paolino Rasura e la sua famiglia hanno molto in comune con il Giuda di Gala o con il Bonfiglio Liborio di Rapino. Anche loro, infatti, si ritrovano vittime delle dicerie di paese, pronti ad additarli con soprannomi che hanno il fine di privargli della propria identità e di conferirgliene una nuova che diventa tale solo in funzione al loro ruolo nella comunità:

La custione delle ingiurie di famiglia gli pareva cosa complicata. Sentiva che c’era tutto un gioco, in quello che mostravano e nascondevano, specialmente se, per nascondere, decidevano di mostrare, ma non capiva di più. E Pelleossa non sapeva proprio cosa stava a significare.

Paolino ben presto comprende che «c’era sempre qualcosa di altro, dentro all’ingiurie», ovvero delle storie sommerse dalla storia ufficiale che per vergogna o paura si finisce per non raccontare, negando allo stesso tempo l’ingiustizia e il dolore di chi l’ha subita. La pazzia di Filippu, per esempio, si scoprirà essere dovuta alle delusioni che quest’ultimo ha subito andando in America, mentre il soprannome Mangiacipudda di nonno Silvestro nasconde, invece, una storia di nobili proprietari terrieri che hanno privato i contadini delle proprie terre.

La terra è di chi rimane

I soprannomi e le ingiurie dietro di essi raccontano un segreto che si tramanda di generazione in generazione e che è pronta a diventare una storia da essere narrata: quella di una comunità, quella di Santafarra e quella siciliana in generale, «che ogni volta che qualcuno la doveva liberare, prima Garibaldi, poi l’Americani, […] poi si imprigionava di nuovo, senza saperlo», una comunità che resta sempre implicata nelle dinamiche di padrone e servo, di sfruttatore e sfruttato.

Queste storie di sfruttamento non sono solo quelle di Zi Ntoni alla solfara, ma anche dei fratelli Cosimo e Manlio Lena, del padre di nonno Silvestro e di Angelo Foglia: persone che combattono per la propria terra, cercando di ottenere la libertà, ma che alla fine si scontrano con i potenti, intenti solo ad accumulare terra e ricchezza a scapito di chi con la terra manda avanti una famiglia.

Grazie alla sua amicizia con Filippu, Paolino comprende l’importanza di tramandare queste storie, e lo fa attraverso le teste scolpite da Filippu: «scolpire ferma il tempo e le persone, se no cangiano. E quando cangiano, cangiano sempre peggio». Scolpire, scrivere e raccontare per far sì che queste tragedie rimangano nel tempo, per dire che l’ingiustizia è sempre esistita, per evitare che l’umanità peggiori e possa ripetere gli errori e i crimini del passato.

Raccontare ciò che si cela dietro l’ingiuria

Pelleossa (acquista) non solo è forse il romanzo più fiabesco e linguisticamente parlando siciliano di Veronica Galletta, ma è anche quello più politico e sociale, dove per politica si intende il ruolo che le storie che raccontiamo assurgono nella nostra società. Un romanzo che attraverso gli occhi di un bambino ci illustra come dietro a ogni ingiuria si nascondano delle storie sommerse di ingiustizia e dolore che aspettano che qualcuno le narri per far sì che ci sia giustizia, e per far sì che chi è già morto una volta non muoia di nuovo e chi ha subito un’ingiustizia non la subisca ancora.

La famiglia dove stava aveva riscattato la terra dai padroni, prosegui Calogero, e Paolino pensò al Marchese di Ferula, e alla storia dei Mangiacipudda, e la raccontò a Calogero, scoprendo che sa frati la sapeva già, e poi pensò che forse quei fratelli di cui ci contava ce l’avevano nel nome il loro destino, un nome di animale bello e fiero, mentre loro erano i Pelleossa, e chi vuole essere solo pelle e ossa, come i morti dintra al tabbuto, o i cristiani buttati a mare, dimenticati da tutti. O saracini, e il nero, come il bianco, non è nenti, manco un colore, figuriamoci un’idea per mettersi assemi, pensava Paolino, e anche che la storia dei fratelli che assieme lavoravano bene doveva contarcela a Filippu, accussi gli dimostrava che non tutti i frati erano uguali, e pensando pensando si accorse che suo fratello aveva finito di parlare e lo guardava in silenzio.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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