«Un borghese piccolo piccolo»: una (tragi)commedia all’italiana

Una (tragi)commedia italiana dove il più mediocre ha un male da nascondere

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Un borghese piccolo piccolo

«Una lente d’ingrandimento puntata sulla bruttezza senza riscatto che regna nel cuore del nostro consorzio civile, ma anche sulla tenace rabbia di vivere che persiste in fondo ad un desolato svuotamento di ragioni vitali». Così Italo Calvino definì Un borghese piccolo piccolo, romanzo d’esordio del 1976 di Vincenzo Cerami (1940-2013), scrittore e sceneggiatore romano allievo di Pier Paolo Pasolini.

Un borghese piccolo piccolo è stato recentemente ripubblicato da Garzanti, che dal 2020, anno dell’ottantesimo compleanno dell’autore romano, sta riportando in libreria uno scrittore noto soprattutto per la sua collaborazione con Nicola Piovani e Roberto Benigni. Il film La vita è bella, infatti, è sceneggiato da Cerami, che ne ha firmato anche il soggetto assieme a Benigni.

La trama di «Un borghese piccolo piccolo»

Noto per la riduzione cinematografica omonima del 1977 a cura di Mario Monicelli, Un borghese piccolo piccolo racconta la storia di Giovanni Vivaldi. Impiegato ministeriale prossimo alla pensione, Giovanni deve ora pensare a sistemare suo figlio Mario, diplomato ragioniere e in procinto di partecipare al concorso.

Il protagonista decide di chiedere aiuto al suo capufficio, il dottor Spaziani. Giovanni, allora, arriverà a compiere una serie di azioni fantozziane e kafkiane allo stesso tempo; situazioni comiche che poi si riveleranno essere tragiche nel loro essere paradossali sullo sfondo di un’Italia in preda alla lotta armata e alle promesse di benessere del boom economico.

«Un borghese piccolo piccolo»: l’italiano medio divenuto mostro

Per parlare di Un borghese piccolo piccolo, sarebbe meglio leggere quanto scrive Nicola Lagioia nella prefazione all’edizione Garzanti del romanzo:

Un borghese piccolo piccolo sta a Fantozzi come il Salò di Pasolini alla Grande abbuffata di Marco Ferreri. La tragedia è la stessa, trasfigurata o nuda a seconda che le si voglia far indossare ancora la maschera del comico.

Lagioia, inoltre, aggiunge che «Un borghese piccolo piccolo diventa un romanzo sulla fragilità dell’italiano medio a cui, sprovvisto di tutto, non resta che diventare un mostro». Il romanzo di Cerami rappresenta una situazione comica che poi si rivela a poco a poco nella sua tragicità facendosi grottesca. Il tutto è narrato attraverso una prosa visiva che deve molto all’attività di sceneggiatore di Cerami e che sa creare l’attesa nel lettore.

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Il romanzo dell’autore romano, quindi, riesce a essere leggero ma perturbante allo stesso tempo. L’esplosione di Giovanni, dovuta – ed è questa l’unica anticipazione che si darà – alla morte del figlio durante una rapina, arriva a poco a poco, e ci mette di fronte a una verità, la stessa che Lagioia, ma anche Calvino, sottolineano. Di fronte al vuoto valoriale e all’assenza di senso civico, di fatti, l’italiano medio si fa egoista, indifferente agli altri, e dunque solo.

L’Italia di Giovanni Vivaldi

Il comportamento di Giovanni Vivaldi rappresenta lo spirito dell’Italia di allora: un paese che sperava in una vita migliore, specie dopo il boom economico, ma che vive sotto la paura della lotta armata. L’Italia del protagonista è quella dei magheggi e degli imbrogli dove «contavano soprattutto due categorie di persone: “quelli che avevano una cultura” e “quelli che avevano le conoscenze”», in cui bisogna solo pensare a se stessi:

“Pensa a te, solo a te, – gli rispose il padre, seduto sulla cima della sua saggezza. – In questo mondo non hai il tempo di fare sì con gli occhi e no col capo… è il tempo che basta al tuo nemico per pugnalarti alla schiena. Non esitare un momento, vai per la tua strada, non voltarti indietro…”

Cerami rappresenta quell’Italia in maniera feroce e sardonica, dove quelli che detengono il potere sono persone peggiori del grigio Vivaldi. Quando il protagonista deve entrare nella loggia massonica su invito del dottor Spaziani, Giovanni è «convinto di entrare in un luogo sacro e invece si trovò nell’ufficetto mezzo marcio di uno spedizioniere di modestissima statura finanziaria», dove le prove di iniziazione sembrano uscite da un film di Fantozzi, come la prova della Morte, consistente nel bere un semplice bicchierino di Amaro Averna.

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I colleghi del protagonista vengono descritti come persone intente a discutere di trivialità invece che lavorare, che passano il tempo a vomitare «la loro rabbia per tutte le ingiustizie di questo schifoso mondo pieno di froci, di comunisti, di drogati e di ministri corrotti» o, come il dottor Spaziani, a grattarsi la forfora dalla testa.

Vivaldi homini lupus

Giovanni Vivaldi si rende conto di vivere in una realtà dove bianco e nero si compenetrano. Anche chi sembra buono, in realtà, ha qualcosa da nascondere, come dimostra la seguente osservazione del narratore nel momento in cui il protagonista di trova in commissariato per riconoscere l’assassino del figlio:

Guardò attentamente lo spazio intorno, per un attimo, con gli occhi sbarrati e la bocca appena dischiusa. Gli passarono davanti e si incrociarono criminali trascinati da poliziotti, poliziotti con la faccia di criminali che trascinavano delinquenti con la faccia da poliziotti.

In Cerami, e nel personaggio di Giovanni Vivaldi, alberga un pessimismo antropologico che si esprime con un riso amaro e con quello che Pasolini, nel definire il romanzo del suo allievo, dichiarò essere «un neo-crepuscolarismo romano sciatto e atroce». È emblematica in questo senso la scena iniziale del romanzo, quella della pesca domenicale, dove Giovanni stringe la canna da pesca «come se fosse un collo da strangolare» e colpisce con violenza la testa del pesce con il sasso.

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Da vittima a carnefice

Questo gesto di violenza racchiude la rabbia del protagonista che sale a poco a poco fino a sfogarsi sull’assassino del figlio, che Giovanni riconosce, ma non denuncia, perché sa che l’ergastolo che gli darebbero non è la punizione giusta per la morte del figlio. Giovanni non nutre più speranza nello Stato e nel suo paese: ormai sa che tutto ciò che desidera – una vita tranquilla, successo e serenità – non arriveranno mai.

Giovanni può solo fare una cosa: diventare come gli altri. Da vittima Giovanni decide di diventare carnefice seviziando e torturando l’assassino del figlio e tenendo tutto nascosto nella sua casa al lago e nella sua Fiat 850, simboli di un’Italia che ha raggiunto il proprio benessere rinunciando all’onestà, all’altruismo e all’amore verso gli altri, che come la signora Amalia, la moglie di Giovanni, decide di voltare la testa dall’altra parte vivendo come se niente fosse.

«Un borghese piccolo piccolo»: il romanzo dell’italiano medio

Quando il ragionier Ugo Fantozzi incontra Joseph K., il risultato è Giovanni Vivaldi, l’italiano medio per eccellenza il cui grigiore è sintomo di un male sociale, di un egoismo e un’indifferenza che alimentano la nostra solitudine. Vincenzo Cerami ha scritto con Un borghese piccolo piccolo (acquista) un vero e proprio affresco dell’Italia di ieri e di quella di oggi: il paese delle mezze verità, dove la persona più mediocre è quella che fa più male.

Giovanni solo conosceva i segreti del suo animo. La naturalezza con la quale avevano ripreso a considerarlo lo disturbava. Potevano veramente credere che egli era lo stesso di sempre? Avrebbe potuto un uomo come lui lasciarsi intrappolare così dalla vita, come se niente fosse stato? In un primo momento Giovanni si era illuso di essere in qualche modo risarcito; non sapeva né come né quando, ma conosceva bene il perché. E allora, dentro, come uno zabaione, gli montava una specie di corpo estraneo, una forza irrefrenabile che aveva bisogno di esprimersi. Ma era troppo baccalà per dare seguito ai suoi istinti che, invero, sortivano dalla testa più che dalle viscere.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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