Recentemente, è balzata agli onori della cronaca la storia di Gisella Cardia, la santona della Madonna di Trevignano, ancora sotto indagine da parte della Chiesa, le cui apparizioni della Madonna, la statuetta che lacrima sangue o miracoli strani come la moltiplicazione degli gnocchi sono abbastanza controverse, e molto probabilmente hanno truffato un sacco di persone. Un caso analogo è anche quello di Paolo Catanzaro, ora Sveva Cardinale, che fra Bari e Brindisi ha truffato molti fedeli con le sue presunte visioni della Madonna per poi, con i soldi dei fedeli, cambiare sesso e tentare l’ingresso nel mondo dello spettacolo.
Cosa ci insegnano queste storie di santoni e mistici? Il fatto che molte persone hanno bisogno di punti di riferimento, di una consolazione che le istituzioni non sono capaci di dare, ma allo stesso tempo che c’è gente che professa il bene, promette miracoli, ma solo per proprio tornaconto personale. Una storia del genere la racconta anche Giorgio Benedetto Scalia nel suo romanzo d’esordio Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo, romanzo finalista alla XXXV Edizione del Premio Italo Calvino edito da Pessime Idee.
La trama di «Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo»
Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo è incentrato sulla figura del protagonista omonimo. Orfano di entrambi i genitori e cresciuto assieme alla nonna Anna, Saro è un uomo di poco più di cinquant’anni, ed è il pescivendolo più conosciuto della Vucciria, il mercato di Palermo noto per i suoi colori, la sua frenesia e i suoi odori, soprattutto quello del pesce. Oltre al pesce, Saro tiene in particolar modo alle sue abitudini, soprattutto alla cura dei suoi capelli neri e folti, che agli occhi degli altri lo rendono simile a Bobby Solo.
Durante una ordinaria giornata al mercato, però, una colomba assalta il protagonista strappandogli una ciocca di capelli. Disperatamente in cerca di un modo per farseli ricrescere, Saro perde a poco a poco tutti i capelli, e sulla nuca, vicino alla fontanella, si nota una voglia rappresentante il volto di Gesù Cristo. Da quel momento in poi, Saro diventa a sua insaputa una specie di santo profano: idolatrato dalla povera gente in cerca di aiuto, ma sfruttato dall’avidità di chi dovrebbe, in realtà, fare veramente del bene.
«Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo»: un’agiografia fra sacro e profano
Il romanzo di Giorgio Benedetto Scalia si muove come una vera e propria agiografia, ovvero un’opera intenta a narrare le vicende della vita di un santo. L’aspetto agiografico emerge esplicitamente durante un dialogo fra Saro e Don Diego, il parroco della chiesa della Natività della Vergine della Vucciria nel momento in cui, dopo la lamentela di Saro sui capelli che non ricrescono a seguito di un tentativo di miracolo su di sé, vi è un parallelismo fra il protagonista e Sant’Agostino e le sue Confessioni:
“U Signuruzzu fece le cose dritte, venne u diavolo e i sturciu. Ti perdono. Nemmeno i santi sono perfetti, è giusto accussì. I santi troppo santi non sono uomini per gli altri cristiani e questo non va bene perché li fa allontanare dalla speranza di una loro conversione. ‘Rubai quello che avevo in abbondanza e di qualità molto migliore, e del resto non era per goderne che volevo rubarlo, ma per il furto stesso, per il peccato’, disse Sant’Agostino e poi diventò quello che fu”
Già il titolo del romanzo racchiude due parole chiavi dell’agiografia: la “vita” e il “martirio”. A livello narratologico, l’aspetto agiografico si riflette da un lato con la decisione da parte dell’autore di raccontare le vicende con una prospettiva in terza persona con focus interno su Saro Scordia per evidenziare meglio la sua evoluzione da pescivendolo a “santo”, e dall’altro con l’uso dei verbi al passato, che assieme al dialetto siciliano dà al tutto un tono folkloristico e fiabesco allo stesso tempo.
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L’aspetto agiografico si riflette, inoltre, anche a livello di struttura del romanzo, che segue grossomodo lo schema delle fiabe teorizzato da Vladimir Propp. Seguendo lo schema Propp, la storia presenta: la fase di preparazione, che corrisponde alle vecchie abitudini di Saro come pescatore; la rottura dell’equilibrio con l’apparizione del colombo che strappa i capelli di Saro; le peripezie, che portano il protagonista a compiere i suoi miracoli; il ristabilimento dell’equilibrio, che coincide con il suo vero e proprio martirio.
Saro Scordia: la parodia della santità
Oltre a seguire il modello agiografico, Giorgio Benedetto Scalia sembra farne una parodia per raccontarci le luci e ombre di tutti quei santoni che si professano profeti e portatori di miracoli sfruttando a proprio beneficio le superstizioni popolari da un lato e la mancanza di punti di riferimento dall’altro, con il protagonista che rappresenta sia l’ingenuità dei fedeli ingannati da presunti miracoli sia i santoni che sfruttano l’innocenza dei primi.
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Saro Scordia sembra un personaggio uscito dalla penna di Luigi Pirandello, molto simile al Rosario Chiarchiaro di La patente, che stufo delle dicerie superstiziose sul suo conto decide di voler essere riconosciuto come iettatore per sfruttare la superstizione del suo paese e guadagnarci su. Allo stesso tempo, Scordia ricorda moltissimo un personaggio poco noto della letteratura mondiale, ma comunque interessante: Raju, protagonista di Raju della ferrovia dell’indiano R. K. Narayan (titolo originale The Guide, prima edizione italiana 1990), che da guida turistica e commerciante truffatore diventa guida spirituale costretto a vivere fino alla fine la sua truffa con un digiuno che dovrebbe portare al compimento di un miracolo, ma che molto probabilmente porterà alla sua morte.
Come Chiarchiaro e Raju, Scordia si ritrova inconsapevolmente in certe dinamiche che gli affidano il ruolo di santo, ma a differenza dello iettatore e della guida turistica indiana il protagonista del romanzo di Scalia accetta passivamente il suo ruolo, soprattutto facendosi abbindolare da Don Diego, colui che agisce per proprio tornaconto personale sfruttando la presunta santità di Saro: “Questa non è una storia”, dice il parroco, “è realtà vera. È il tuo destino, te lo leggo negli occhi. Devi solo starti quieto, nascondi la paura e lasciami fare. Il tuo futuro è gloria!”
Elementi della santità in Saro Scordia
La santità accidentale di Saro Scordia è dimostrata dalla presenza di certi elementi che richiamano sì la santità, ma che nella loro profanità fanno emergere ancora di più l’aspetto parodistico del romanzo. Innanzitutto, forti sono i richiami a Gesù. Saro, infatti, vive in via Rosario, e il numero civico rimanda all’età in cui Cristo è morto, ovvero 33. Per gran parte della sua vita, inoltre, il protagonista ha vissuto con nonna Anna, omonima di Sant’Anna, la nonna di Gesù e madre di Maria.
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Come Gesù, Saro non solo compirà un miracolo – anche questo accidentale – simile a quello di Lazzaro, ma in un certo senso si ritrova a “risorgere” come Cristo, un evento che Don Diego interpreta come segno del destino: “Ti successe lo stesse che a Gesù”, afferma il parroco, “sei risorto! In tutta la Bibbia e pure dopo, nessuno oltre a Lui, ha mai fatto una cosa così prodigiosa”.
Saro ha degli elementi che lo accomunano anche a un altro santo, San Francesco D’Assisi. Entrambi, ad esempio, hanno iniziato il loro cammino verso la santità come mercanti e commercianti. Se da un lato, però, San Francesco ha rinunciato a tutti i suoi beni per sua volontà, Saro, invece, perde tutti i suoi soldi perché li ha spesi in prodotti per farsi ricrescere inutilmente i capelli. Un altro episodio importante è quello della cagnolina Kalsa, simile all’episodio francescano della predica agli uccelli, in cui l’animale si avvicina a Saro non per una predica, ma per l’odore di frutta martorana.
La profanità della santità di Saro Scordia
Infine, un altro elemento che ci permette di accostare Saro a San Francesco è il confronto con la Chiesa e i suoi rappresentanti. Se San Francesco incontra Papa Innocenzo III per far riconoscere il suo ordine monastico, l’incontro, invece, che Saro avrà con l’arcivescovo di Palermo Vito Terranova prima e con Papa Bernardo poi instillano nel giovane dei dubbi sulla sua presunta santità. Il momento della consapevolezza di Saro arriva proprio quando la sua santità dovrebbe essere confermata dal Papa, che invece alimenta in lui tutti i dubbi che ha cominciato a nutrire a poco a poco nel corso del romanzo:
“Saro, mon frère”, gli disse il Papa. “Tu sai pourquoi les vescovo Vito mi ha chiesto di riceverti? Les gens ti chiamano santo, il tuo parroco dice che lo sei e les gens sembrano guarire nel corpo e nello spirito. Ma tu, credi di esser santo? Guardati dentro. Qui es-tu?”
Paradossalmente, la santificazione di Saro avviene proprio a seguito di questa epifania, che condurrà Saro al suo martirio. Ricordando i suoi miracoli, il protagonista si convince di non essere nessun’altra cosa che il frutto di una menzogna, che da un lato ha arricchito persone avide come Don Diego, colui che in realtà dovrebbe rappresentare Dio e invece agisce per se stesso, e dall’altro, proprio perché Don Diego pensa ai propri interessi, ha dato consolazione e conforto a persone che, seppur truffate, hanno trovato in Saro e nella sua purezza un punto di riferimento.
Saro è santo non perché ha compiuto dei veri miracoli o perché è stato canonizzato dalla Chiesa, ma perché, per dirla à la Remo Rapino, rappresenta un’umanità di «spasulati» soli e abbandonati, marginali e sfruttati, che ha sacrificato la sua innocenza perdendo tutto e dando agli ultimi una consolazione e un appoggio che nessuno gli darà mai, quasi a volersi far carico, con il suo martirio, della miseria degli altri.
Saro Scordia, un’agiografia sacra e profana
Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo (acquista) è un’agiografia dei tempi moderni raccontata con ironia e disincanto. Attraverso la figura di Saro Scordia, Giorgio Benedetto Scalia non solo racconta la doppia faccia di chi promette miracoli per poi sfruttare l’ingenuità dei più deboli, ma raffigura anche il vero e proprio martirio di tutti coloro che, come il pescivendolo protagonista, vivono soli e allo sbando, disposti a tutto pur di avere un punto di riferimento e una consolazione che nessuno è capace di dar loro.
“A mia un m’interiessa chiddu ca piensanu i cristiani. Io per fare bene u mio mestiere devo essere sereno, felice al massimo. Chi capiddi in tiesta pozzu fare miracoli”.
“Scimunitu ‘i guerra! Li fai già. Non lo dire più, manco per scherzo. Tutti i santi hanno sofferto o furono martiri, c’è chi fu ammazzato con le frecce, chi mangiato vivo dai leoni al Colosseo, chi come a santa Rosalia fece una vita di penitenza e cose così. Tu invece, hai perso solo i capelli, fussiru chisti i probblemi. Che pena pagasti per la santità? Niente, in confronto ai tuoi predecessori. Non ti puoi lamentare. Dovresti baciare a terra per ‘sta benedizione”.