«Voglia di tenerezza» di Larry McMurtry, elogio della delicatezza

Il romanzo trasposto al cinema nel 1983 da James L. Brooks sulla costante ricerca di tenerezza e umanità.

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Voglia di tenerezza

Sappiamo che ormai è cosa molto frequente scoprire i libri tramite le trasposizioni cinematografiche. Il contrario, andare a vedere un film al cinema perché si è apprezzato il libro, è possibile ma più raro. Sicuramente pensando a Voglia di tenerezza a molti sovviene il film con Debra Winger e Shirley MacLaine come protagoniste femminili e Jack Nicholson come attore.

Uscito nel 1983 e diretto da James L. Brooks, vinse moltissimi premi tra cui cinque statuette al Premio Oscar del 1984. Il merito è sicuramente di registi, sceneggiatori, attori, ma Voglia di tenerezza è tratto da un libro interessante di Larry McMurtry. Grazie alla casa editrice Einaudi, è stato possibile riscoprirlo proprio quest’anno in una nuova traduzione. Einaudi lo ha presentato come una perfetta lettura per l’estate, ma Voglia di tenerezza è molto di più di una “lettura da ombrellone”. È una vicenda toccante e disincantata che pone il lettore di fronte a emozioni davvero particolari.

I dialoghi “cinematografici” nella storia

Larry McMurtry era uno scrittore, ma anche uno sceneggiatore. Qualcuno si ricorderà che ottenne l’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale nel 2006 per la sceneggiatura del film I segreti di Brokeback Mountain. Questo dato è molto importante per riconoscere a Voglia di tenerezza (acquista) il suo pregio principale. Non è tanto ciò che succede, infatti, a rendere questo romanzo interessante. E forse a un lettore interessato a descrizioni e trame particolari questo può fare storcere il naso.

È come si parla di quel che succede a fare la differenza. Un modo di scrivere tipico di uno sceneggiatore, prestare attenzione al dialogo in quanto nel film non parla la narrazione, ma ciò che si dice e ciò che si vede. Nella fattispecie, abbiamo una pluralità di voci in questo romanzo nella cui folla sono due quelle che contano: una madre e una figlia, rispettivamente Aurora e Emma. La prima così decisa e piena di voglia di fare, vedova e circondata da spasimanti, sempre critica e aggressiva con la figlia. Emma è l’opposto: calma, prudente come viene descritta in uno dei dialoghi.

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Due diversi punti di vista, due donne molto diverse, ma unite da questa voglia di tenerezza. L’autore le fa dialogare in continuazione tra loro o con altri personaggi, come la donna di servizio Rosie che in modo tragicomico narra le sue disavventure matrimoniali. Emma vorrebbe avere lei come madre, dice a un certo punto, ma naturalmente non è vero. Il legame tra madre e figlia farà da filo rosso a una storia piena di avventure del quotidiano.

I dialoghi sono numerosi ma incalzanti. Poi mentre avvengono dieci righe (più o meno) di descrizione che spesso è breve ma esaustiva per capire tutto, come si fa proprio nelle sceneggiature. Non a caso, pur essendo un libro, vi è un notevole uso di correlativi oggettivi, ovvero di oggetti che simboleggiano o mostrano sensazioni dei personaggi. Cosa che porta l’autore a focalizzare la propria attenzione anche su piccole cose, piccoli dettagli, nelle conversazioni soprattutto essendo esigue le descrizioni.

Voglia di tenerezza e il punto di vista femminile

Durante il suo intervento al Salone Internazionale del Libro di quest’anno, André Aciman ha spiegato che quando scrive può facilmente immergersi nei pensieri anche di personaggi totalmente diversi da lui, come un giovane adolescente (Elio in Chiamami col tuo nome) o una donna innamorata sedotta e abbandonata (Mariana nell’omonimo ultimo romanzo dell’autore). Tale capacità è sicuramente testimonianza del talento di uno scrittore, ebbene la può senza dubbio vantare anche McMurtry.

Infatti, per quanto siano presenti anche uomini nella storia (gli spasimanti di Aurora, il marito di Emma che la mamma di lei non approva, ecc.), è la voce femminile l’eco di tutta la vicenda. Quest’eco costante rimanda a una ricerca di tenerezza continua, che non è segno di debolezza naturalmente, bensì di forte umanità. Una storia quotidiana, semplice, banale in senso positivo, ma descritta come un’avventura dentro l’universo femminile.

Alla fine malgrado i riscontri drammatici, ciò che rimane al lettore di questo romanzo è sicuramente un sorriso di tenerezza.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di un saggio su Oscar Wilde e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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