Ci sono casi in cui l’esordio letterario di un autore si distacca dalla produzione successiva, che sia per tematiche o per stile; altre volte, invece, la prima opera è già prefigurazione di quelle che verranno. A quest’ultima categoria appartiene l’esempio di Tommaso Landolfi, critico letterario e romanziere del Novecento italiano. Nel 1937, quando Landolfi aveva soltanto ventinove anni, l’editore Parenti pubblica Dialogo dei massimi sistemi, una raccolta di racconti, la maggior parte dei quali erano usciti negli anni precedenti su diverse riviste. La tiratura iniziale prevedeva soltanto 200 copie, e questo ha contribuito a far cadere quasi del tutto nell’oblio la prima pubblicazione di Landolfi.
I TEMI
Chi si è appassionato allo stile complesso e alle tematiche al limite del Surrealismo, peculiarità dell’intera produzione landolfiana, non può, però, ignorare la sua prima raccolta di racconti, una tappa fondamentale per comprendere le opere successive. Già in Dialogo dei massimi sistemi, infatti, ritroviamo temi tipici dell’autore: la passione per la lingua, l’ironia, la visionarietà che aleggia sull’intera realtà, l’indagine sui lati segreti della vita umana. La realtà che appare nei racconti, infatti, sembra come coperta da un velo onirico, quasi irraggiungibile; si tratta di un velo che contribuisce a una distorsione, tale che, sebbene ci si trovi di fronte a uomini e luoghi ordinari, questi paiono appartenere a una realtà altra, sconosciuta al lettore. È proprio per questa caratteristica che Landolfi è stato spesso catalogato – a ragione o meno – nel filone del Surrealismo italiano, visti anche i suoi contatti con il mondo surrealista francese, e la forte influenza di artisti come il tedesco Max Ernst. Non tutta la critica è concorde nell’includere Landolfi nel gruppo dei Surrealisti, e anche chi lo fa, lo definisce un “surrealista atipico”, riconoscendo in lui anche una faccia di maggiore adesione alla realtà, come in Racconto di autunno (1947).
Tornando all’opera di esordio, Dialogo dei massimi sistemi, non sono soltanto le tendenze surrealiste a emergere, ma anche altri aspetti che torneranno nelle opere successive; è il caso di luoghi che saranno topici, prime fra tutti le case, spesso abbandonate, decadenti e solitarie: la casa, lungi dall’essere il nido pascoliano in cui ritrovare conforto dalla realtà esterna, diventa la sede delle ossessioni, delle angosce, delle ansie, in cui le paure più recondite prendono forma concreta. Non è un caso che tutti i racconti della raccolta, racconti in cui esplode l’irrazionale e il lato oscuro, siano ambientati in semplici case.
LO STILE. UN’ESPLOSIONE DI BAROCCO
Un altro aspetto che si può cogliere già nell’opera di esordio è la complessità stilistica e linguistica adottata dall’autore; a tal proposito, si è parlato anche di “barocchismo”. La lingua dotta e ricercata, il periodare complesso, la ricerca di neologismi e termini in disuso hanno contribuito da un lato a innalzare Landolfi tra gli scrittori più raffinati del Novecento italiano, dall’altro ad allontanare l’autore da un vasto pubblico di lettori. È il destino che ha segnato anche Gadda: lo scrittore che adotta una lingua troppo letteraria va inevitabilmente incontro all’insuccesso popolare, riducendosi a essere un autore di élite. Tommaso Landolfi, però, non può rinunciare alla ricerca linguistica, essendo questa una passione che coltivava sin da ragazzo: egli stesso, infatti, ha rivelato più volte di aver tentato la creazione di una lingua tutta personale, una lingua con quattro generi (maschile, femminile, neutro e astratto) e sette numeri (singolare, duale, triale, decale, centale, miliale e milionale).
La passione per la lingua emerge, per fare un solo esempio, nel racconto Dialogo dei massimi sistemi, quello che – non a caso – dà il titolo all’intera raccolta. Un tale Y ha appreso la lingua persiana da un misterioso capitano britannico, salvo poi scoprire che quella lingua non è il persiano, ma una lingua che non esiste; il problema continua quando Y rivela di aver composto tre poesie in quella lingua, e consulta un critico per risolvere un dilemma: possono considerarsi “opere d’arte” delle poesie scritte in una lingua conosciuta da un solo parlante? È valida una traduzione se il rapporto tra significato e significante delle parole della prima lingua è conosciuto solo da un individuo, l’unico in grado di tradurre? Si apre allora una lunga discussione, un «dialogo», per l’appunto, sul senso della lingua e sul rapporto tra forma e contenuto, che offre numerosi spunti di riflessione. Ma perché la scelta del titolo? “Dialogo dei massimi sistemi” è sicuramente un riferimento all’opera Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei, e anche nella scelta dei personaggi si può intravedere un riflesso dell’opera dello scienziato: dietro il critico d’arte si nasconde Simplicio, l’Y landolfiano corrisponderebbe a Segredo, e l’amico di Y a Salviati.
LA DIMENSIONE DESCRITTIVA E LA RICERCA DEL PERTURBANTE
Oltre alla passione per le discussioni di carattere linguistico, ci sono altri due aspetti che occorre mettere in evidenza in Dialogo dei massimi sistemi. Innanzitutto, la forte insistenza sulle descrizioni: questo è un altro elemento, insieme alla ricerca della lingua complessa, che ha contribuito a isolare Landolfi dal grande pubblico. Le descrizioni finiscono con l’occupare pagine intere, rallentando il ritmo narrativo, e spesso facendo perdere il filo della narrazione. Tuttavia, Landolfi non può fare a meno di descrivere ogni oggetto, evento, luogo o personaggio: è proprio nelle descrizioni, infatti, che un autore può dare sfoggio di tutta la sua padronanza linguistica, e si è già detto di quanto questo sia fondamentale per lo stile landolfiano. Il secondo aspetto che preme mettere in evidenza è la ricerca del perturbante, di ciò che infastidisce il lettore. Ci sono dei momenti in cui il lettore non può distogliere gli occhi dal libro, come per riprendere fiato; scene che pungono la sensibilità, che infastidiscono la vista, fino a generare un atroce senso di nausea. Si legga, per esempio, il seguente passo, tratto da Mani, il primo racconto di Landolfi (nella raccolta è in quarta posizione), in cui un uomo di nome Federico vede la propria cagna uccidere un topo:
Una convulsa lotta si svolse fra i due animali, dominata dagli acuti squittii del topo; (…) la cagnetta, afferrato il topo a punta di muso per mezzo il corpo, lo sbatteva violentemente per aria onde tramortirlo, ed anche per impedirgli, colla violenza stessa del movimento, di azzannare le sue pelli delicate; poi lo lasciava cadere per giudicar l’effetto. (…) A questo punto Federico si accorse che il topo nei suoi principi di fuga e nel suo dibattersi si trascinava dietro una specie di lungo cordone, di una lucentezza opaca, che a volte gli si avvolgeva intorno al corpo, a volte strisciava, (…) era proprio un budello, ormai irriconoscibile e polveroso che, senza volersi staccare dall’animale, se ne dipartiva come un cordone ombelicale. (…) Da uno strappo alla pancia, certo prodotto da una zanna della cagnetta, usciva una specie di fungo zigrinato e arido, e il resto di quel budello; e neppure qui una goccia di sangue.
Il fastidio non sfocia sempre nel macabro o nel nauseante; a volte, può semplicemente provocare rabbia. È il caso del racconto Maria Giuseppa, il primo della raccolta, in cui una governante brutta e sgraziata viene picchiata da Giacomo, il narratore, fin quando si sfocia nella rappresentazione di una vera e propria violenza sessuale; Maria Giuseppa muore senza che né il narratore né il lettore conoscano le cause della sua morte.
UN AUTORE DIFFICILE
In conclusione, nell’opera d’esordio di Tommaso Landolfi si possono apprezzare tutti gli aspetti – stilistici e tematici – che emergeranno nei romanzi di maggiore successo, come La pietra lunare, o in altre raccolte di racconti, come Il mar delle blatte e altre storie. Tuttavia, sin dall’esordio, Landolfi appare come un autore ostico, difficile da seguire: la lingua ricercata, la lunghezza delle sequenze descrittive e la scelta di tematiche al limite del Surrealismo lo rendono ancora oggi un autore di nicchia, un autore ancora da scoprire.