È ritornato Chuck Palahniuk. Non per sempre, ma per ora è l’ennesima prova geniale di un autore fuori dagli schemi. Un anarchico della letteratura che segue però una disciplina rigorosa per tracciare le sue storie. Allievo di Tom Spanbauer, ha raccolto molti degli schemi narrativi adottati nei decenni nel memoir e vademecum Tieni presente che. Una solidissima struttura basata su una brillante interpretazione della creative writing, capace di sorreggere le trame più bizzarre, stravaganti e provocatorie. Una scrittura sensazionalistica, unico modo per indagare sentimenti sopiti e per riflettere su alcune tematiche fondamentali per la società moderna.
Come per Kafka, anche per Palahniuk, «un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi». E lo scrittore di Portland l’ha sempre fatto, fiero esponente di una scrittura eversiva, come d’altronde lo era stata anche Katherine Dunn. Perché, come ha ricordato in un’intervista rilasciata a La Repubblica nel 2021, «uno scrittore decente non può imporre sentimenti al lettore. Deve costruire le condizioni perché sia il lettore a provare le emozioni». Non per sempre, ma per ora non fa eccezione. Una fiaba nera, una spettrale analisi sul concetto di dipendenza.
Sulla crudeltà, ovvero Sir Attenborough
Cecil è sotto il controllo di Otto, il fratello perfidamente sadico. Entrambi, bambini senza età provenienti dalla contea gallese con atmosfere degne di Giro di vite, ragionano metodicamente le loro scorribande sempre più violente e perverse in continui salti temporali. Aristocratici, i cambi della servitù sono l’unico modo per scandire le loro esistenze. Così i «valletti e maggiordomi senza nome che attraversano la [loro] vita sono come i granelli di sabbia di una clessidra».
Come sottofondo per la loro dissolutezza, i protagonisti di Non per sempre, ma per ora ascoltano le produzioni di Sir Attenborough sull’Australia. Come nel film Attenberg di Athina Rachel Tsangari, anche i protagonisti di Palahniuk, incapaci di relazionarsi, vivono attraverso i documentari. Con le continue metafore tra predatore e preda i fratelli, dipendenti dalle loro perversioni, diventano cacciatori seriali di reietti e maniaci per torturarli e seviziarli. Insensibili alle loro parafilie, sono tanto autonomi nei loro delitti quanto inetti alle normali pratiche quotidiane.
Discendenti da parte materna di una famiglia di serial killer professionisti, cercano di ereditare le pratiche del Nonno e si divertono, in un continuo gioco di imitazioni, a personificarne i racconti truculenti. Affezionati a Mamma, donna forte e incostante, maturano un fascino sempre maggiore verso il padre scomparso, forse a causa di una relazione extraconiugale. Orgogliosi di sopravvivere in un modo crudele, privo di appigli e di aiuto perseguono la loro degenerazione come un obiettivo. In tutta la sua energia giovanile Cecil, il narratore, afferma come:
Preferisco la morte alla coscienza di non meritare di essere ucciso. Preferisco essere sbranato che scoprire di non essere abbastanza buono da mangiare.
«Non per sempre, ma per ora»: per un rito collettivo
Non per sempre, ma per ora è un viaggio on the road che si snoda tra le vie sterrate di campagna con automobili sempre differenti al delimitare di una “foresta fantasma” dove sembra inghiottire le proprie vittime. Le uccisioni si perpetrano, fino a diventare cerimonie sacrificali i cui unici sacerdoti sono Otto e Cecil. Ma come nelle migliori prove di Palahniuk, il rito si estende all’intera collettività tanto da tramutarsi in delirio. Otto propone al Nonno di proletarizzare il metodo di famiglia e non limitarsi all’uccisione solo di personaggi famosi (vedasi Marilyn Monroe, Lady Diana, Judy Garland e così via). Come in Fight Club, Rabbia, Gang Bang e Il libro di Talbott, il fanatismo e l’esaltazione devono essere di tutti. Così viene brevettano Tyger:
Tyger è semplicemente un modo che la gente ha per non morire. Gli iscritti escono in strada davanti a casa in una data e a un’ora prestabilite. Un nome a caso viene estratto da un computer, e Otto o qualche altro sicario in sua vece va a far fuori la persona in questione.
La verità della scrittura, l’illusione della lotta
Sarebbe scontato affermare che Palahniuk si limita a inventare. In lui risiede una facoltà di discernimento con pochi eguali nel panorama internazionale. Solo che la sua visione non agisce necessariamente con il buonsenso, ma piuttosto facendo appello ai nostri istinti. La disillusione lo spinge e ripudiare tutto quello che potrebbe essere fruibile o, peggio ancora, stucchevole. Anche grazie all’ottima traduzione di Gianni Pannofino, in Non per sempre, ma per ora (acquista) Palahniuk traghetta il lettore in sensazioni infernali, come già aveva tentato con toni più comici in Dannazione e Sventura.
La dipendenza dalle proprie ossessioni permette di sapere, perlomeno, la causa della propria morte. Il padrone delle passioni ha un’atarassia ineguagliabile. Funesto si erge al di sopra dei dissidi umani e sa che il baratro è poco distante. Come nella “foresta fantasma” basta mettere un piede in fallo per sprofondare nel camino, quello spazio vuoto sotto la sabbia «alto quanto il palo del telefono».
In Palahniuk c’è sempre questo gioco fra l’onnipotenza e l’estrema fragilità, la frenesia del vivere al terrore ineluttabile della morte. I suoi personaggi, per quanto bizzarri, sono sempre le marionette di questo gioco. E se l’amore per Palahniuk è un’illusione, anche la nostra lotta quotidiana lo è. Bisogna solo osservare l’abisso senza caderci dentro prima del tempo, perché «solo chi non ha mai vissuto ha timore della morte».
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Solo una curiosità, ma perché per tutto il romanzo confonde Richard Attenborough ( l’attore regista oscar per Ghandi ) col fratello David Attenborough celeberrimo documentarista?
Forse sovrappone Jurassic Park ad un documentario della BBC?