Il coraggio del silenzio: Ruby e il valore le parole mai dette

«Il silenzio è la voce che ho scelto» di Mona Arshi

7 minuti di lettura
«Il silenzio è la voce che ho scelto» di Mona Arshi

Scriveva Italo Calvino: «In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio». È una frase che si addice parecchio a Ruby, la piccola protagonista del romanzo Il silenzio è la voce che ho scelto di Mona Arshi (8tto Edizioni, 2025).

Non si tratta di un “voto” di silenzio ma di una rinuncia alla parola. La differenza è sottilissima: per Ruby parlare significa reinterpretare la realtà, manipolarla.

Un’insegnante mi pose una domanda, e io aprii la bocca in una sorta di gesto formale, ma la richiusi piano, sapendo con precisa certezza che non ne sarebbe uscito mai più niente. Ne ero certa il mattino seguente e persino più certa il giorno dopo ancora. Non proferivo parola. Diventò la cosa più certa della mia vita.

Una famiglia tra vuoti ed eccessi

Ruby cresce nella periferia inglese, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, figlia di immigrati indiani. Osserva il fragile disequilibrio della propria famiglia cercando di scrutare – osservare, registrare, comprendere – oltre la superficie di ciò che viene detto. La madre coltiva un orto come se fosse un altare, mentre il padre è incapace di reggere la follia che gli cresce in casa come erbacce.

La madre attraversa fasi di sofferenza e depressione, tra periodi in casa in cui sembra che la bolla possa scoppiare da un momento all’altro e lunghi periodi di assenza dovuti a ricoveri. La sorella Rania, invece, è energia, indipendenza, allo stato puro. Le due sorelle sono una l’opposto dell’altra: una tace, l’altra urla; una è vuoto, l’altra eccesso.

A rendere ancora più vivido il quadro familiare arrivano figure memorabili: la nonna Biji, che fa il suo ingresso con pozioni mediche e racconti, la Zia Numero Uno, severa e ribelle, e vicini e compagni, che replicano in un libro la tensione fra chi cresce in una famiglia tradizione e chi fa a pugni con i problemi del mondo contemporaneo. E poi il primo infantile amore, le compagne di scuola, i vicini…

«Il silenzio è la voce che ho scelto», la poesia tra le crepe dell’anima

Mona Arshi è nata a West London, dove vive tuttora. Ha lavorato per dieci anni come avvocato per i diritti umani per il gruppo Liberty, prima di conseguire un master in scrittura creativa presso la University of East Anglia e iniziare a scrivere poesie. I suoi versi e interviste sono stati pubblicati su The TimesThe GuardianGranta e The Times of India, oltre che sulla metropolitana di Londra.

Si tratta di un esordio narrativo che 8tto edizioni ha scelto di pubblicare in Italia perché è un romanzo di formazione dove gli errori, i dubbi e le piccole attese compongono il ritmo dell’esistenza. Ruby non parla, ma il suo sguardo è lucidissimo: affidabile perché onesto, ironico e spietato con sé stesso. Capace di raccontare le incertezze, le sfumature e le contraddizioni.

Scopriamo solo dopo aver letto il libro che Arshi è approdata alla letteratura attraverso la poesia (la sua raccolta di poesie di debutto Small Hands, pubblicata nel 2015, ha vinto il Forward Prize per la migliore prima collezione): e non stupisce, perché la prosa del romanzo vibra di immagini poetiche.

Alterna capitoli più corti e altri più lunghi, le scene saltano avanti e indietro nel tempo. Le parti più brevi (una o due pagine) sono per il lettore folgoranti, come cartoline impressionistiche dell’infanzia. A sorpresa, alcune pagine sono vere e proprie poesie che raccontano la parte più difficile della sua esperienza.

Leggi anche:
Homo sapienne: consapevolezza della propria identità in una notte groenlandese

Perché proprio la poesia? Perché è il linguaggio che meglio accoglie il non detto. La poesia, con le sue ellissi, le immagini rapide e le fratture, rende visibile ciò che nella prosa rischierebbe di diventare cronaca o spiegazione. È il modo in cui Arshi traduce l’indicibile del trauma.

Il silenzio è resistenza

Il silenzio è la voce che ho scelto (acquista) – in inglese Somebody Loves You – è anche una meditazione sul trauma nelle sue molte forme: il dolore, il razzismo, la misoginia casuale, la violenza, la morte vista attraverso occhi infantili. Una scrittura che rischia di sconfinare nel melodramma, ma che trova proprio nell’imperfezione la sua forza, come direbbe il padre di Ruby: «[…] una cosa bella non è mai perfetta».

Un romanzo ipnotico e necessario, che racconta le zone d’ombra della crescita e della famiglia, dedicato a chi ha compreso sulla propria pelle che a volte il silenzio non è mancanza, ma resistenza. Allora serve rifugiarsi in libri come questo per riscoprire il valore dimenticato delle parole.

Succede così con le parole: ti schizzano fuori di bocca nell’aria, e non c’è modo che tornino indietro una volta uscite.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

Lascia un commento

Your email address will not be published.