Gli anni Ottanta celano cosce piene di lividi

«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia» di Enrico Macioci

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«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia» di Enrico Macioci

«Il mondo del 1981 non era diverso rispetto al mondo d’oggi, era proprio un altro», sentenzia Enrico Macioci in una delle pagine iniziali del romanzo Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia (TerraRossa), al diciannovesimo posto della Classifica di qualità pubblicata sull’Indiscreto a maggio 2022.

Diverso non rende l’idea poiché non parlo di gradazioni, parlo di natura. Accostare il mondo del 1981 al mondo d’oggi è come accostare Pac-Man a Fortnite, Fantastico al Grande Fratello, Maradona a Messi, un diario a una pagina Facebook. Da allora sono successe troppe cose troppo in fretta, e se ficchi troppe cose in un lasso di tempo troppo breve il tempo si sfonda.

Se gli fosse chiesto di individuare il momento che ha fatto da spartiacque nella Storia italiana, aprendo le porte alla nostra contemporaneità e a tutto ciò che culturalmente la caratterizza, l’autore non avrebbe dubbi: indicherebbe la vicenda di Alfredo Rampi, il bambino scivolato in un pozzo a Vermicino il 10 giugno 1981 e morto dopo giorni di infruttuosi tentativi di salvataggio. Non fu un semplice fatto di cronaca: fu la prima tragedia che il nostro Paese seguì in diretta televisiva, col fiato sospeso. A posteriori, il prodromo del nostro presente iperconnesso, in cui potenzialmente tutto è trasformabile in una diretta social, dai fatti più leggeri a quelli più drammatici – ai quali, ormai, siamo pressoché anestetizzati.

«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia»: tra ricostruzione storica e finzione letteraria

Protagonista di Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia è Francesco che, ormai adulto, ricorda un evento che segnò la sua infanzia nella lontana estate del 1981: la sparizione e le ricerche del suo allora migliore amico, Christian. Il caso vuole che la sua storia personale si intrecci a quella collettiva degli italiani, perché Christian scompare proprio lo stesso giorno in cui Alfredo Rampi scivola nel pozzo di Vermicino. Nel breve arco temporale che va dal 10 al 13 giugno 1981, il piccolo Francesco assiste allo sgretolamento irreversibile del suo mondo: per la prima volta scopre che possono succedere cose terribili anche ai bambini e, soprattutto, che esistono situazioni in cui perfino gli adulti, che gli erano sempre parsi infallibili, si rivelano impotenti.

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Macioci riesce a creare un buon incastro fra la storia – inventata – di Francesco e Christian e la fedele e rispettosa ricostruzione della vicenda di Alfredo Rampi, a cui il romanzo è dedicato. Come spiegato dall’autore nella sua postfazione, il titolo non è casuale: si tratta infatti di una frase che il piccolo Alfredo, ormai delirante dopo giorni trascorsi nel pozzo, disse davvero ai soccorritori, e incastonatasi nella memoria di Macioci, all’epoca suo coetaneo.

A incastonarsi nella memoria collettiva è stata senz’altro la fotografia di Alfredo Rampi che ritroviamo, disegnata, sulla copertina del libro. Risulta subito familiare a tutti, anche a chi nel 1981 era troppo piccolo o addirittura non era ancora nato. La riprova che l’odierno modo di raccontare, che si estende anche alla cronaca nera, sia fatto di immagini che si insinuano in noi al punto da diventarci note anche a distanza di anni, e anche se solo stilizzate; forse è davvero cominciato tutto in quel lontano giugno del 1981.

Diventare adulti

Mi chiedo cosa le impedì di baciarmi, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno; e cosa impedì a me di baciarla – se si eccettuano la mia timidezza, la mia superficialità e la mia tendenza alla fuga. Basta tanto poco a disgiungere due vite?

Benché vi sia una forte ellissi temporale nella storia di Francesco – lo troviamo bambino nelle parti ambientate nel 1981 e ultraquarantenne in quelle ambientate ai giorni nostri, senza che ci sia detto quasi nulla di quanto accaduto nel mezzo –, Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia può essere visto come un Bildungsroman. Il suo cuore pulsante è infatti un topos ricorrente nella letteratura: diventare adulti, con tutti gli struggimenti legati alle occasioni mancate. Di cui, per quanto sembri scontato, ci rendiamo davvero conto solo quando si rivelano nella loro irreversibilità.

Nella malinconia di fondo del protagonista creato da Macioci sembra di intravedere altri eroi di romanzi di formazione italiani contemporanei, come Guido di Splendore di Margaret Mazzantini (Mondadori, 2013) o Libero di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli (Feltrinelli, 2015). E siamo certi che chiunque abbia provato almeno una volta quella malinconia si sentirà profondamente toccato da questo libro.

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Cosa resterà di questi anni Ottanta?

Non è solo il ritornello della canzone che Raf portò al Festival di Sanremo del 1989. Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia (acquista) si pone anche come riflessione sulla cesura che gli anni Ottanta hanno rappresentato nella Storia contemporanea. È lì che bisogna cercare i primi germogli della nostra epoca, è lì che si è sancito il tramonto del Novecento – che non a caso, riprendendo il titolo di un celebre saggio dello storico Eric Hobsbawm, è spesso definito «secolo breve».

I TG sorvegliavano Alfredo con isterica tenacia. Gli italiani non si occupavano d’altro. Lo facevano con la stessa ossessività con cui un mese prima avevano discusso di Wojtyła colpito dai proiettili di Ali Ağca, o con cui un anno dopo avrebbero parlato dei Mondiali di calcio vinti in Spagna battendo l’Argentina di Maradona, il Brasile di Zico, Falcão e Sócrates, la Polonia di Boniek, la Germania di Rummenigge, con la stessa ossessività con cui cinque anni dopo avrebbero ragionato dello scoppio del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl e della gigantesca nube radioattiva sospesa sull’Europa, con la stessa ossessività con cui otto anni dopo avrebbero discettato sul crollo del muro di Berlino e della fine di un’epoca. Gli anni ’80, sotto la gonna scintillante di paillettes, celano cosce piene di lividi.

Caratterizzati da benessere economico e una forte fiducia nel futuro, gli anni Ottanta sembrano spesso un’età dell’oro perduta non solo a chi li ha vissuti, ma anche a chi è nato dopo. Enrico Macioci ci ricorda che l’apparenza inganna e che, a ben vedere, ciò che non ci piace della nostra contemporaneità trae origine proprio da quella presunta età dell’oro – che tanto aurea, forse, non era.

Ma in fondo un’età dell’oro perduta esiste per tutti. Non corrisponde però a un preciso periodo storico, bensì all’epoca del nostro candore, quando credevamo che i grandi fossero eroi imbattibili e che i cattivi sarebbero stati sempre e inevitabilmente sconfitti. Siamo cresciuti, non è più così. Per alcuni – come per Francesco – c’è stato un taglio netto, per altri il passaggio è stato più graduale, ma sempre con un’adultità disillusa come destinazione. Non ci resta che leggere romanzi come questo, allora, e scoprire ancora una volta quanto c’è di universale nello struggimento che ci si agita dentro.

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione professionale e Marketing Management. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

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