Una conversazione dinamica e ironica su Raffaello Baldini

«Chiudo la porta e urlo» di Paolo Nori

8 minuti di lettura

Chiudo la porta e urlo è l’ultimo romanzo di Paolo Nori, che come precedenti lavori dall’autore (dedicati a Fëdor Dostoevskij e Anna Achmatova) tratta di uno scrittore in maniera originale e unica. È un mix tra generi: il romanzo, il diario, il saggio, ma soprattutto un lungo flusso di coscienza. Il libro è stato candidato al Premio Strega su proposta di Giuseppe Antonelli con la seguente motivazione:

In Chiudo la porta e urlo di Paolo Nori la vita diventa letteratura, la poesia diventa racconto. Il gioco di specchi tra le poesie di Raffaello Baldini e l’autobiografia di uno scrittore sessantenne si frantuma in acuminate schegge narrative. Frammenti di un racconto umoroso – curioso, pensoso, a tratti furioso – sul senso della vita e della letteratura. Tasselli di un mosaico sghembo il cui disegno complessivo s’intuisce solo visto da lontano, dalla distanza dei ricordi. “Io mi ricordo tutto”. E dunque memoriale degli affetti e delle letture: amarcord sempre in bilico tra italiano e dialetto. […] Il risultato è un romanzo così allegro e disperato che non sembra neanche un romanzo. Un atto di fede nella letteratura che ci fa ridere, pensare, sognare, commuovere: vera benedizione che ci fa sopportare tutto il male detto del mondo.

La franchezza dell’autore

Quello che colpisce subito del romanzo, che reca un titolo già di per sé divertente e accattivante, è l’onestà di Paolo Nori: il suo linguaggio è fresco e subito molto immediato e franco. Fin dalla citazione che apre tutto il libro con riferimento a Ricky Gervais è possibile coglierne l’ironia e la vivacità intellettuale. Nori polemizza in maniera sfrontata e coerente riguardo a chi lo etichetta come “filorusso”, spiegando che effettivamente si sente tale per il grande amore che ha per la lingua e la cultura russa, posizione differente rispetto ad apprezzarne il governo.

«La battaglia contro la coglionaggine comincia da se stessi» scrive Raffaello Baldini. Lo scrive in un monologo che si intitola La fondazione. E a me viene in mente quel che dice Ricky Gervais, che quando sei morto tu non lo sai, è doloroso solo per gli altri. La stessa cosa, dice, succede quando sei stupido.
Ecco.
Cominciamo pure.

In queste sottigliezze e dicotomie si disgrega tutta l’opera, che è in teoria dedicata a Raffaello Baldini, ma di fatto passa oltre il mero biografismo e il saggio accademico per costruire una storia vera e personale. Nori non è nuovo a questo tipo di narrazione: l’ha già attuata perfettamente in Sanguina ancora, dove descriveva cos’era Dostoevskij per lui e da questo poi, dal particolare, passava al generale. La lectio magistralis che realizza anche in Chiudo la porta e urlo è molto personale, ma misurata. Divertente eppure serissima quando occorre.

Ci sono tantissimi riferimenti autobiografici che consentono di conoscere bene l’autore e comprendere la viva passione che ha per la scrittura e la letteratura. Ne consegue che il viaggio intrapreso insieme a lui è disteso e disarmante, ricco di aneddoti, digressioni che grazie anche alla brevità dei capitoli consentono al lettore di sentirsi non come un alunno sui banchi o qualcuno che ascolta una conferenza, ma come una sorta di amico al bar che dialoga con un altro amico di letteratura.

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Raffaello Baldini, il poeta del dialetto

Raffaello Baldini, a differenza per esempio di un grande autore come Dostoevskij, non ha vantato la visibilità che forse avrebbe meritato negli ultimi anni per quanto riguarda principalmente l’universo scolastico. Cosa che, del resto, accade per molti letterati del secondo Novecento. Inoltre, Baldini ha sempre scritto le sue poesie nel dialetto romagnolo di Santarcangelo: un aspetto affascinante e particolare che lo ha reso unico. Paolo Nori vuole conferire una profonda dignità a una personalità così importante.

Nei primi anni del dopoguerra, è stato infatti tra i fondatori del gruppo culturale “E’ circal de’ giudéizi” (Il circolo della saggezza), che riuniva diversi intellettuali del tempo. L’ironia era il suo tratto distintivo e questa caratteristica è forte anche nell’opera di Paolo Nori, che ha dedicato quindi al poeta non solamente l’argomento del libro, ma tutto lo stile del libro, rendendo la dedica anche più preponderante.

Come non mi stanco di dire, una cosa che mi piace, di Tolstoj, di Dostoevskij, di Anna Achmatova, di Raffaello Baldini, della letteratura, è il fatto che mi fanno vedere le cose che sono in casa mia, che mi circondano, come se le vedessi per la prima volta, non rendono visibile l’invisibile, rendono visibile il visibile. Che è una cosa, uno potrebbe pensare, se è visibile, che bisogno c’è di renderlo visibile?

«Chiudo la porta e urlo»: una conversazione sulla letteratura

Come detto, leggendo questo libro sembra di trovarsi al bar a conversare con un amico. Di fatto, Chiudo la porta e urlo (acquista) è un caffè letterario, come quelli in cui si riuniva Baldini nel dopoguerra. Questo approccio, proprio di Paolo Nori, rende la lettura simile a una conversazione intima e a un flusso di coscienza, continuo e inesorabile. Lo stile ricorda chiaramente quello del parlato e del colloquiale.

Ecco, secondo me, le parole non servono per dire quello che sai, per far sapere agli altri quello che hai pensato te che sei così intelligente, ma per capire, parlando con qualcun altro, con un foglio di carta, o con un file su un computer, quello che pensi, per costruire quello che pensi facendo rotolare una parola dopo l’altra e guardando, insieme col mondo, le meraviglie o i disastri che saltano fuori.

L’attenzione per la parola e per il dialetto, lodato nelle sue peculiarità, rende l’esperienza di leggere questo libro ancora più interessante. L’avventura della lettura, che lo stesso Nori vanta e racconta, è quindi metaletteraria e riflessiva ma allo stesso tempo comica, ironica e piacevole. Originale per il fatto che Nori racconta un autore, ma di fatto racconta sé stesso, e tutto sembra connesso nell’inesorabile capacità della letteratura di rendere “visibile l’invisibile”.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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