Incontrarsi di nuovo, qui dentro

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«Incontrarsi di nuovo, qui dentro», il racconto inedito di Federico Metri

Amore mio, non sai da quanto tempo immemore aspettavo questo momento. Forse eoni, forse ere geologiche, forse miliardi di anni incastrati e amalgamati a miliardi di anni, forse un solo infinito e immobile istante. Qui dentro è tutto così confuso e sfuocato che non riesco a orientare il mio corpo e i miei ricordi. Non ricordo quando sono arrivato, se sono veramente arrivato, non ricordo in cosa sono e se sono ancora qualcosa. Dentro questa placenta stracolma di stelle che bruciano e costellazioni di spaziotempo che si accartocciano e si scontrano all’infinito dando vita all’infinito stesso, io rammento solo che prima di questo esisteva un altro questo, dove eravamo insieme uniti da qualcosa di concreto, di fisico, di bellissimo. E come ci sono finito io qui dentro? Sono morto? Da quanto tempo sono morto, se sono veramente morto? Davvero mi sono separato da quel paradiso di cui ricordo poco per entrare in questa melma spappolata e disunita? Da quanto ti stavo aspettando dentro questo fuoco incontrollato di stelle e pianeti? 

Ma questo ormai non ha più importanza, nessun mio arrovellamento o sofferenza ha più senso di esistere perché finalmente percepisco il tuo calore dentro questo fuoco ormai diventato insopportabile. Non riesco ancora a vederti ma riesco a sentirti, sento la tua voce soave espandersi e urlare qualcosa che non riesco a cogliere. Intravedo il tuo bagliore ma non riesco a nuotare dentro questo buio, cerco di afferrarlo ma si allontana sempre di più. Lo rincorro lacerandomi e strappandomi, roteando all’infinito, aggrappandomi alle mani del nulla. Riesco a dar vita a uno zigzagare caotico, mi muovo senza poter guidare il mio corpo, entro dentro stelle ormai spente, galassie immobili, continuo a vedere il tuo bagliore ma il caos non mi permette di raggiungerlo. Aspetto in questo oceano, attendo in questo cielo, la tua scintilla è sempre più vicina. Quanto tempo è passato? È tutto così confuso che un attimo riesco quasi a sfiorarti e l’attimo dopo sono anni luce di distanza da te. Ma adesso, anche se non capisco se è un momento cristallizzato o il fluire di miliardi di ere, ti vedo e allungo la mia scia per entrare nel tuo bagliore. Da quanto tempo sto cercando di raggiungerti? È il primo tentativo o sono vicino all’infinito?

Nulla però ha più importanza perché ti ho raggiunto, ho fatto scontrare le mie onde alle tue, ho fatto collassare il mio cielo nel tuo cielo. Eccoti, amore mio, adesso ti vedo e ti sento, riesco ad accarezzare il tuo essere etereo ma così vivo e reale davanti a me. Non ricordavo che il tuo viso fosse così delicato e spinoso nel medesimo tempo, non ricordavo fossi una sirena con la coda a forma di cometa. Per un attimo ti rivedo bambina, un altro attimo indossi il primo sguardo di cui ho memoria, l’attimo dopo sei una donna che non conosco, dal viso rugoso e trasandato, con l’aria stanca e compassata. Eccoti, amore mio, eccoti. Nelle tue imperfezioni che non ricordavo ti vedo, finalmente ti vedo. Riesco a riconoscere il momento in cui spingi nostra figlia sull’altalena di casa, le racconti che se spinge forte con le gambe può raggiungere il cielo, la culli in maniera delicata, la accompagni per il primo pezzo e poi la lasci andare verso il mondo, per poi riprenderla e cullarla fino al prossimo lancio. Le sussurri parole dolci, cerchi di baciarla sulla guancia.

Si toccano nel nulla, rendendo quel nulla una scintilla, una luce che illumina quel buio e lo rende qualcosa. I loro corpi ormai increati roteano all’unisono e si uniscono amalgamandosi con i rimasugli rimasti. Si abbracciano senza braccia, si baciano senza labbra, fanno tutto senza avere più niente. Oltrepassano i limiti corporei, giocano in un recinto senza confini, ballano un tango che supera la concezione dell’eternità. In un singolo attimo che si ripete all’infinito si parlano come due sconosciuti, come se si conoscessero da tutta la vita. A loro era sempre piaciuto restare aggrappati a quel confine, appesi a quel limite che divide la meraviglia dall’abitudine. Amavano incontrarsi e non riconoscersi, incrociarsi per strada e parlare come se fosse la prima volta e rivelare un segreto ancora mai sussurrato, sedersi al tavolo di un caffè e raccontarsi le proprie vite da una prospettiva diversa, arrivando così a conoscersi tramite ciò che non era mai accaduto.

«Sono arrivata, amore mio. Quanto tempo ho aspettato di incontrarti di nuovo, di percepire la tua vicinanza. Da quanto sto aspettando? Dove mi trovo?»

«Non parlare, amore mio, questo non ha più importanza, nulla ha più importanza ora che siamo insieme, ora che riesco a sentirti, ora che riesco a toccarti di nuovo.»

«Ma qui dentro è tutto così buio, così confuso, così insensato…»

«Amore mio, non devi preoccuparti» la interrompe posando il suo corpo dentro il suo, iniziando a girovagare tra i suoi capelli. «Adesso dobbiamo solo unirci in una danza mistica e aspettare, aspettare che la nostra unione torni a diventare qualcosa. Lo senti anche tu, vero?»  

«Sì, sì, lo sento anche io. Cosa ci sta succedendo? Il nostro bagliore si fa sempre più intenso…»

«Resta vicino a me, fai scontrare la tua onda al mio scoglio, sovrapponi il tuo cielo al mio cielo e chiudi gli occhi insieme a me. Chiudi gli occhi, amore mio…»

Attraverseranno lo spazio, bucheranno il telo del tempo e oltrepasseranno la membrana scura fatta di costellazioni incendiate. Scavalcheranno il fosso, valicheranno il fossato, spaccheranno il tessuto immobile per entrare di nuovo là dentro, in quel mondo in cui si sono innamorati, dove non si sarebbero mai lasciati e che ritroveranno diverso. Torneranno a guardarlo e toccarlo vestiti da fantasmi, tenendosi per mano mentre nuoteranno in ogni oceano, abbracciandosi mentre voleranno in ogni cielo. Il loro zigzagare si scioglierà quando saranno costretti a inserirsi di nuovo lì dentro, in un corpo tangibile, dentro qualcosa di reale. Lui forse diventerà un pastore nel deserto della Colombia, o uno scrittore dimenticato, o colui che farà collassare l’universo, lei forse una contadina della Mongolia orientale, o la balia di un re Azteco, o la madre del prossimo dio. Non ricorderanno niente di tutto quello che hanno vissuto, sentiranno solo una spinta, una scintilla, un incendio, percepiranno la necessità di trovare qualcuno di importante. Non importerà se per incontrarsi servirà una vita, se ne serviranno mille, se ne serviranno infinite, lui e lei si incontreranno di nuovo sulla riva di un fiume, o in un cineforum al buio, o sull’orizzonte di un buco nero, o alla fine del tempo. Quando i loro sguardi si incroceranno sarà come la prima volta, come se non si conoscessero, come se non avessero passato miliardi e miliardi di vite a rincorrersi e ritrovarsi. Ogni volta sarà quella più bella perché inedita, delle precedenti non ricorderanno nulla, e si conosceranno e si scopriranno, trascorreranno un’altra vita insieme. Il loro destino si ripeterà finché non dovranno lasciarsi e aspettarsi di nuovo l’un l’altra, e poi ritornare qui dentro, e ricominciare tutto dall’inizio, se un inizio è mai esistito, ancora e ancora. 

Racconto di Federico Metri / Immagine di Marina Lucco Borlera

Redazione MM

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