Un’insanguinata dedica d’amore a Los Angeles

«Maeve» di CJ Leede

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«Maeve» recensione libro di CJ Leede

Sunset Boulevard è un’arteria stradale che si snoda nella zona ovest di Los Angeles: un viale tortuoso che s’insinua dal centro della città fino alla Pacific Coast Highway. Il suo tratto più noto è «Sunset Strip», un miglio di asfalto e neon, cuore pulsante della vita notturna losangelina. La giovane Maeve, quel pezzo di strada, lo conosce a memoria. Ogni sera, di ritorno dal lavoro, ne infesta i locali: tra i tavoli, con un drink in mano, legge senza sosta storie di anti-eroi misantropi. Rifugiarsi tra le pagine e rispecchiarsi nella letteratura, alle volte, può essere molto pericoloso: il confine tra realtà e finzione è essere estremamente labile.

Con Maeve, romanzo d’esordio della scrittrice statunitense CJ Leede, la neonata casa editrice Mercurio Books si presenta nel panorama editoriale italiano, proponendo una collezione di storie sulla soglia, «al confine tra i mondi, tra i generi letterari, tra l’oggi e il domani.» Questa giovane realtà nasce come «un rituale collettivo per riportare in vita quella forza vitale, quell’entusiasmo feroce che solo determinate storie, a cavallo fra i mondi, sono in grado di catalizzare». Ai lettori dona il suo primogenito Maeve, candidato ai Bram Stoker Awards, vincitore dell’Octavia E. Butler Award, e tradotto per la prima volta in Italia da Gaja Cenciarelli.

Irrefrenabile Maeve

A Maeve la sua vita non dispiace. Di giorno è la principessa di ghiaccio adorata dai bambini che frequentano il parco divertimenti in cui lavora. A fianco della sua migliore amica Kate, indossa la maschera di un personaggio che sente profondamente suo per l’incontrollabile forza distruttiva che lo contraddistingue. Di sera è la nipote di nonna Tallulah, ex diva di Hollywood, che venera come un idolo pagano e a cui si aggrappa con tutte le sue energie, seppure sia ridotta ad un inerte corpo malato. Di notte, sulla sua Mustang del ’67, è uno spirito irrefrenabile, «una lupa alla ricerca di prede». La sua quotidianità sembra rispettare un apparente equilibrio, almeno finché Gideon Green, il fratello della sua migliore amica, si trasferisce in città, risvegliando in lei una belva silente.

Ho tentato la strada della misantropia, la strada della devianza, della filosofia, dell’osservazione, della simulazione. Ma ce n’è una che non ho mai seriamente pensato di percorrere, che non mi sono concessa di percorrere. Forse è arrivato il momento. La scimmia e il lupo sono sull’attenti. E io penso: perché far morire di fame uno dei due quando posso nutrirli entrambi?

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American Psychos

Tra gli anti-eroi misantropi che affollano la mente di Maeve, c’è anche il Patrick Bateman di Bret Easton Ellis. È come se la guardasse costantemente, con un ghigno sornione, attraendola a sé. In lui, Maeve si riflette inevitabilmente: la quotidianità in una metropoli di eccessi, l’ossessione per la cura del dettaglio, i continui rimandi alla musica, la profonda riluttanza verso una società imbevuta di finzione ed immobilizzata dal vizio.

Umani che si sforzavano di avere un senso, di creare uno spazio per il senso. Un’esperienza. Qualcosa da desiderare. Vedevo cadaveri che camminavano nei loro abiti eleganti pensati per non sembrare eccessivi. Costosi ma informali. Non mi sto nemmeno impegnando, dicevano, non è uno sforzo. E invece l’impegno, lo sforzo, avvelenava l’aria, la profumava. Era da tutte le parti. Era inebriante. La gente finge ovunque, sempre. Ma qui, a Hollywood, molto di più. Così tanto da trasformare la finzione in autenticità. Avrei voluto berla e ingoiarla e saziarmene.

Patrick, disgustato dall’umanità, si avvicina all’omicidio per sperimentare un’esperienza estetica: ritrae ogni uccisione con la stessa meticolosa precisione con cui sceglie i vestiti ogni mattina prima di calcare strade di Manhattan. Incapace di provare piacere, soffoca la sua frustrazione nella violenza, dilettandosi nelle forme più stravaganti di tortura. Invece, ciò che spinge Maeve a uccidere, non è rabbia, quanto una sorta di istinto a cui non può sottrarsi: «non puoi essere quello che sei e sopravvivere». Per mantenere una stabilità interiore, non le resta che smascherare l’ipocrisia che la circonda, mettendo a nudo chiunque abbia davanti per rivelarne l’essenza più profonda.

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Empatia negativa

Tra le pagine di Maeve (acquista), Leede utilizza la penna come un bisturi. La sua scrittura affilata e viscerale risuona nella voce della protagonista, impegnata a rimettere insieme i frammenti confusi della sua interiorità. Maeve accompagna i lettori in un viaggio tumultuoso, in una Los Angeles macabra e psichedelica che la trascina verso una mostruosa metamorfosi. È dunque possibile empatizzare con una protagonista soffocata da violente e incontrollabili pulsioni? 

Come suggeriscono Stefano Ercolino e Massimo Fusillo nel saggio Empatia negativa (Bompiani, 2023), «c’è qualcosa, nel punto di vista del male, che ci conquista e ci obbliga a interrogarci su noi stessi molto più di quanto siano in grado di fare espressioni artistiche edificanti». E con Maeve, accade proprio questo: dietro alla belva, si nasconde una creatura volubile alle prese con speranze e sogni infranti. Non c’è più solo spazio per la repulsione: al lettore non resta che abbracciare quel bruciante sentimento di empatia negativa.

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Costanza Valdina

23 anni, nata a Perugia, studia letteratura americana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La descrivono come un’instancabile lettrice, un’incurabile cinefila e una viaggiatrice curiosa. Negli anni si è innamorata della scrittura e del giornalismo, ispirata dall’ideale che “pensieri e parole possono cambiare il mondo.”

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