Cronache da un museo che non esiste

«Il Museo degli sforzi inutili» di Cristina Peri Rossi

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«Il Museo degli sforzi inutili» di Cristina Peri Rossi

Vado tutti i giorni al Museo degli sforzi inutili. Chiedo il catalogo e mi siedo al gran tavolo di legno. Le pagine del libro sono un po’ sbiadite, ma mi piace scorrerle lentamente, ed è come se sfogliassi le pagine del tempo.

Quanto sarebbe bello poter visitare davvero il Museo degli sforzi inutili? Un luogo – lontano dalla frenesia della città – in cui curiosare tra le storie di sconosciuti che, nel loro piccolo, hanno sognato di fare qualcosa, magari di cambiare il mondo, per poi scoprire che tutti i loro sforzi sono stati vani.

Il museo stesso, a pensarci bene, è di per sé uno sforzo inutile: registrare gli inutili tentativi compiuti nel mondo, facendo attenzione a evitare doppioni, senza ricevere alcun compenso né essere visitato da lunghe file di persone curiose.

In realtà esiste un Museo del Fallimento itinerante, che raccoglie appunto i più grandi insuccessi commerciali contemporanei. Un modo per ricordare che tutti possono sbagliare, un luogo pensato con lo scopo di stimolare e ispirare: avere il coraggio di rischiare, perché il rischio, dopotutto, può essere un’opportunità. 

Nella raccolta di racconti di Cristina Peri Rossi, l’inutilità di cui si accenna nel titolo è quasi una provocazione: un gesto, anche il più banale, può rivelarsi vano da un momento all’altro.

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Perdersi nelle stanza del «Museo degli sforzi inutili»

Dallo svegliarsi e scendere dal letto (Istruzioni per scendere dal letto) al percorrere le scale senza ricordarsi se si stava salendo o scendendo (La crepa); dall’uomo che, dopo una rottura, prova a comprare il tempo per curare le ferite dell’animo (Il tempo tutto lenisce) alla donna che dona la propria vita alla sua dolce metà, condannando il malcapitato a portarne per sempre il peso (Storia d’amore); dal pittore che per ripicca ritrae la Monna Lisa con i baffi (Monna Lisa, appunto), all’uomo convinto che le persone gli scrivano molte lettere, nonostante non ne riceva alcuna (Lettere). Storie atemporali, in cui gli sforzi dei personaggi si rivelano degni di essere esposti nel Museo del titolo, e un invito a ripensare la vita fuori dagli schemi.

Una raccolta che, allo stesso tempo, ci spinge a riflettere sulle relazioni sentimentali, sulla fragilità dell’esistenza e sui conflitti generazionali.

«Noi vecchi», mormorò, «dobbiamo cavarcela da soli». 
«Noi pure», aggiunsi. 
«Hai visto?», disse la donna che aveva parlato per seconda. «Te l’avevo detto che questo mondo non è adatto nemmeno per i giovani. Anche loro devono scappare».

In meno di duecento pagine, il lettore ha a disposizione trenta racconti, alcuni brevi e altri brevissimi, autonomi ma complementari, in cui l’autrice abbatte il filtro tra reale e fantastico, tra prima e terza persona, tra maschile e femminile. 

Non è proprio vero che l’uomo ricerca l’equilibrio

Un esempio particolarmente significativo della capacità dell’autrice di cogliere la complessità dell’animo umano si ritrova non solo nel racconto che apre e dà il titolo alla raccolta, ma anche nel racconto Aeroporti.

Altri prediligono gli aeroporti perché amano sentirsi sospesi fra una città e l’altra, fra un’ora e l’altra, e adorano la sensazione di non essere partiti definitivamente, ma neppure di essere arrivati.

Ciò che attira, come un desiderio primordiale difficile da mettere a tacere, è il desiderio di fuggire: l’illusione di poter scegliere mete lontane, alternative esistenziali, nuovi inizi.

La vita negli aeroporti — fatta di arrivi e partenze, corse affannate e lunghe attese — riflette quel continuo movimento interiore che accompagna ogni scelta, ogni rinuncia, ogni speranza. In particolare nel racconto riserva anche un curioso spazio per «il curioso congresso dei viaggiatori che non sono mai riusciti a partire».

Tra questi, spicca un personaggio divenuto celebre, «un viaggiatore frustrato di New York, che aveva affittato un locale inutilizzato dell’aeroporto Kennedy per curarvi i suoi affari, ricevere visite e trascorrere il tempo libero», per poi decidere di trasferirsi lì definitivamente.

Una figura paradossale, che incarna il desiderio di cambiamento e, al tempo stesso, la paura di abbandonare del tutto la propria comfort zone.

È un racconto rappresentativo perché in ogni storia l’autrice sembra soffermarsi proprio su quell’istante fragile e decisivo in cui si prende la scelta di rompere la routine, di lasciare ciò che è noto. Un momento che può essere tanto liberatorio quanto angosciante, perché comporta l’abbandono temporaneo o definitivo di certezze conquistate. Ma è anche in questo spazio sospeso — tra slancio e timore — che si manifesta la vera complessità dell’essere umano: nel desiderio di cambiare e, allo stesso tempo, nel bisogno di rifugiarsi in ciò che rappresenta uno spazio sicuro.

Non è vero che l’essere umano ricerca l’equilibro, ma sente il bisogno di un nido che trasmetta sicurezza. Così l’aeroporto diventa simbolo di un’esistenza interiore sempre in bilico, in cui ogni partenza è anche una forma di resistenza, e ogni sosta può nascondere un richiamo alla fuga.

Il museo delle decisioni invisibili

Senza soffermarsi troppo su personaggi o dialoghi profondi, Peri Rossi concentra lo sguardo sull’attimo in cui si resta sospesi tra ciò che abbiamo sempre fatto e il motivo per cui lo fai. Sentimenti, relazioni, ossessioni.  

Di Cristina Peri Rossi – autrice uruguaiana – in Italia sono state pubblicate solo due opere: Le difficoltà dell’amore (La Tartaruga, tradotto da Claudio Fiorentino), e Il museo degli sforzi inutili, riproposta in libreria per SUR, tradotto da Vittoria Spada (prima uscita per Einaudi).

Con una scrittura sintetica, lucida e tagliente, in equilibro tra malinconia e un umorismo quasi sarcastico, Il Museo degli sforzi inutili (acquista) pare metterci in guardia sul caos generato, in un modo apparentemente ordinario, dall’imprevedibile gesto che può cambiare ogni cosa.

[…] sapevo che il mio andare portava solo all’interno delle parole, che è il luogo in cui mi sento al sicuro.

Consigliato a chi non ha paura di perdersi nelle stanze di un museo che, a tratti, potrebbe ricordare la propria vita, dedicato a chi costantemente si interroga sul senso ultimo delle proprio scelte e ha il coraggio di affidarsi all’ignoto.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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