Un mondo sospeso tra fragilità e memoria

«Il sorriso di Shoko» di Choi Eunyoung

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«Il sorriso di Shoko» di Choi Eunyoung

Il sorriso di Shoko di Choi Eunyoung è una raccolta di racconti in cui si intrecciano memoria, relazioni fragili e silenzi. La scrittura dell’autrice coreana, al suo esordio, lavora sulla delicatezza, sui piccoli gesti, su quegli istanti che si imprimono nella memoria più delle grandi svolte. Non si tratta di un romanzo che cattura attraverso colpi di scena, ma di un mosaico di voci e di frammenti che ruotano attorno a un tema comune: la vulnerabilità dei legami e il peso del ricordo.

Il libro, uscito in Italia per HarperCollins a febbraio 2025, ci invita a entrare nelle vite di personaggi diversi, uniti da esperienze di perdita, nostalgia e dalla difficoltà di comunicare. Nel farlo, Choi Eunyoung restituisce un ritratto intimo delle fragilità umane, mantenendo sempre un tono misurato, quasi pudico. Eppure, dietro questa misura, emergono con forza i conflitti interni e le ferite invisibili che ogni vita porta con sé.

Un mosaico di racconti e ricordi

Il sorriso di Shoko non è un romanzo unitario, ma una raccolta di racconti connessi da una medesima sensibilità narrativa. Al centro vi è spesso la relazione con l’altro, soprattutto quando quell’altro appartiene a un contesto diverso, a un orizzonte che sfida la nostra capacità di comprensione. Il racconto che dà il titolo al libro si concentra sulla storia di Soyu e Shoko, due ragazze che si incontrano grazie a un gemellaggio scolastico tra Corea del Sud e Giappone. Tra loro nasce un legame fatto di curiosità, silenzi, incomprensioni e attese: un rapporto che non esplode mai del tutto ma che rimane sospeso, incerto, fragile come la memoria che lo conserva.

Il filo che unisce le diverse storie è il ricordo, inteso non come semplice nostalgia, ma come spazio ambiguo in cui la realtà e l’immaginazione si sovrappongono. Ogni protagonista deve fare i conti con una mancanza: una persona che non c’è più, un’occasione perduta, un affetto che non si riesce a esprimere. Eunyoung racconta questo vuoto senza mai riempirlo, anzi lasciando che si dilati attraverso lo sguardo dei suoi personaggi. La scrittura si muove con estrema leggerezza: poche pennellate, un dialogo lasciato a metà, la descrizione di un gesto quotidiano. Eppure, dietro questa apparente semplicità, i racconti rivelano una densità emotiva che richiede al lettore di fermarsi, di riascoltare i propri stessi ricordi.

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L’incomunicabilità e i legami interrotti

Uno dei temi centrali della raccolta è la difficoltà a comunicare. Non soltanto per la barriera linguistica, come nel rapporto tra Soyu e Shoko, ma più profondamente per l’impossibilità di dire davvero ciò che si prova. I personaggi di Choi Eunyoung vivono spesso in un silenzio che non è soltanto esteriore, ma che diventa un vero e proprio spazio interiore: quello in cui si accumulano sentimenti inespressi, parole taciute, desideri lasciati in sospeso.

Volevo dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscivo a muovere la mascella. Se l’avessi fatto, sarei scoppiata a piangere.

In questo senso, il libro diventa una riflessione sul legame tra vicinanza e lontananza. I rapporti non si spezzano necessariamente per un evento traumatico; spesso si incrinano per una somma di piccoli silenzi, di incomprensioni non chiarite, di mancanze che nessuno osa colmare. Così, nel ricordo, quelle relazioni diventano quasi ideali, cristallizzate in un’immagine che non si modifica più, come il sorriso di Shoko, evocato e insieme inaccessibile.

La forza del testo sta nel non offrire soluzioni, né catarsi. Eunyoung non costruisce finali rassicuranti: ci lascia invece con la percezione che la vita sia fatta anche di interruzioni, di assenze che non trovano risposta. È un modo diverso di raccontare, lontano dalla logica occidentale della risoluzione narrativa. Nel suo mondo, ciò che resta è un’eco, una traccia che continua a interrogarci.

Memoria, identità e storia collettiva

Oltre all’intimità dei rapporti personali, Il sorriso di Shoko affronta in maniera sottile anche una dimensione più ampia, legata alla memoria storica e collettiva. Non è un caso che il racconto centrale ruoti attorno a un’amicizia tra una ragazza coreana e una giapponese: dietro questa relazione si intravedono le ombre dei rapporti tra i due Paesi, segnati da una storia dolorosa di occupazioni e tensioni. La scrittrice non trasforma mai questo sfondo in un tema esplicito, ma lo lascia emergere come un sottotesto, come un peso silenzioso che grava sulle vite individuali.

La memoria privata si intreccia così con la memoria storica. I protagonisti non sono solo individui isolati, ma portano con sé i retaggi di intere comunità. Anche il ricordo, quindi, non è mai innocente: diventa il luogo in cui si sovrappongono sentimenti personali e ferite collettive. L’incontro con l’altro, sia esso un amico, un amante o un familiare, è sempre mediato da un bagaglio di memorie che non possiamo scegliere di dimenticare.

La memoria è un talento. Ci devi nascere – mi disse mia nonna quando ero piccola. – Ma è un talento doloroso. Quindi cerca di essere un po’ meno sensibile. Sii molto cauta con i ricordi felici, mia cara. Sembrano gioielli, ma in realtà sono carbone ardente.

Questa stratificazione rende i racconti di Choi Eunyoung particolarmente intensi. L’autrice riesce a parlare di storia senza mai fare della sua scrittura un discorso ideologico: tutto resta filtrato attraverso la delicatezza della percezione individuale. Ciò che colpisce non è la ricostruzione di un contesto, ma l’emozione che si nasconde dietro a un dettaglio, la percezione che anche dietro a un gesto minimo possa celarsi un’intera eredità culturale. In questo equilibrio tra personale e collettivo risiede la forza dell’opera: ci ricorda che la letteratura non è mai solo un fatto individuale, ma un dialogo continuo con ciò che ci precede, con ciò che resta inscritto nella memoria comune.

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La scrittura come spazio di cura

Un altro aspetto che colpisce nella raccolta è il modo in cui la scrittura diventa uno strumento di cura, sia per i personaggi sia per chi legge. Ne Il sorriso di Shoko (acquista) di Choi Eunyoung non troviamo mai esplosioni emotive, ma piuttosto un linguaggio trattenuto, che sembra custodire con attenzione la vulnerabilità dei suoi protagonisti. Questa misura non è freddezza, bensì una forma di rispetto: l’autrice non invade mai le emozioni dei suoi personaggi, ma le osserva a distanza, lasciando che siano i dettagli a parlare.

La scrittura si fa allora luogo di protezione, un modo per trattenere il dolore senza cancellarlo, per dargli una forma che possa essere condivisa. Nei racconti, i ricordi dolorosi non vengono rimossi, ma trasformati in narrazione: diventano così meno pesanti, quasi addomesticati. È un processo che rispecchia quello stesso che il lettore vive durante la lettura, trovando tra le pagine una possibilità di riconoscersi e di rielaborare le proprie ferite. Questa dimensione “curativa” non rende mai i racconti consolatori: al contrario, la loro forza sta nel mostrare che il dolore non si supera, ma si attraversa. Ed è proprio nel gesto di raccontarlo che diventa possibile sostenerlo, farne memoria e, forse, continuare a vivere con esso.

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Elisa Capitani

Classe 1996, lettrice appassionata, amante della letteratura e della scrittura in tutte le sue forme. Ha studiato Lingue e Letterature Straniere a Milano e ha proseguito il suo percorso accademico con una magistrale in Letterature Comparate a Bologna. Ha vissuto a Parigi per quasi tre anni, esperienza che le ha permesso di ampliare i suoi orizzonti culturali e linguistici. Sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare, sogna di viaggiare, imparare nuove lingue e arricchire il suo universo letterario.

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