Trieste e i suoi autori: Svevo, Joyce e Saba

«Trilogia triestina. Svevo, Joyce, Saba» di Mauro Covacich

7 minuti di lettura

Trilogia triestina è una raccolta di tre monologhi teatrali di Mauro Covacich, che rappresentano molto di più di questo: un viaggio non solo attraverso tre autori in modo meramente didascalico, bensì dentro alla Trieste letteraria con i suoi luoghi, il suo dialetto e l’universo, che questi grandi scrittori hanno saputo descrivere.

Nell’introduzione, Covacich spiega che questo lavoro gli è stato commissionato, avendo spesso frequentato il Teatro Rossetti di Trieste, dove sovente vanno in scena spettacoli tratti dai suoi libri. Così, dopo il primo dedicato a Svevo, ne ha scritti altri due, uno su Joyce e uno su Saba. I tre monologhi, spiega, dovevano avere una loro continuità interna, con l’ovvio legame con la città di Trieste.

Il monologo teatrale per parlare di Trieste

La scelta del monologo teatrale come forma espressiva è sicuramente molto efficace. Non in maniera banale come si potrebbe pensare: non è per esempio Svevo a raccontare di sé stesso, per esempio, ma è come se il monologo fosse a metà tra il racconto sincero sugli autori, ognuno con le proprie inquietudini, e una sorta di lezione.

È vero che al di là della forma, Trieste stessa si presta a un teatro fatto di autori e letteratura: basta girare un po’ per la città per incontrare le statue degli scrittori citati nei monologhi, insieme per esempio a quella di Gabriele D’Annunzio. Già per sua connotazione, quindi, Trieste mira a far comprendere ai propri visitatori che si porta addosso il bagaglio di autori che l’hanno amata; qualcuno, come Joyce, l’ha scelta, altri si sono ritrovati a doverla “affrontare”.

I tre monologhi hanno quindi una struttura che crea fra loro continuità: non solo per Trieste che – in quanto fil rouge – offre lo sfondo principale, ma anche per il fatto che, nel caso per esempio di James Joyce e Italo Svevo, alcuni autori si sono realmente incontrati. Nel caso di Svevo, Joyce è stato un grande sostenitore ed estimatore del suo lavoro; senza di lui, il capolavoro La coscienza di Zeno non sarebbe esistito.

Trieste è l’Italia, ma è un’Italia strana. L’eccentricità, l’anomalia della Venezia Giulia, la sua storia, il “dialettaccio”, la “linguetta”, sono una combinazione di fattori che induce un senso persistente di spaesamento in cui scrive. Questo spaesamento diventa esponenziale nella Coscienza di Zero, perché si aggiunge l’elemento psicoanalitico.

«Trilogia triestina», Italo Svevo

«Trilogia triestina»: tra outsider e luoghi

Le figure degli autori emergono quindi come quelle di outsider, geniali, visionari e capacissimi nella sperimentazione. Covacich restituisce un ritratto vivido e affascinante con momenti di malinconia, sarcasmo ma anche ironia, che consentono di conoscere benissimo gli autori legati alla città di Trieste.

Il terzo monologo è dedicato, come detto, a Umberto Saba, quello che ha dedicato a Trieste diverse poesie del suo Canzoniere, utilizzandola come esempio di crogiolo di diversità. Trieste trova spazio in Saba nella poesia, ma anche nella prosa: tra i suoi Ricordi-Racconti (fra le sue prime opere in prosa) c’è anche Gli ebrei, dove fa riferimento al ghetto di Trieste. È invece il dialetto triestino a trovare enorme spazio nel romanzo Ernesto.

C’è un Saba della vita e un Saba della morte. Un Saba della chiarezza e un Saba dell’oscurità. C’è un Saba che rende esplicito il suo lamento per la condizione umana e un Saba che riconosce negli animali un volto e nelle donne un’animalità nascosta. […] C’è un Saba che ama Trieste e un Saba che la odia. Ma questi due Saba sono lo stesso.

«Trilogia triestina», Umberto Saba

Se c’è un pregio in Trilogia triestina (acquista) è la capacità di Covacich di restituire la città di Trieste in maniera semplice e accessibile, attraverso storie umane, letterarie ed efficaci.

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Il teatro come scoperta

La scrittura di Covacich è raffinata e avvolgente, capace di ricreare luoghi, voci, pensieri. Lo sappiamo, Trieste è la città dei caffè letterari, che insieme alle statue che abbiamo citato sono forse il tratto distintivo di questo luogo, ma se non si ha mai avuto l’occasione di visitare la città è difficile comprendere fino a che punto la letteratura sia così importante.

Trieste si è unita all’Italia più tardi delle altre, cosa che le ha permesso di essere più europea che italiana, di costruire uno spartiacque fondamentale per insegnare la sperimentazione, la diversità, ma anche la crisi agli autori che da lei sono stati accolti. Non a caso, James Joyce la scelse: a differenza di Dublino, che gli capitò per l’infanzia, Trieste divenne la città che lo fece maturare e crescere come autore, portandolo a costruire il capolavoro Ulisse.

Perché vedete, l’Ulisse non si legge, si esegue. È un’opera che ogni lettore interpreta attivandola, come una partitura, appunto. Leggendo, non appendiamo notizie sulla vita di Leopold Bloom, ma rendiamo possibile Leopold Bloom, lo suoniamo. L’Ulisse è la giornata di un uomo qualunque ed è, al contempo, la microfisica dei gesti quotidiani di centinaia di personaggi. L’universo nella mente di un uomo.

«Trilogia triestina», James Joyce

Scoprire tre autori e la stessa Trieste tramite il teatro è forse la più grande fortuna che possiamo avere. Grazie a questo libro, anche chi non può andare al Rossetti può godersi questi tre monologhi senza vederli a teatro.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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