La ricerca delle piccole attenzioni

«Una minima infelicità» di Carmen Verde

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«Una minima infelicità» di Carmen Verde

Una minima infelicità di Carmen Verde è candidato al Premio Strega 2023. Esordio dell’autrice, ha in sé tante piccole grandi meraviglie. Con le sue 160 pagine, il romanzo fugge dalla sua apparente brevità per donare al lettore l’essenziale di una storia che sembra verissima, vissuta, semplicemente autentica.

La tematica centrale che si afferra subito dal titolo è quella della piccolezza. Una piccolezza posseduta fisicamente, e ricercata in piccole cose e attenzioni.

L’infelicità è irragionevole. C’è chi ne è oppresso già dalla nascita e chi, sopperendo alla mancanza di predisposizione naturale, rimane così a lungo a contemplarla in sua madre da arrivare a sentirne nella pelle gli spini.

«Una minima infelicità» è la storia di una figlia e di una madre

Annina è la protagonista che racconta in prima persona la sua storia familiare. Il dramma di essere nata minuta, piccola, determinata a poter trovare l’affetto di una madre e dover cercare di essere all’altezza di lei, in tutti i sensi. Sofia, la madre, è una donna particolare: bellissima, ma dannata. Fatta di vizi e segreti, che la figlia cerca di comprendere senza mai giudicare. Vorrebbe possedere ogni suo aspetto, poterla decifrare così da avere quelle piccole attenzioni che forse ogni figlio desidera.

Mi chiedeva di aprire tutti i mobili del soggiorno, del salone, della sala da pranzo. Li dove c’era stato io servizio di piatti […] ora dominava un grande e nobile vuoto, in cui lei si rispecchiava. […]Ignorava Sofia Vivier che la distinzione vera, e perciò più crudele, è tra l’«avere» e il «non avere» (tra l’«avere» e il «non avere avuto mai»).

La storia ruota attorno sostanzialmente a figure femminili: mamma, figlia, nonna e infine Clara, una domestica tirannica che sembra alienare e osteggiare Annina, finché non si macchierà anche di un crimine. Annina è criticata nelle sue letture, nel suo fisico, nella sua essenza di piccola persona. Piccola come tutti, non solo per il fisico, ma per quelle piccole mancanze che tutti possediamo e che tutti cerchiamo di colmare.

Semplice, misurata e autentica è la descrizione sintetica di una donna che parla in prima persona e si dichiara come essere umano fragile, piccolo nella grandezza del mondo.

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Il minimo come massimo

L’aspetto interessante del romanzo è soprattutto l’equilibrio, la precisione. Se la virtù sta nel mezzo secondo un celebre detto latino, qui la virtù si trova invece nel minimo.

È minima la prosa di Carmen Verde, che con lucidità ha creato una voce narrante in grado di suscitare nel lettore empatia, stupore, coinvolgimento. Alcuni paragrafi e capitoli sono brevissimi, e in questa brevitas va ricercata la profonda natura del romanzo (acquista). Gli spazi bianchi dei fogli sono il silenzio assordante di un dramma familiare che non lascia spazio ad eccessi, e nemmeno a sogni grandi, ma a piccole ambizioni, straordinarie in quanto minime e minimaliste.

Al minimalismo si legano tantissimi grandi esempi della letteratura classica, come la poesia bucolica di Teocrito e poi Virgilio. Era costituita proprio da un mondo ideale di pastori dove nulla sembrava poter intaccare la bellezza del locus amoenus. Qui non c’è un mondo ideale, ma c’è il minimale della realtà, anche qui si ritrova, in prosa, quella ricerca di bello anche nel brutto, di grande anche nel piccolo.

Le davo quella dolce parola proibita, come ai bambini si dà lo zucchero prima della medicina. Lei sembrava allora dimenticare la gamba ingessata, pesante come un macigno, e sul viso le tornava la solita, quieta impressione di porcellana.
L’idea della morte la placava. Si addormentava quasi subito. […] Sperai che la morte non l’amasse più di me.

Sembra di ritrovarsi in un fanciullino pascoliano alla ricerca del suo nido. Il gioco di parole nel titolo suggerisce quella stessa malinconia, una speranza illusa e disillusa. Annina vorrebbe solo trovare sua madre, averla vicino, appartenerle. Il desiderio più primitivo e più bello: amare ed essere amati da chi ci ha messo al mondo.

Una minima (in)felicità che risiede nella piccolezza

Il lavoro che l’autrice opera per lanciare il messaggio della grandezza del piccolo, sta anche in contenute descrizioni:

L’infelicità non è soltanto una categoria dello spirito. Se così fosse, se si trattasse di una faccenda esclusivamente interiore, chiusa nel segreto del nostro essere, nessuno riuscirebbe a vederla.No. L’infelicità è un luogo, un luogo fisico, una stanza buia nella quale scegliamo di stare. Tanto che, quando accendiamo un lume, subito lo schermiamo, perché nessuno possa spiare all’interno. […]Tutta la casa era tinteggiata di bianco, e così anche quella stanza. Lì dentro, però, il bianco comunicava un senso di freddezza. […] Nel piccolo scaffale a destra della poltrona di velluto, due file di libri. Le rare volte in cui mamma dimenticava l’uscio accostato, mi illudevo di poter entrare.

Lo scaffale dei libri è piccolo, ma grande è il valore della parola, detta o non detta che sia. Ripetuta, come il nome e cognome della madre, Sofia Vivier, così musicale e intenso ma che nel suo incessante ritrovarsi nel romanzo significa solamente che Annina non la chiama mamma. Il leitmotiv dell’infelicità si ripete poi con incessante volume, pur essendo definita minima esplode nella naturalezza di una forza narrativa impossibile da dimenticare e che porta a concludere la lettura tutto d’un fiato.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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