Il secondo romanzo di Bernardo Zannoni, autore di I miei stupidi intenti, Premio Campiello 2022, s’intitola 25.
Questo numero è pregno di molteplici significati dentro il romanzo e non indica solamente l’età del protagonista, ma l’essenza di tutta questa storia che del primo romanzo di Zannoni non ricorda nulla se non la scrittura scorrevole.
È infatti un romanzo di formazione in cui però l’autore non vuole procedere in modo lineare o realmente formativo, bensì attraverso la rappresentazione del vuoto stesso che attanaglia un’intera generazione. Il quadro di un dramma interiore che spinge un giovane un uomo, inevitabilmente, all’immobilità e all’ignavia a causa e grazie alla sua età.
25: una “strana creatura”
25 sono infatti gli anni della strana creatura protagonista di questo romanzo. È quindi un ragazzo di venticinque anni che si chiama Gerolamo. Fin dalle primissime righe più che lui come figura emerge quella della zia, una donna che ha avuto contrasti con la madre di Gerolamo e che disprezza profondamente la casa al mare, che ora ha ereditato lui, dove ella non vuole più mettere piede.
Nei dialoghi con la zia forse il libro raggiunge il suo apice, nella descrizione delle emozioni di entrambi e nel contrasto fra cosa si dicono, e cosa pensano. Perché la vicenda ha un protagonista preciso, ma è corale nella misura in cui lo snodo diventa il suo rapporto con gli altri, e l’incapacità o capacità di vivere anche affidandosi al mondo con consapevolezza.
«Vedi», disse. «Il problema di affidarsi a un’altra persona è che è un’altra persona. Perché io sono io. Ma tu chi sei?»
La storia per quanto possa sembrare ordinaria, non lo è. Fin da subito il protagonista appare colmo delle usuali contraddizioni di un’età come i 25 anni, ma il 25 è una sorta di spada di Damocle che lo attanaglia anche più profondamente di così. È un adulto in teoria, ma si sente ancora bambino. Memore di un’infanzia complicata fatta di abbandoni, di assenza di genitori, con il solo punto di riferimento di quella zia che lo vorrebbe tanto sistemato e con un bel lavoro, adatto a lui.
Gerolamo, invece, segue ambiziosi che non sono delle non ambizioni. Vive vicende che sembrano non vicende. Perfino quando uno dei suoi migliori amici vuole togliersi la vita, l’empatia di Gero (come è soprannominato) vacilla, in quanto è troppo pieno di una crisi esistenziale fortissima.
Leggi anche:
Nella valle scura ai piedi del Monte Rosa
Un romanzo di formazione non-formato
Potrebbe sembrare un difetto, e per certi aspetti lo è, ma la caratteristica totalizzante di 25 è la sua non-formazione pur essendo un romanzo di formazione. Sicuramente ricorda i Bildungsroman, ma non risente della forte introspezione psicologica che li caratterizza.
Il suo protagonista è senza dubbio un inetto, ma non fino al punto da fargli scavare in fondo a questa inettitudine come nei romanzi di sveviana memoria. Ciò non è una critica, bensì un tratto: il romanzo rappresenta Gero proprio attraverso la sua struttura, che è una non struttura come Gero è una strana creatura che non vive.
La narrazione è scorrevole, ma non incastra mai i vari eventi. Il romanzo non è irrisolto, bensì è un irrisolto, come Gero. La formazione in questo caso diviene una non-formazione, una non forma, che insiste a non dire niente se non il vuoto.
25 anni in balia del mare
Non bisogna dimenticarsi che Zannoni è classe 1995, e quindi della nuova vita di questi quasi trentenni conosce tutto. Non si può prescindere dal tenere conto dell’età dell’autore e dal contesto in cui probabilmente si sarà mosso, per leggere 25 (acquista). Bisogna focalizzare appieno il dramma di una generazione in crisi costante fra essere adulta ma senza averne le opportunità ed essere ancora bambina superando i propri traumi. È la ricerca costante di un senso a qualcosa che però senso sembra non averne mai. È chiedersi continuamente ma chi sono? E sarò mai qualcosa? Per poi spesso vedere dinanzi non qualcosa, ma solamente il vuoto.
Che senso aveva vivere per non essere niente? Che senso ha contare i giorni, attraversare le stagioni, se non si ha nulla da ricordare, nulla da perdere? Erano tutti perduti. Andavano a vuoto. Occupavano solo spazio.
Gero però non è immobile come appare, non è come quello che spesso si dice dei “giovani che non hanno voglia di lavorare”. Porta con sé un enorme dramma che lo affligge e una continua speranza che le cose possano cambiare, come la sua intera generazione.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!