Storie che sono la nostra. O almeno la lambiscono, l’accarezzano, avvolgono i fili di una memoria collettiva. Con L’album dei sogni (Mondadori, 2021) Luigi Garlando ne racconta una, quella dell’impresa dolce e rivoluzionaria dei fratelli Panini, capostipiti di un impero, inventori dell’oggetto di culto per generazioni di italiani: le figurine.
L’opera, che si legge d’un fiato nonostante la mole (più di 500 pagine), potrebbe definirsi romanzo storico se non avesse il taglio, tipicamente contemporaneo, dell’epopea familiare via via sottoposta alle regole del Bildung, del racconto iniziatico, dell’interrogazione sulla Storia. Ci sono passi in cui sembra di essere in Amarcord, quando sfreccia una moto col sidecar e ogni ricordo di donna è un misto di eros e tenerezza, di proiezioni e carnalità. Tutto, nella scrittura di Garlando, appare finalizzato alla costruzione di un “kolossal”, come se per narrare il miracolo emiliano servissero strumenti prismatici e il ricorso a un immaginario difficilmente catalogabile.
Alle origini della famiglia
L’avventura di Giuseppe, Benito, Franco Cosimo e Umberto Panini – i fantastici quattro, stesso numero delle figurine in bustina – è narrata a partire dall’assenza, ovvero dall’incontro tra il padre Antonio e Olga “la Caserèina”, amata a cavallo tra le due guerre in un’alba di sentimenti che Garlando rende con penna lieve, stagliando le loro figure su uno sfondo lacerato, reso più vivo – e sopportabile – dalla purezza dei loro gesti.
I balli alla fiera di San Geminiano, la foto per il fidanzamento, i primi segni della malattia di Antonio: ogni passaggio è intriso di levità dolente, come si potesse visualizzare l’attimo, saggiare – come accade davanti agli innamorati – il peso di un sentimento che lascia estranei, spettatori privilegiati di un piccolo prodigio.
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Le figurine, un’impresa italiana
La morte del patriarca, ucciso da un cancro allo stomaco «a quarantaquattro anni, in una mattinata grigia che piove gocce affilate come spilli», è l’inizio di un nuovo corso, con la figura di Olga a dominare la scena, lei «vedova di quarantun anni con otto figli», svincolata dal ruolo di moglie e madre pur nell’ansia di protezione. L’edicola di Corso Duomo, nel centro di Modena, è in questo senso emblema di una tenacia antica, di un coraggio nutrito con cura e ispirazione, fiuto per le sfide, gli affari il lavoro.
Comincia così l’ascesa dei “leoni d’Emilia”, da un osservatorio sull’Italia in trasformazione che si emoziona per le canzoni di Sanremo, sogna i viaggi in auto e la televisione mentre il calcio diviene fenomeno popolare, il companatico della buona domenica. Benito, il più fragile dei fratelli, ha un’intuizione: le buste a sorpresa, il primo seme della rivoluzione. Da lì il passo è breve; Giuseppe, “Il Vecio”, pensa alle figurine, transita dal fallimento dei fiori all’invenduto dei calciatori, prima che in quattro anni la macchina diventi perfetta, coinvolga tutta Modena e una famiglia che è parte e sintesi di un paese in cammino, pronto a risolvere a colpi di badile le prime intuizioni della “modernità”.
L’album dei sogni: narrare l’inafferrabile
Luigi Garlando è bravo a mescolare memoria e storia, invenzione e realtà. La sua è una narrativa sostanziale: un’attitudine della mente più che un genere o uno stile. Come già aveva mostrato in Per questo mi chiamo Giovanni (sul giudice Falcone, 2004) e ne L’estate che conobbi il Che (2006), il suo è un tentativo di raccontare storie, di dire la realtà in maniera autentica, con tutto il carico di gioie e contraddizioni. L’avventura dei Panini (acquista) è allora un viaggio nel periodo più esaltante del secolo scorso, narrato con uno sguardo prolungato – come la fortuna delle figurine – e privo di giudizio, perciò capace di intuire l’inafferrabile verità dei sogni.
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