Tra i candidati al Premio Strega 2022 c’è Niente di vero di Veronica Raimo (Einaudi, 2022), un’autobiografia che, come una sorta di monologo interiore, rivive i passi della sua vita di donna cresciuta in una famiglia dedita alla noia. I ricordi che, inevitabilmente, fanno parte del suo bagaglio esistenziale e, come un motivetto pubblicitario, accarezzano la mente nei momenti più imprevedibili.
Possono toglierci tutto tranne i ricordi, si dice. Ma chi mai sarebbe interessato a questa espropriazione? La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo. La memoria per me è come il gioco dei dadi che facevo da piccola, si tratta solo di decidere se sia inutile o truccato.
Tra le pagine di «Niente di vero»
Veronica, classe 1978. Sorella minore di un fratello ingombrante, il piccolo genio della famiglia. La madre, ansiosa per natura, e il padre, con manie igieniche atipiche, costituiscono il lessico personale dell’autrice. Se «C’è Francesca al telefono» in un primo momento è una frase che fa scivolare Veronica nella vergogna, stanca di quella madre che si ostina a rintracciare i figli immaginando tragedie ai limiti di Chi l’ha visto?, con il tempo diventa un segnale tra amiche, un modo per dire “Stai facendo una cazzata”. E «siamo arrivati al paradosso» è la frase che più caratterizza il padre, un uomo in grado di erigere quanti più possibili muri in appartamenti piccolissimi, lui che non conosce un altro modo per affrontare l’irragionevole.
Pagina dopo pagina, si passa dalla (falsa) passione di Veronica per la pittura alle terribili vacanze in Puglia e quelle mai fatte, dal liceo alle fughe a Berlino, dall’elaborazione del lutto paterno alla maternità indesiderata, senza dimenticare l’amore e il sesso.
Tutti i miei innamoramenti si nutrivano di solido platonismo. Non a caso l’anagramma del mio nome è «Invocare amori». Cioè, non viverli.
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Autoanalisi nostalgica
L’eredità di una consapevolezza mai completa. Un libro in cui Veronica sembra sul punto di interrogarsi sul senso di tutto, un’autoanalisi nostalgica di quei momenti rimasti eternamente sospesi e raccontati attraverso un tono tragicomico.
Essere scrittori è una condanna? E se gli scrittori in famiglia sono due? Veronica racconta del rapporto di «reciproca mutua assistenza», dalle bozze di un manoscritto agli articoli da scrivere per i giornali, il legame che li unisce. Il ritratto di una normale famiglia romana che, a ben guardarla, tanto normale non è. In modo simpatico, ovvio.
Autrice di numerosi romanzi, di Veronica Raimo ricordiamo: Il dolore secondo Matteo (minimum fax 2007), Tutte le feste di domani (Rizzoli 2013) e Miden (Mondadori 2018), uscito in UK, Usa e Francia. Nel 2019 ha scritto il libro di poesie Le bambinacce con Marco Rossari (Feltrinelli). Soprattutto traduttrice di autori come Octavia E. Butler, Ray Bradbury e Francis Scott Fitzgerald, autore che incontriamo tra le pagine di quest’ultimo romanzo.
Niente di vero (acquista) perché se c’è una cosa che temiamo più della morte è la verità. Consigliato a chi non è alla ricerca di risposte ma di una voce alle Annie Ernaux, la compagna di un intimo viaggio verso l’impresa che è il diventare donna oggi. Attraverso una prosa sincera, di una schiettezza disarmante, disincantata nel suo nevrotico tentativo di ripercorrere le strade dei ricordi. Come scrive Claudia Durastanti: «molte pagine sono ferite da medusa: bruciano alla distanza».
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