Ci sono notti che non accadono mai

«Berta Isla» di Javier Marías

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«Berta Isla» di Javier Marías

Scrive Alda Merini: «Ci sono notti – che non accadono mai – e tu le cerchi – muovendo le labbra». Leggere Berta Isla di Javier Marías è esattamente questo: entrare in una notte che non accade, spostare una sedia e sedersi pazientemente alla veglia di un morto inesistente.

Berta Isla, pubblicato nel 2017 da Einaudi, costituisce la prima parte di un dittico narrativo che trova il suo completamento in Tom Nevinson, edito nel 2021. Le opere, intitolate con il nome dei rispettivi protagonisti, raccontano la vita di Berta e Tom: due amori liceali presto diventati marito e moglie, ed altrettanto precocemente separati dall’adesione di Tom ai servizi segreti inglesi. Se, però, Tom Nevinson può essere verosimilmente descritto come una spy story, fornire una sinossi di Berta Isla risulta molto più complesso. Difatti, in quest’opera parzialmente multiprospettica, Marías ci narra un amore difficile, ma ci sfida anche a chiederci cosa possiamo davvero definire “amore”. Può essere tale un sentimento che non si manifesta nella quotidianità, ma che deve invece nutrirsi di ricordi per poter sopravvivere?

Come dirà lo stesso Marías, Berta Isla è soprattutto un romanzo “sobre la espera”, un romanzo sull’attesa, che ci mostra come l’amore possa formarsi e deformarsi proprio nel tempo del desiderio, della distanza e dell’assenza. Forse, allora, paradossalmente, le parole che meglio colgono l’essenza di Berta Isla sono le parole di un altro autore, scritte per un’altra opera, molti decenni prima:

Se queste sono, per la più parte, storie di come una coppia non s’incontra, nel loro non incontrarsi l’autore sembra far consistere non solo una ragione di disperazione ma pure un elemento fondamentale – se non addirittura l’essenza stessa – del rapporto amoroso.

Italo Calvino, «Gli amori difficili»

Essere ciò che ci legge

Berta Isla non è soltanto un romanzo sull’attesa: è anche un romanzo in cui la letteratura stessa si fa esistenza. In questa storia che si sviluppa “dietro le quinte”, Marías intreccia una fitta trama di rimandi a testi letterari e teatrali, come se ogni pensiero dei personaggi trovasse eco in una pagina già scritta altrove. Complice la professione di Berta – docente di letteratura inglese all’università di Madrid – il romanzo si popola di citazioni e rimandi, costruendo una realtà metanarrativa nella quale Marías ci racconta i pensieri dei suoi protagonisti attraverso i suoi autori di riferimento.

Shakespeare, Dickens, Melville, e soprattutto T. S. Eliot con i suoi Four Quartets: i dialoghi tra Berta e Tom si svolgono spesso su questo terreno condiviso. Le parole più essenziali che li esprimono si trovano dunque altrove, nei testi che li precedono, che colmano i loro vuoti e abitano i loro silenzi meglio di quanto essi stessi possano fare.

Partecipando allo stesso raffinato gioco di Marías, ci è possibile ritrovare le dinamiche relazionali di Berta Isla in alcuni versi di una bellissima poesia di Jorge Luis Borges, dal titolo I miei libri:


Non senza qualche logica amarezza
Suppongo che le parole essenziali che mi esprimono
Stanno in quelle pagine che mi ignorano, non in ciò che ho scritto.
Meglio così. Le voci dei morti mi diranno per sempre.

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Essere ciò che ci scrive

La ricchezza espressiva di Berta Isla non si limita, tuttavia, solamente ai rimandi ipertestuali. Un altro elemento sorprendente dell’opera è il modo in cui la scrittura di Marías aderisce ai propri personaggi, lasciando che la loro voce e i loro pensieri guidino la pagina. Passando da un capitolo narrato da Berta a uno in cui seguiamo Tom, si ha l’impressione di leggere due autori diversi, due universi interiori distinti, sebbene intrecciati con una precisione stupefacente. Cosicché le parole seguono i pensieri, i pensieri si misurano nelle parole, e ogni frase sembra modellata sul ritmo interiore di chi la pronuncia.

Le pagine di Berta sono bellissime, ma contorte, prolisse, ripetitive; dunque perfettamente coerenti con la sua interiorità. Nella vita, infatti, non le rimangono che “chiodi fissi”, domande e pensieri ossessivi su dove si trovi il marito, se sia ancora vivo, se e quando lo rivedrà. Ogni frase gira su sé stessa, si accavalla, si interroga, come se dovesse contenere tutte le possibilità, tutti i dubbi, tutte le ipotesi che le passano per la mente. È una scrittura che scende a patti con la consapevolezza che Berta (e noi con lei) non sapremo mai niente della vita di Tom, una narrazione che schiaffeggia il lettore al ritmo dell’incessante ruminare della coscienza.

Per molto tempo non avrebbe saputo dire se suo marito era suo marito, in modo simile a come non saprebbe dire, nel dormiveglia, se sta pensando o sognando, se ha ancora il controllo della propria mente o se lo ha già perduto per lo sfinimento. A volte pensava di sí, altre volte di no, e a volte decideva di non pensare e di continuare a vivere la sua vita con lui, o con quell’uomo che assomigliava a lui, piú vecchio di lui.

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Dall’altra parte, le pagine di Tom sono più contenute, asciutte, razionali. Ogni pensiero è calibrato, trattenuto, misurato con cura: la scrittura sembra temere di tradire il suo segreto, di farsi troppo trasparente. È un linguaggio controllato, a cui vengono riservate meno pagine, ma che lascia intravedere un’intensità quasi dolorosa. Tom guarda Berta con la brutale onestà di chi ha vissuto mille vite, ma ne ha avuta a cuore veramente una sola, quella che non ha scelto.

Tu sei una delle poche cose cui non mi sento obbligato, che ho potuto scegliere con libertà. In altri aspetti della vita ho la sensazione che la mia sorte sia segnata, di non essere stato io a scegliere,che siano stati altri a scegliere me. Tu sei l’unica cosa veramente mia, l’unica che so di aver voluto io.

In questo senso, Tom è l’antieroe, l’antispia: non celebra il mistero che lo avvolge, ma ne sopporta il peso, chiedendosi se valga la pena consumarsi nell’ombra per sollevare appena un granello di polvere su quella strada infinita che chiamiamo Storia.

Il mondo non lo alterano certo la nostra soppressione o la nostra nascita, il nostro lento percorso, la nostra esistenza, la nostra fortuita comparsa e il nostro inevitabile annullamento. E non lo altera alcun fatto, alcun crimine commesso o sventato, alcun avvenimento. Nell’insieme il mondo sarebbe lo stesso senza Platone o senza Shakespeare, senza Newton, senza la scoperta dell’America o senza la Rivoluzione francese. Non senza tutto questo insieme, ma senza uno di questi individui o eventi. Quanto è accaduto potrebbe non essere accaduto e tutto sarebbe essenzialmente uguale a com’è. O sarebbe accaduto in un altro modo, per altre vie o girandoci intorno, o più tardi, con altri protagonisti.

Essere nelle vite degli altri

Quanto influisce la nostra presenza sulle vite degli altri? Fino a che punto ci è possibile amare l’Altro se di esso non sussiste che la memoria, il ricordo di un tocco, un accento, un modo di spostarsi i capelli, un odore ? Quanto a lungo si può aggrappare l’affetto ai ricordi prima di mollare la presa? Questa è, indubbiamente, la domanda ricorrente che assilla i due protagonisti, il leitmotiv del romanzo.

Se è vero che questa domanda verrà lasciata intenzionalmente senza risposta da Javier Marías, è altrettanto vero che, sul finale, il lettore sentirà di aver camminato in punta di piedi nella mente dei due protagonisti, ed essere giunto a un ampio balcone, ove cui si ha una visione prospettica dell’amore e di quest’assenza che è “un assedio”, come canta Piero Ciampi.

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Da questa posizione privilegiata osserviamo Berta scoprire un’amarezza più profonda, un dolore nuovo che si può conoscere solo quando la giovinezza è sfiorita e si comincia a soppesare il proprio passato: la consapevolezza di quanto poco lei abbia contato nella vita del marito. Si scopre presente e assente allo stesso tempo, capace di amare e di attendere, eppure impossibilitata a penetrare davvero nei pensieri di Tom, a condividere intimamente il suo mondo.

Nulla di quello che faccio esiste per te. Non dovrebbe esistere nemmeno per me. Di fatto non esiste, come vuoi che te lo dica? Non avviene, non ha luogo… Accadiamo semplicemente.

Tom, dall’altro lato, vive nella speranza che Berta non l’abbia dimenticato. Perché se così fosse, l’unica vita che lui ha scelto, la sua vera identità, si perderebbe. Lui che per anni ha potuto vivere soltanto attraverso lei, mentre ne cresceva i figli, curava il padre malato, custodiva ciò che gli era precluso. Senza Berta, Tom diventa come uno spettro, o per usare una similitudine più confacente, come una spia: presente, eppure invisibile, pronto a svanire senza lasciare traccia; un’anima che “accade semplicemente”.

Di Berta Isla (acquista) ci restano dunque i dubbi, gli assilli, i tormenti di due anime che, come nel celebre quadro Gli amanti di René Magritte, si baciano, ma non si vedono. Impressioni e riflessioni carpite al buio di una notte che non accade mai.

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Mavi Soda

Classe 2003, studia Psicologia Cognitiva a Londra. Da sempre coltiva un amore per tutto ciò che riguarda le parole, che ritiene la più grande invenzione della storia, per citare David Peterson. Ama scrivere e inventare storie, leggere e rileggere; fa le orecchie alle pagine più spesso di quanto le piaccia ammettere.

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