Parlare di Horcynus Orca non è semplice, poiché significa immergersi in una trama complessa che intreccia storia e immaginario dello Stretto di Messina. Pubblicato nel 1975 dopo un lungo e travagliato percorso, il romanzo suscitò grande scalpore anche a causa delle incertezze del suo autore, Stefano D’Arrigo.
Dopo cinquant’anni, la casa editrice Rizzoli pubblica una nuova edizione corredata da fotografie di Giorgio Vasta, una postfazione di Siriana Sgavicchia e una nuova copertina.
Un vero e proprio caso editoriale
D’Arrigo iniziò a scrivere le prime bozze a partire dall’estate del 1956, trascorsa in villeggiatura sulle rive dello Stretto assieme alla moglie Jutta Bruto. Successivamente, nel 1960, la rivista Menabò, diretta da Elio Vittorini, pubblicò due estratti sotto il titolo già emblematico I fatti della fera. Qui sorsero delle prime difficoltà legate al codice linguistico adottato dall’autore messinese, sul quale torneremo dopo. Nonostante ciò, l’editore Mondadori provò molto interesse per il romanzo, e più volte sollecitò l’autore messinese a ultimarlo per offrirgli una pubblicazione.
Nonostante D’Arrigo e sua moglie lavorassero continuamente alla riscrittura e alla correzione delle bozze, appendendo le pagine manoscritte a corde da bucato tese lungo tutto l’appartamento, l’autore non era mai convinto del risultato e rinviava costantemente la pubblicazione, facendo sì che, di anno in anno, il testo raddoppiasse il numero di pagine rispetto alla stesura. Nel tentativo di fornire un sostegno morale ed economico, Mondadori si dimostrò estremamente disponibile nei confronti di D’Arrigo, convinto che il suo romanzo avrebbe ricevuto un successo straordinario, seppur non importasse molto all’autore.
Il faticosissimo lavoro di D’Arrigo terminò nel 1974, e l’anno dopo il romanzo vide finalmente la luce. La campagna pubblicitaria che seguì si diffuse rapidamente, con annunci che riportavano frasi tratte dal libro, numero di copie vendute, e slogan che seguivano lo stesso motto: «opera fondamentale: un libro che lascerà il segno nella letteratura moderna».
Definito dai più come un intento di rivisitazione parodica dell’Odissea di Omero e del Moby Dick di Herman Melville, Horcynus Orca in realtà si presentò come un lavoro originale e, per questo, suscitò l’attenzione di molti critici e scrittori dell’epoca, poiché si avvertiva il bisogno di ridefinire i canoni e gli obiettivi di un genere letterario che, a seguito della svolta strutturalista, non poteva più rimanere attaccato agli stilemi della tradizione.
«Horcynus Orca», storia di un popolo
Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatré, il marinaio nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambria arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi
L’incipit rende subito chiara l’idea del modello narrativo adottato da D’Arrigo, e soprattutto l’ambiente della storia. Il protagonista ‘Ndrja Cambria deve tornare a Cariddi dopo aver prestato servizio militare, e durante il viaggio attraversa un territorio devastato dagli orrori della guerra, al punto tale che tutti gli abitanti provano un forte senso di estraniamento che li porta a canalizzare l’origine del male in un animale, precisamente la cosiddetta orcaferone e le fere, piccole consimili.
Fin qui, la trama appare semplice. In più di mille pagine, in realtà, si narra una vicenda dai tratti fortemente mitici, dove l’ambiente è caratterizzato dalla presenza di personaggi che appartengono ad una civiltà che sembra non aver conosciuto la scrittura, e delle creature marine che terrorizzano gli abitanti dello Stretto, in un crescendo onirico che governa l’andamento della storia.
Nel disperato tentativo di tornare a casa dopo la guerra, ‘Ndrja manifesta un senso di devozione e spirito di lotta per restituire determinati valori di dignità e di resilienza, affinché potesse restituire l’esistenza di un’identità culturale che, fino ad allora, ha sempre pensato di conoscere bene.
Il ruolo degli animali in Horcynus Orca
L’ambientazione del romanzo non si allontana troppo dal mare, punto nevralgico delle due sponde dello Stretto. In ottica mediale, il mare è un medium di vitale importanza per determinati animali marini e anche per gli uomini. In Horcynus Orca le fere influenzano la vita dei pescatori e l’ambiente circostante, incarnando un’esistenza fondata sul mare, in cui comportamento, comunicazione e sfera cognitiva si sviluppano in relazione agli uomini, pur appartenendo a un’altra specie.
Dissi fra noi e noi, ripeto e dico, perché con la fera siamo alla pari […] siamo alla pari come consimili, dal principiare della vita, anzi dal concepimento, alla pari cioè nel ventre della nostra madre, alla pari per il tempo che ci mettiamo a formarci, nove mesi noi e nove mesi loro e alla pari poi per tutta la vita, loro là a mare e noi qua a terra, loro a corrugare la fronte bozzuta per darci l’improsatura e noi a leggerle nella mente beccuta per pararci l’improsatura
Questo dialogo, effettuato da don Luigi Orioles – uno dei personaggi del romanzo – rappresenta il legame simbiotico che intercorre tra i pescatori e questi animali, poiché insieme contribuiscono all’esistenza di una tradizione marinaresca tipica di una precisa identità culturale.
Il linguaggio darrighiano tra oralità e proiezioni oniriche
I critici e i letterati dell’epoca, in particolare Elio Vittorini, attaccarono il romanzo soprattutto per l’utilizzo di un linguaggio troppo dialettale. Infatti, egli trovava l’uso dei dialetti «poco raccomandabili ai fini di uno sviluppo moderno della lingua e della letteratura», poiché intrisi «di una morale tra contadina e mercantile, tutti portatori di inerzia, di rassegnazione, di scetticismo, di disponibilità agli adattamenti corrotti, e di furberia cinica». In realtà, l’autore voleva creare una lingua fuori dal tempo, affinché tutti potessero capirla in relazione al contesto della storia.
La lingua adottata dall’autore veicola l’immagine del mondo per com’era, dando ulteriore prova della sua statura da letterato che non si è rinchiuso nella cosiddetta torre d’avorio della letteratura, proponendo una narrazione inedita, con il pretesto di creare un atlante di immagini che, in ottica transmediale, rappresentassero l’identità di quella civiltà. La forza centripeta della lingua forgia il destino dei personaggi, segnando un grado di separazione tra chi dopo la guerra torna alla vita e chi rimane tra le macerie.
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Nei vari dialoghi emergono usi delle parole che richiamano, effettivamente, a un’antica vocazione teatrale, fondata sull’oralità. Quest’ultima, secondo il pensiero dello storico Walter J. Ong, viene trasmessa agli individui per mezzo di una forma di apprendistato, basato prettamente su formule rituali fisse che vengono ripetute per essere memorizzate in modo corretto. I pescatori, infatti, parlano e si capiscono tra di loro mediante parole che evocano una tradizione riflettente la loro mentalità e, quindi, la loro identità.
Dunque, è qui che si avverte il ruolo di narratore onnisciente il quale, andando oltre un probabile tentativo di ecfrasi, proietta l’immagine di sé stesso in quasi tutta la narrazione in un processo – seppur racchiuso nel supporto mediale del libro – performativo che lega passato e futuro in un presente privo di memoria, ma che viene evocato nel corso della narrazione.
«Horcynus Orca» oggi
La scelta di rappresentare un mondo afferente alla pre-modernità non è stata del tutto casuale. In un’epoca in cui il cinema, la radio e la televisione sono stati capaci di ridefinire i canoni della comunicazione e della rappresentazione collettiva del mondo, D’Arrigo ha realizzato un’opera che non può racchiudersi esclusivamente nel genere letterario, poiché da esso prende forma un universo simbolico di un mondo che, tralasciando l’espediente metaforico impiegato dall’autore, ha dato vita ad un immaginario letterario che si è diffuso nel tempo, favorendo quel processo di trasmissione della memoria di cui molte scrittrici e scrittori hanno preso come nume tutelare per scrivere di Messina, e dello Stretto, seppur usando una lingua diversa.
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Horcynus Orca (acquista) si può intendere come una grande narrazione dove confluisce un insieme codificato di significati frutto di tutte le osservazioni compiute negli anni dall’autore messinese. Seguendo la prospettiva dell’antropologo Aby Warburg, un atlante contiene delle raffigurazioni che, oltre a documentare la testimonianza dell’esistenza di certi popoli, rappresentano anche la relazione che l’uomo intrattiene con i simboli di cui si serve per configurare la propria visione del mondo e per produrre memorie.
D’Arrigo, con straordinaria lucidità narrativa, ha rappresentato in una lingua “strettese” le radici culturali di Messina, dimostrando così che senza mediazione non si può né vivere in armonia col mondo né creare un immaginario capace di generare storie, stimolando fantasia e sogno, fine ultimo della narrazione.
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