«Devo fingere di lasciarti»: l’omaggio di John Berryman

Un'analisi di «Omaggio a Mistress Bradsheet» di John Berryman

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«Omaggio a Mistress Bradstreet» di John Berryman

È il 1956 quando John Berryman pubblica negli Stati Uniti il poemetto Homage to Mistress Bradstreet, precedentemente apparso sulla Partisan Review. All’epoca Berryman non godeva di grande fama in Italia, eccetto tra pochi appassionati e studiosi di poesia anglofona.

Alcuni critici non esitarono a salutare l’arrivo dell’Homage come il degno successore di The Waste Land di T.S. Eliot. Tuttavia, nemmeno queste lusinghe spinsero un editore a cimentarsi nella pubblicazione di un poeta ostico, citazionista e – almeno in una prima parte della propria produzione – ancorato fortemente alla tradizione americana. Infatti, il poemetto è un dialogo intrattenuto con la prima poetessa statunitense, Anne Bradstreet. Fra le prime a vivere nelle colonie del Nord America nel XVII secolo, Bradstreet ha una forte vocazione puritana, elemento predominante nella grandissima maggioranza dei suoi versi. Già da queste premesse, dunque, è comprensibile come vi siano state certe resistenze commerciali a pubblicare un’opera del genere.

Fortunatamente la carriera di Berryman proseguì in maniera ostinata ed eccezionale, tanto che il suo 77 Dream Songs si aggiudica nel 1963 il Premio Pulitzer per la poesia. Sulla scia del successo nel 1968 anche la seconda parte della raccolta precedente – His Toy, His Dream, His Rest – ottiene il National Book Award. I tempi, perciò, appaiono maturi. L’Einaudi, quindi, decide nel 1969 di pubblicare Omaggio a Mistress Bradstreet, per la traduzione e curatela di Sergio Perosa – oggi professore emerito all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Dalla poesia confessionale all’epica

Attualmente per la critica Berryman si inserisce nella corrente della cosiddetta confessional poetry, con autori del calibro di Sylvia Plath, Anne Sexton e Robert Lowell. In questo senso, Berryman rifiuta – nonostante una prima attrattiva – il principio dell’impersonalità professato da Eliot e cerca di partecipare emotivamente alla stesura delle sue poesie, senza per questo scadere nell’intimismo o – addirittura – nel patetico.

Perosa, in merito, accosta la produzione dell’autore dell’Omaggio a quella di Robert Penn Warren, altro immenso poeta statunitense i cui versi sono stati purtroppo offuscati dalle sue grandi doti di romanziere. Proprio nel saggio introduttivo all’antologia dedicata a quest’ultimo, Perosa specifica come Warren – ma come Berryman d’altronde – «è nel vivo della sua epoca, [collocandosi] in posizione intermedia, di conciliazione fra poesia intellettualmente controllata e poesia mimetica dell’urgenza contemporanea».

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Così Berryman è sì coinvolto, ma la partecipazione è accuratamente arginata da forme poetiche chiuse. Il poeta riesce così a esplicare la dolorosa consapevolezza di sé e del mondo in una complessa e raffinata ricerca metrica e – conseguentemente – in un linguaggio e stile elevati. Però l’high style di poeti come W.B. Yeats viene poi contemperato anche dalla presenza di uno stile più ironico – in parte ispirato a W.H. Auden. Il tutto ovviamente coronato dall’insegnamento dei classici, primi fra tutti Shakespeare – di cui Berryman sarà grande studioso e critico – e i poeti metafisici inglesi.

L’Omaggio, in particolare, si struttura in cinquantasette strofe di otto versi l’una. Come annota attentamente Perosa: «è una strofa […] che si articola su due pentametri iniziali seguiti da un verso breve (in genere trimetro) e che viene spezzata da un quarto verso accentuativo (e non sillabico) di quattro battute, cui segue un distico rimato (heroic couplet), ancora un trimetro e un alessandrino finale che rima con il primo verso». Per alcuni potrebbe trattarsi di manierismo, eppure Berryman è radicalmente convinto del ruolo del poeta come artigiano della parola, capace di trarre piacere dalla propria arte.

Nella sua opera vi è estrema cura, tale da conciliare e comprendere le idiosincrasie tanto del linguaggio quanto della storia. Berryman comincia con Omaggio a Mistress Bradstreet – più rispetto ad altre sue opere precedenti – a essere il poeta per eccellenza dell’“io”. L’io poetico inteso come unità, scevro da costrizioni e formalità sociali. Tuttavia – e in quest’occasione Walt Whitman è esemplare –, Berryman oltre al dramma e alla commedia percepisce e delinea sempre più consapevolmente un preciso percorso epico. Come l’autore confesserà con riferimento al suo poemetto – ma anche all’intera sua produzione: «Ero consapevole di essermi imbarcato in un poema epico».

Il dialogo e l’identificazione con Anne Bradstreet

Molti si sono interrogati sul perché Berryman abbia scelto come soggetto principe di una delle sue opere più riuscite Anne Bradstreet. Come già precisato si tratta sì della prima poetessa statunitense, ma anche di un’autrice caratterizzata – a dire di molti – da mancanza di inventiva e originalità. Poetessa mediocre dunque, ma come precisa Berryman: «in qualche modo fu lei a scegliere me – un punto d’incontro, comunque, essendo dato dalla difficoltà quasi insormontabile di scrivere poesia elevata in un paese che se ne curò e se ne cura così poco».

Tuttavia, è lo stesso poeta ad affermare come, dopo la stesura delle prime due strofe, seguì una fase di stallo di quasi cinque anni. Nel frattempo, però, si fa gradualmente strada l’idea del tema da sviluppare con l’obiettivo di donare una voce riconoscibile a Bradstreet, ormai ridotta a fantasma:


Devo fingere di lasciarti. Tu soltanto ti ritrai
benevolo fantasma. Dico che mi sembri città sommerse
al largo d’Inghilterra,
indistinta come quelle miriadi che
cos’altro se non cenere e fossili tramandarono, interrati
negli aperti depositi alluvionali del Vecchio Mondo?

Nonostante i primi insediamenti coloniali abbiano una vocazione conservatrice è incontestabile come in Bradstreet – come nei primi coloni – emerga un inedito elemento di rottura rispetto alla tradizione. La nuova vita contraddistinta da fatiche e stenti e aggravata da una natura feroce, violenta è inoltre dominata da un Dio puritano. A riguardo la seconda strofa recita:

Fuori il Nuovo Mondo sverna in tenebra maestosa
aria bianca sferza per foreste vergini, soffiano
le volpi nelle tane.
Certo stordito si sgomenta il cuore inglese.

Berryman comprende la ribellione che cresce di giorni in giorno in Anne Bradstreet. Il poeta finisce per l’identificarsi con la poetessa, fino ad immergersi nella propria realtà: fra i due, infatti, nasce un corteggiamento sotto forma di dialogo:

E ne esco placata. Si attenua. Baciami.
Per questa volta. Come alta nel buio sfavillante canta
la traccia d’una stella e muore,
mentre ansima il respiro, risuonando,
ascolta, così spoglie per noi sian tali carezze
che, nulla meritando, baleniamo e fuggiamo
la tenebra di quella luce,
raggelato brancolare fuori d’un caldo sogno. Parlami.

L’autore rompe gli schemi temporali e plasma un linguaggio nuovo, cogliendo dalla tradizione, per aspergere nell’etere parole che saranno colte e restituite da un interlocutore d’eccezione. Così Berryman scopre le radici della propria natura umana per capire al meglio il mondo che lo circonda e dunque se stesso:

Il male, e amore, si dissolve come spuma;
quell’amore. Chiaccherio di bambini a casa mi sospinge,
come di cigno palpita
il mio cuore nell’ansia di chi m’ama e di chi splende.

L’immortalità dell’omaggio di John Berryman

Dopo una vita travagliata, Berryman morirà suicida nel gennaio del 1972. Sempre l’Einaudi, sei anni dopo, gli renderà omaggio con l’antologia Canti onirici e altre poesie, sempre per la traduzione di Sergio Perosa. Il libro ripercorre tutta la carriera dell’autore partendo dalla suggestiva Winter Landscape ispirata ai Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio all’ultima raccolta Delusions, etc.

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Nonostante per alcuni Omaggio a Mistress Bradstreet rimanga il libro più riuscito e rappresentativo di Berryman è incontestabile come il lettore si trovi dinanzi a un genio capace di innovarsi, mantenendo fede al proprio stile e vocazione. Poeta di difficile traduzione e comprensione, Berryman – eccetto che per rare apparizioni – ha faticato e fatica tutt’ora a imporsi nel panorama italiano. Oggi le curatele di Perosa sull’autore sono difficilmente reperibili, tuttavia sarebbe erroneo liquidare Berryman come una curiosità editoriale. John Berryman è e rimane molto di più: rappresenta, infatti, uno dei punti più alti della poesia del Novecento. Il suo stile ineguagliabile e l’incessante ricerca di tematiche nuove lo rendono una rarità difficilmente paragonabile.

Nel passato eminenti critici hanno cercato di accostarlo ai grandi del passato, forse per legittimare una poesia così sconvolgente nella sua raffinata e ironica schiettezza. Ma ogni parallelismo è riduttivo. Tanto che, come scrive sempre Perosa in conclusione al suo saggio introduttivo al poemetto, rimane fermo il fatto come: «Homage to Mistress Bradstreet [sia] tutt’altro che una Waste Land del nostro tempo: ma sembra destinato ad acquisire, in prospettiva, analoga validità e importanza».

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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