La prima bozza de La scrittrice nel buio è stata scritta da Marco Malvestio in venticinque giorni, mentre durante la pandemia si trovava in North Carolina per il dottorato di ricerca. Centocinquanta pagine che sono state riviste negli anni fino a trovare una loro compiuta realizzazione nel libro edito da Voland.
Come nel caso de Gli indemoniati di Witold Gombrowicz, anche Malvestio ha ricercato la realizzazione di un suo “romanzo popolare” per il tramite non tanto del gotico quanto del thriller. Una sfida narrativa che abbandona il modello a incastro di Annette per affidare tutto alla narrazione. Quattro sezioni strutturano una storia che verte su due coordinate principali: la rivalità accademica fra due coetanei e la misteriosa scomparsa di uno scrittore del secondo Novecento. Un continuo gioco di rimandi, indizi disseminati che rendono questo libro, contraddistinto da una rigorosità stilistica notevole, una grande sala degli specchi, dove le immagini e i personaggi si riflettono ripetutamente.
La cura geometrica
La scrittrice nel buio ha una conformazione precisa, geometrica. Come un quadrato diviso in due parti uguali, le storie vertono sulle caratteristiche dei triangoli rettangoli che si vengono a formare. Del primo triangolo i cateti sono Marco e Federico, due studenti universitari in lettere «legati da un misto curioso di cameratismo e rivalità». Marco, provinciale e con un senso del dovere dello studio quasi pedante e in parte ottuso, incontra Federico, eccentrico rampollo di una famiglia borghese e smanioso di imporsi nel mondo universitario. Nella prima sezione vi è l’analisi del loro rapporto dal punto di vista di Marco, narratore dell’intera vicenda.
Il libro è una disamina della situazione dello studente universitario, ma anche una cinica critica alla carriera accademica. Una sala piena di specchi, ma anche un gioco di potere fra studenti, dottorati, ricercatori e studenti. Quando entrambi si laureano alla magistrale i loro destini si incrociano nuovamente durante il dottorato a Padova, dove tutto era iniziato. Mentre Federico ottiene un assegno di ricerca per analizzare il carteggio degli scrittori Pier Luigi Carraro e Vittorio Ferretti, Marco ritorna alla monotonia «della campagna industrializzata» come insegnante. Tuttavia, l’ipotenusa della loro vicenda è Maria Zanca, misteriosa poetessa, amante di Ferretti, che irrompe nel carteggio. La donna è strettamente collegata alla scomparsa dello scrittore e Federico prima e Marco poi cercheranno di risolvere la vicenda.
Quest’essenza di Maria Zanca continua a sfuggirmi. Eppure qualcosa che si possa mettere nero su bianco dovrebbe esserci: la poetessa orfica e la ragazza orfana, la seduttrice terribile e la giovane sedotta e manipolata, la vecchia eccentrica e la scrittrice nel buio… Tutte queste immagini formano un caleidoscopio di cui non riesco a tracciare il senso, ciascuna sembra indipendente dalle altre, e tutte insieme svaniscono.
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Zanca però è, come accennato, l’ipotenusa di un altro triangolo, quello tra Carraro e Ferretti. Ed è proprio la seconda sezione che descrive il contenuto del carteggio. Ferretti, autore vanitoso, egocentrico ed esibizionista, vive insieme alla ricca moglie a Roma, centro nevralgico della cultura italiana.
Grazie al suo lavoro di giornalista e a vari contatti politici, vanta un controverso merito durante la Resistenza e l’amicizia degli scrittori più in vista dell’epoca. Autore di tre romanzi mediocri, la scrittura, però, non smette di affascinare alcuni studiosi. Già negli anni Sessanta Carraro, altro giovane autore, aveva intrattenuto un carteggio proprio con lui, considerandolo quasi un maestro.
La corrispondenza procede monotona, fino a quanto Ferretti, imbattutosi in una rivista a casa di Moravia, legge Iside svelata, un componimento di tale Maria Zanca. Carraro da quel momento diventerà il confidente di Vittorio, tanto da documentare prima la ricerca e poi l’incontro tra il maestro e la giovanissima autrice. Ferretti da quel momento, dopo aver letto la sua prima prova in prosa, decide con convinzione di proporla nel panorama letterario nazionale senza, però, permetterle di surclassarlo.
Il fascino del prisma
Così ne La scrittrice del buio (acquista) i triangoli si scompongono e in diverse prospettive acquisiscono una loro tridimensionalità. Come un prisma riflettono la storia sotto diversi aspetti. Altro elemento fondamentale sono le tinte orrorifiche che serpeggiano sì per l’intero romanzo, ma che si sostanziano soprattutto nel delirio epistolare di Ferretti e nella presenza di Maria Zanca. Una strega estranea in parte al folklore: vive isolata nella provincia veneta, ma gli elementi della sua abitazione la restituiscono alla contemporaneità. Una fisicità inquietante contraddistinta da poche parole lapidarie. Sicuramente i sogni dei perseguitati diventano uno degli elementi principali della suspence.
Così Zanca, ritirata nei boschi come Salinger, dopo il successo letterario, sospende la propria scrittura e ben presto, chiunque cerchi di indagare, capisce che è meglio non approfondire la scomparsa di Ferretti.
La scrittrice nel buio non è un racconto gotico né un espediente narrativo a là Henry James. Questo nuovo libro di Marco Malvestio potrebbe essere letto come una parabola del desiderio, la voglia irrefrenabile e irreparabile di prevalere e di imporsi. Nonostante l’appurata perfidia di Maria Zanca, tutti i personaggi gradualmente si corrompono per il successo o per semplice tornaconto. L’arte di apparire diventa una costante e il desiderio potrebbe anche quello di non svelare che noi tutti in fondo, come il re della fiaba, siamo nudi. Malvestio in questo senso crea un libro intelligente, un “romanzo popolare” ma con una vena innovativa e caustica.
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