La colpa di essere un uomo sbagliato

«La colpa è mia» di Andrea Donaera

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La colpa è mia

«[…] nell’andare vitale,/sono tutti qualcuno tranne me:/che resto tale e quale/nel non essere nessuno: se non/macchina a centotrenta/dritta verso il burrone –/e se tu fossi almeno/il burrone: ma tu sei la caduta». Questi sono i versi di Michele Trevi, personaggio di Io sono la bestia, romanzo d’esordio di Andrea Donaera. Chi ha letto il romanzo – ma nel caso ci scusiamo per l’anticipazione – ricorderà come Michele si sia suicidato dopo aver ricevuto un rifiuto da parte di Nicole, una ragazza del suo liceo per cui provava sentimenti d’amore talmente forti che l’hanno portato a compiere l’estremo gesto del suicidio.

Il male, la rabbia, la violenza sono sentimenti che animano i personaggi di Donaera. Spesso nascono dall’amore, che come scrisse Lacan è «chiedere ancora», ovvero “encore” o meglio “un corps“: un corpo, un contatto con l’altro che ci induce alla tentazione di emozioni estreme difficili da controllare. L’autore di Maglie è tornato su questi temi con il suo terzo romanzo La colpa è mia, pubblicato questa volta da Bompiani.

La trama di «La colpa è mia»

La colpa è mia è ambientato in una Lecce reduce dal lockdown da Covid-19, e i protagonisti sono Bruno e Abigail detta Aby: il primo lavora come giornalista freelance; la seconda, invece, è una dottoranda che sta scrivendo una tesi su politica e letteratura nel romanzo statunitense del secondo Novecento. Il padre di quest’ultima paga l’affitto ai due, facendo sentire in difetto Bruno, il quale nutre una sorta di inferiorità nei confronti della sua ragazza. La situazione si fa più difficile quando quest’ultima rifiuta le attenzioni di Bruno dopo la diagnosi di tumore al cervello che ha ricevuto.

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Intanto, il protagonista riceve dalla rivista con cui collabora una proposta di intervista dietro un compenso di cinquecento euro, per lui occasione di poter dimostrarsi all’altezza della situazione con Aby. Il direttore della sua rivista gli ha affidato il compito di intervistare Petrus, un misterioso incel, ovvero un involuntary celibate noto per le sue sparate misogine e persecutorie sui forum online. Passando il tempo con Petrus, Bruno scoprirà il lato più oscuro di sé, che lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita e a scoprire cose che non ha mai notato prima d’ora.

Un confronto con la precedente produzione di Andrea Donaera

Nel parlare di La colpa è mia, sembra doveroso fare una veloce panoramica della produzione di Andrea Donaera per meglio collocare questo suo nuovo romanzo. Ciò è possibile principalmente perché all’interno della storia vengono citati elementi che appartengono ai primi romanzi: da un lato si fa riferimento al già citato Michele Trevi – che in un documento Word Petrus cita come esempio di incel – e dall’altro papa Nanni di Lei che non tocca mai terra. Parlando di Don Andrea, Aby fa difatti riferimento al fatto che fosse «allievo di un santone psicopatico di Gallipoli».

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Tutti e tre i romanzi pongono al centro il rapporto fra i protagonisti e le proprie emozioni, un legame pieno di forti contraddizioni che si risolvono con situazioni estreme come il suicidio di Michele Trevi oppure l’esplosione finale che coinvolge Andrea e Miriam in Lei che non tocca mai terra. I loro drammi e il loro estremismo è causato da un forte senso di solitudine che porta i protagonisti a disprezzare se stessi al punto che, rassegnati, preferiscono farsi trascinare dalla corrente delle proprie pulsioni per porre fine al proprio dolore. Questo dramma è evidente in ciò che dice il narratore di La notte delle ricostruzioni, racconto breve che Donaera ha pubblicato per i tipi di Tetra:

Rifletti. Sei solo da troppo tempo. La solitudine non ti rende pazzo: peggio: ti svuota. Hai, in te, soltanto tracce di ciò che ti accade nell’immediato. Fluisci – galleggi – in un presente: smarrisci tutti: senti che le cose alle tue spalle si sfocano: una riva lontana: non potrai raggiungerla di nuovo se la corrente che ti spinge non cambia.

Il fiume nero di Bruno

L’intervista a Petrus diventa per Bruno occasione di viaggiare sul fiume nero di Eraclito a cui fa riferimento Veli in Io sono la bestia, il fiume dove tutte le emozioni negative scorrono e ci fanno scorrere inesorabilmente verso l’abisso. Questa discesa di Bruno nel suo inferno personale inizia con la certezza di non essere all’altezza di Aby: non solo per il percorso lavorativo diverso – più remunerativo quello di Aby, più precario il suo –, ma anche per il fatto di dover dipendere dal padre della ragazza per l’affitto, ma soprattutto di non poter garantire alla ragazza un futuro stabile come quello, ad esempio, dei suoi amici Frank e Vittoria:

Tutto quel loro avere mi faceva pensare soltanto a tutto quello che io non avevo – e non ho. Mi faceva male, mi faceva riflettere su quanto un uomo, per essere tale, debba necessariamente dimostrare di avere: quando avrei avuto pure io così tante cose (i soldi, le poltrone, le librerie, il cazzo grosso) da poter essere uomo?

Non solo il confronto sulle prospettive future, ma anche sull’aspetto fisico portano Bruno a nutrire complessi di inferiorità che in realtà, come gli spiegherà Petrus attraverso l’originale teoria della Red Pill (pillola rossa), sono dovuti a un sistema sociale che impone schemi relazionali sbagliati e perpetra la violenza psicologica facendo credere agli individui di essere sbagliati e non adatti al contesto in cui vivono.

La violenza non è nella mia natura, ma è una tentazione

A poco a poco, Bruno si vede sempre più come un mostro la cui presenza spaventa i suoi cari, al punto da pensare che «non ci si deve affezionare a uno come me, che uno come me non merita affetto, uno come me non merita un cazzo di pezzo del vostro amore». Questa consapevolezza si fa più amara quando Bruno ricorda l’incidente con la bambina magra, la nipote di un’amica della nonna, la prima a dirgli di essere «brutto» e a fargli venire i sensi di colpa sulla sua incapacità a non rovinare ciò che di bello sta attorno a lui.

Il protagonista si riconosce ben presto nelle parole di Philip Roth ascoltate in un’intervista caricata su YouTube: «I am not violent by nature. But violence is a temptation every day». Il ragazzo riconosce di non possedere una violenza innata, ma riconosce di esservi quotidianamente esposto come l’unico modo per eliminare ciò che lo rende infelice. L’amore per Aby, però, e il continuo complesso di inferiorità che scaturisce diventerà ciò che lo porterà a convincersi di abbracciare la violenza, in quanto l’amore lo ha frantumato come persona, gli ha fatto capire di non essere in grado di essere uomo poiché costantemente bisognoso di affetto e protezione.

La colpa è mia, è del mio non poter essere un uomo, non saper essere un uomo, perché un uomo non dovrebbe avere un così disperato bisogno di amore, perché un uomo non dovrebbe essere da sempre escluso da ogni desiderio femminile, perché un uomo dovrebbe conoscere se stesso.

Grazie a Petrus, allora, Bruno è diventato citando Samuel Taylor Coleridge un sadder and wiser man: un uomo più triste, più saggio e più solo, perché non può esistere senza amore, e una volta che gli viene negato, diventa una bestia violenta, pronta a sprigionare le sue pulsioni per placare la propria sete e cercare di annullare la propria infelicità anche al costo di abbandonarsi a gesti estremi. Se come uomo è stato decretato il suo fallimento, Bruno può soltanto abbracciare il nero per un’estrema ricerca di serenità.

Un amore che ci rompe tutto

La colpa è mia (acquista) conferma la capacità di Andrea Donaera di parlare di temi già noti con una voce originale che non stanca mai e che sa rinnovarsi a ogni nuovo libro, che sia di narrativa o poesia. Sebbene ci sia poca poesia rispetto ai precedenti romanzi, quest’ultimo libro dell’autore di Maglie riesce comunque a trasmettere l’estreme conseguenze che le emozioni comportano. La storia di Bruno ben spiega il motivo per cui il maschio ormai è diventato fragile, non soltanto perché non più in grado di tener testa alle pressioni morali e sociali del suo tempo, ma perché non più in grado di essere indipendente, sempre bisognoso dell’affetto altrui e disposto ad accogliere la violenza come forma estrema di ricerca della felicità per dimostrare – in maniera distorta e malata – di avere ancora il controllo su di sé e ciò che lo circonda.

“[…] Adesso sei una persona con un cancro al cervello. Dobbiamo piangere. Ti prego, ne ho bisogno. Anche se tuo padre troverà un medico che ti curerà, un genio capace di dirci che tutto tornerà come prima: io adesso ho bisogno di crollare, perché ho paura non della morte ma della fine; ho paura delle ultime volte, e che non siano alla tua altezza, perché sono io una parte delle tue ultime volte; ho paura di ciò che adesso esiste e che è destinato a non esistere più. Ho paura di tutto, quindi. E voglio che ci abbracciamo. Piangiamo. Voglio baciare la tua testa, tutta, mentre lo faccio voglio bagnarti i capelli.”

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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