Autobiografia di un genio eclettico

«Un libro aperto» di John Huston

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«Un libro aperto» di John Huston

Ancora prima di essere un regista, John Huston è un lettore onnivoro, appassionato. Uomo di spettacolo, si dedica principalmente alla regia, ma anche alla sceneggiatura e alla recitazione. Grazie anche all’esperienza paterna, acclamato attore teatrale, fin dai suoi primi approcci alla settima arte riconosce il valore indiscusso della parola. Un regista capace di realizzare pellicole tratte dalle più svariate opere di scrittori totalmente diversi l’uno dall’altro.

Un libro aperto è la sua autobiografia, edita da La Nave di Teseo dopo la prima edizione italiana del 1982 per Editori Riuniti. Più di seicento pagine indispensabili per chi voglia approfondire uno dei registi più significativi di sempre. Tuttavia, risulta anche un ottimo primo approccio per chi deve ancora conoscerlo, scoprirlo: seguire capitolo per capitolo tutta la sua produzione e riconoscerne tutta l’originalità. Un eclettico che, per usare le parole di Alberto Pezzotta, ha «in sé l’armonia e il caos, la razionalità e la follia.»

Il fascino della letteratura

Huston legge senza sosta da quando era bambino. Per lui la narrativa ha un fascino irresistibile. Per sua stessa ammissione leggeva tre o quattro libri a settimana, cercando di indagare primo uno poi un altro argomento, in base all’interesse o al progetto a cui stava lavorando. L’indagine letteraria lo pone anche a interrogarsi sul concetto di “stile”. Lui che, come regista, ha variato con così tanta disinvoltura registri e tematiche da rendere ogni film diverso dall’altro. In uno dei capitoli conclusivi di Un libro aperto si legge:

Quando ebbi dodici o tredici anni, cominciammo a parlare dello “stile” di un autore. […] Forse lo stile di un autore era il suo modo di combinare le parole per potersi distinguere dagli altri scrittori? Un accorgimento per così dire? Sicuramente nello stile c’era più di questo. Un giorno ebbi come una rivelazione: le persone scrivono diversamente, perché pensano diversamente. Un’idea originale esige un modo di espressione unico.

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Così John Huston, per ogni suo film, dedicherà un linguaggio unico, inimitabile e per questo d’ispirazione per le generazioni future. La genialità di Huston non risiede solo nella facilità di districarsi fra i diversi generi, ma, piuttosto, nelle intuizioni. Anche nei suoi lungometraggi meno riusciti lo spettatore ha la sensazione, a un certo punto, di essere di fronte ad almeno una grande idea. Nonostante le vessazioni economiche, l’acredine di alcuni studios e i capricci delle star, Huston preserva sempre una sua genuinità cinematografica.

Un maestro dei generi

In Un libro aperto non ci sono consigli di regia, aforismi o argute osservazioni sui festival e relativi premi assegnati. In questa autobiografia c’è John Huston, in tutti i piccoli e grandi aneddoti che contraddistinguono la sua vita. Un’esistenza sensazionale che rifugge i manierismi, proprio come il suo modo di imprimere su pellicole i fotogrammi di una storia.

Huston ha in sé l’intraprendenza e la tenacia del capitano coraggioso. Consegna al pubblico capolavori del noir come Il mistero del falco e L’isola di corallo, consacrando al successo Humphrey Bogart, che diventerà uno dei migliori amici del regista e a cui dedicherà un indimenticabile discorso funebre. Ma la sua produzione va oltre. Ad esempio il formidabile Giungla d’asfalto, d’ispirazione anche per Dassin e Kubrick, oppure l’impresa titanica de La regina d’Africa, che non può non ricordare gli sforzi paragonabili a quelli del Fitzcarraldo di Herzog. Per non parlare poi di Città amara – Fat City, dedicato al mondo della boxe, vera e grande passione di Huston a cui aveva dedicato anche un paio di racconti sulla rivista American Mercury.

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La ricchezza delle storie

Huston ha anche una grande curiosità e rispetto verso grandi personalità storiche e si cimenta in lavori biografici come Freud, basandosi sulla sceneggiatura di Sartre. Il suo eclettismo, però, lo spinge a ad approfondire anche figure come Toulouse-Lautrec nello sfarzo di Moulin Rouge o l’autobiografia del bandito scozzese David Haggart ne La forca può attendere.

Come accennato, tuttavia, la letteratura pervade tutto il lavoro di Huston. Elabora gli adattamenti di Moby Dick di Melville (con la sceneggiatura di Ray Bradbury) e del racconto The Dead di James Joyce. Ma anche L’uomo che volle farsi re di Kipling, Il tesoro della Sierra Madre di B Traven e La saggezza nel sangue di Flannery O’Connor. Huston non si limita alla sola narrativa, ma si ispira anche ai grandi della drammaturgia americana del Novecento come ne Gli spostati di Arthur Miller o La notte dell’iguana di Tennessee Williams.

Una testimonianza

Un libro aperto (acquista) è una testimonianza monumentale. La volontà di lasciare una traccia anche letteraria, una sintesi di un lavoro durato decenni. Huston scrive che «ogni volta che fai una buona ripresa, è una specie di miracolo», e la sua carriera è costellata di queste meraviglie. Adesso è compito del lettore/spettatore recuperare la sua opera, così da amarla e trasmetterla. Senza John Huston il cinema non sarebbe lo stesso, avrebbe sicuramente perso di magia e coraggio.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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