Il mio infinito. Dio, la vita e l’universo nelle riflessioni di una scienziata atea è a tutti gli effetti il testamento intellettuale dell’astrofisica Margherita Hack, in cui, attraverso temi come la morte, l’astronomia, la filosofia, l’autrice delinea le proprie teorie ed espone le proprie convinzioni su tematiche di interesse scientifico ma anche spirituale. Pubblicato nel 2013 (ora ripubblicato da Baldini+Castoldi in una nuova edizione), quindi poco prima della sua scomparsa, probabilmente Il mio infinito potrebbe scoraggiare chi teme di confrontarsi con un testo troppo tecnico o astruso, ma sarebbe un’impressione sbagliata.
Probabilmente la scienza non riuscirà mai a far luce piena su quello smarrimento, che appartiene al territorio irriducibile del mistero dell’esistenza. Né vuole provarci questo libro, che ha invece uno scopo più concreto: raccontare brevemente come si è evoluta la nostra capacità di leggere il cielo, scoprendo, all’aumentare e raffinarsi delle conoscenze, quali nuove domande sono emerse e quali vecchie risposte sono entrate in crisi, ampliando sempre di più le frontiere dell’infinito.
«Il mio infinito»: un viaggio condiviso
e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Questa recensione può iniziare a buon diritto con una citazione dall’Infinito di Giacomo Leopardi, anche se il saggio preso in esame non tratta di letteratura, perché la ragione che rende Il mio infinito una lettura così piacevole sta proprio nel linguaggio “poetico” ed evocativo che lo caratterizza. Come per la poesia leopardiana, il viaggio è breve e delicato ma imperdibile.
Margherita Hack era nota per i suoi modi sempre profondamente schietti, ma spontanei e naturali. Anche nei confronti di membri della Chiesa, pur essendo fortemente atea e anti-clericale, ha sempre mantenuto una grande compostezza e profondo rispetto nei riguardi dell’interlocutore.
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Con la stessa sommessa eppur intensa frugalità, in questo saggio afferma comunque con fermezza le proprie idee, intraprendendo con il lettore un viaggio fatto di curiosità condivisa. La prima parte del saggio è infatti dedicata a un quadro preciso sullo sviluppo diacronico del pensiero: fin dalla filosofia antica per arrivare alla meccanica quantistica. I termini utilizzati per realizzare questo lungo excursus sono assolutamente comprensibili a chiunque non avesse mai sentito parlare di filosofia o scienza, mentre risultano un po’ difficili alcune rappresentazioni grafiche, che richiedono maggiore attenzione.
La seconda parte, poiché Hack era un’astrofisica, è maggiormente dedicata alle stelle. Con il susseguirsi di questo viaggio nel lettore viene instillata sempre più curiosità, grazie al tono amichevole e divulgativo dell’autrice, ma anche grazie all’ordine con cui ha deciso di trattare la materia.
Due infiniti: lo scientifico e lo scienziato
Capiamo quindi nel corso della lettura, poi, anche il significato del titolo e la doppia valenza di “infinito” in tal senso: infatti, oltre alla trattazione oggettiva di quanto è accaduto storicamente all’uomo come pensatore anche dell’infinito, Hack espone il “suo” infinito, ovvero il suo pensiero. L’autrice non parla dell’infinito in astratto, ma del suo infinito, inteso come la sua visione del cosmo, della vita e della morte. È chiaro che la scienziata è un’atea convinta, ma spiega le ragioni delle sue convinzioni in modo educato e profondamente rispettoso per chiunque.
Non per questo dobbiamo immaginare questo libro come “democristiano”, ovvero come un saggio in cui la verità sta nel mezzo e non si prendono posizioni precise per accontentare tutti. Per quanto rispettosa e dolce nel tono, Hack prende posizione in maniera anche molto ferma ad esempio sul ruolo della Chiesa nei confronti della scienza. Fin da quando racconta di Galileo Galilei, del suo processo, della costruzione all’abiura e delle scuse “tardive” che arrivarono solo negli anni Novanta. Oppure ancora quando parla dell’ostacolo che a volte questa porta alla ricerca.
Molti si sgomentano davanti alle enormi distanze nel tempo e nello spazio di questo forse infinito universo, molti pensano che la nostra specie sia minuscola e insignificante di fronte all’universo. Eppure, quando mi capita di osservare quel bello spettacolo della natura che è un cielo stellato, mi meraviglio pensando come semplicemente analizzando la luce di quei deboli puntini luminosi che sono le stelle, semplicemente osservando i moti di quei puntini sulla volta celeste, da questo granello di sabbia che è la nostra Terra di fronte all’universo, nel giro di poche migliaia di anni, la nostra mente sia stata capace di comprendere, secolo dopo secolo, l’immensità dell’universo e i meccanismi che lo governano, e di come in questi ultimi due secoli, le leggi della fisica sperimentate nei laboratori sulla Terra, ci hanno rivelato non solo l’intima natura delle stelle, i misteri della loro formazione e fine, ma ci hanno anche permesso di ricostruire l’evoluzione dell’universo come un tutto a partire da quasi 14 miliardi di anni fa ad oggi.
Alla base di tutto non c’è, come non ci fu mai per Galileo Galilei che di certo non era neppure ateo, l’idea di soppiantare la religione con la scienza. Se mai, Hack vuole fare comprendere come la scienza sia la chiave per comprendere il mondo, una forma mentis imprescindibile. In tal senso si contrappone alla Chiesa, frutto di fede e “illusione”, mentre la scienza è frutto della razionalità. La religione, come disse Galileo Galilei, insegna «Come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo»: il compito di spiegarci come il cielo funziona è della scienza.
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La meraviglia, l’universo e la morte
La materia raccontata ne Il mio infinito (acquista) si presta senza dubbio a interessare il lettore non solo per il modo, ma anche per l’argomento: scoprire come è nato il cielo, come nascono le stelle, cosa sono i buchi neri. Sicuramente la trattazione è affascinante; ancora di più considerata la profonda meraviglia che Hack conserva nei confronti del cosmo. È importante comprendere questo che è il “vero infinito” che qui Hack ci propone: pur non credendo in Dio, il suo Dio Hack lo trova nell’universo, nella consapevolezza della sinfonia di perfezione che governa il mondo cosmologico che conosce.
Dalle stelle alla mente, sono gli estremi della nostra parabola: siamo l’unico prodotto dell’universo che ha sviluppato la capacità di osservare e capire l’universo di cui siamo il frutto.
Anche per questo motivo, il fatto che secondo l’autrice dopo la morte non ci sia nulla non è un problema che suscita angoscia. È una persona che ha vissuto appieno la vita con responsabilità e coerenza, per non dire che nell’universo ha ritrovato una forma di spiritualità che le dà serenità. C’è un mondo di mistero e bellezza che la scienza insegna e che, a differenza della religione, non comprende assolutamente dogmi o costrizioni. Pertanto Hack conserva una forma di spiritualità pur nel suo ateismo, data dalla meraviglia che l’universo le suscita. Sull’autodeterminazione del sé, Hack batte tantissimo in tutto il saggio, che per questo risulta un’occasione irripetibile di crescita personale.