Un’ingannevole semplicità

«Primitivo americano» di Mary Oliver

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«Primitivo americano»

Mary Oliver è una delle poetesse statunitensi più note del secondo Novecento. Primitivo americano è la prima silloge tradotta in Italia, già vincitrice nel 1984 del Premio Pulitzer e che consacra definitivamente la sua autrice. 

Come ricorda la traduttrice Paola Loreto nel suo documentato commento critico in presentazione al volume Einaudi, al pari di Robert Frost, Oliver è sempre stata tacciata da un certo ambiente accademico di essere una poetessa troppo semplice. Tuttavia, è proprio grazie a questo suo modo di esprimersi così diretto e suggestivo che è stata capace di canalizzare l’attenzione di migliaia di lettori.

Un’ingannevole semplicità

Già allieva degli insegnamenti impartiti prima dai testi filosofici di Ralph Waldo Emerson e poi dalle testimonianze di Henry David Thoreau, Mary Oliver conferisce alla natura un ruolo principe in tutte le composizioni di Primitivo americano. Cinquanta componimenti che sorprendono per la loro compattezza e coerenza tematica. Un’ingannevole semplicità che sembra far emergere una situazione arcaica, primordiale, prospettando però anche un futuro senza l’essere umano

Al centro delle speculazioni di Oliver vi è sempre il creato, dove l’essere umano ha il compito di meravigliarsi di esso. Per riprendere Emerson: «C’è un’anima al centro della natura, e al di sopra della volontà di ogni uomo, cosicché nessuno di noi può far torto all’universo». Persiste un perenne senso di stupore, un’immedesimazione fisica con gli elementi tanto da dissolversi in essi. La poetessa dunque ne sente tutto il peso e l’importanza, come in Il pesce:

Adesso il mare
è in me: sono il pesce, il pesce
luccica in me; siamo
risorti, in un groviglio, certi di
ricadere nel mare. Col dolore,
e il dolore, e ancora dolore
alimentiamo questa trama febbrile, nutriti
dal mistero.

Oppure, ancora, in Poesia del freddo il clima cerca di rendere comprensibile una situazione sentimentale, diventa un’ancora reale per capire il corso degli eventi emotivi:

Forse quello che il freddo è, è il tempo
in cui misuriamo l’amore che abbiamo sempre avuto,
segretamente, 
per le nostre ossa, l’amore duro, affilato come un coltello
per il caldo fiume dell’io, oltre ogni cosa.

Rimandi di questo tipo si riscontrano poi in altri poeti che hanno di certo appresso la lezione di Oliver. Una fra tutti il Premio Nobel Louise Glück come in certe poesie de L’iris selvatico, in particolare in Vespro.

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Ecfrasi del cosmo

In Primitivo americano risalta ancora di più il bisogno di tornare a uno stato selvaggio. Il mondo viene disegnato in tutte le sue stupefacenti manifestazioni

Oliver ha la capacità di definire con i propri versi delle panoramiche. Vi è una grandissima sensibilità nel voler immortalare la scena con la maggiore fedeltà possibile. La sua filosofica non si struttura tramite massime o asserzioni, piuttosto preferisce avallare la propria tesi con un dato reale: Mattina a Great Pond o Attraversando la palude sono solo alcuni degli esempi in cui Oliver dimostra tutta la sua fiducia nella parola. 

L’autrice compie un ecfrasi del cosmo, una descrizione di un’opera d’arte visiva sempre in maniera dettagliata ed elegante, senza mai sacrificare l’analisi del dolore e della sofferenza. La vita è un dono, è l’irripetibile occasione di percepire e avvicinarsi con l’essenza ultima.

Una visione quasi panteista che nutre un’insita fiducia nell’ordine cosmico a cui l’essere umano non deve e non può sottrarsi. Come scrive in Megattere

Il cielo, dopo tutto, non si ferma, quindi qualcosa
trattiene
i nostri corpi
nelle sue scuderie opulente e senza tempo altrimenti
voleremmo via.

Il paesaggio come specchio

Thoreau sosteneva che qualunque idea per nascere debba mettere immediatamente radici. In Primitivo Americano (acquista), Oliver, più che altri autori, trova la propria ragion d’essere proprio in quelle radici. Il suo percorso poetico sembrerebbe dunque fare un percorso inverso: partire dal dato oggettivo per creare poi poesia

La natura è spogliata di qualsivoglia accezione metafisica e si basa innanzitutto sull’osservazione. Il nostro vissuto non può perciò non trovare un corrispettivo in ciò che ci circonda. Oliver rende il paesaggio uno specchio in cui riflettersi e lo fa con una maestria e una sensibilità che solo un genio può avere:

Ogni anno
tutto quello
che ho imparato

nella vita
mi riporta a questo: gli incendi di luce
e il fiume nero della perdita
la cui altra riva

è la salvezza.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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