La ribelle di Gaza di Asmaa Alghoul, scritto in collaborazione con Sélim Nassib e pubblicato in Italia da Edizioni E/O, è un memoir imperdibile per comprendere aspetti inediti e molto profondi riguardanti il contrasto tra Israele e Palestina che sta dominando le nostre cronache da più di un anno, ma che come sappiamo ha origini da prima dei tragici eventi di ottobre 2023.
Questo libro stesso, scritto ben prima, esplora non solo le difficoltà quotidiane della vita nella Striscia di Gaza, ma soprattutto l’esperienza personale di una donna, poi diventata giornalista, che ha sfidato le norme religiose, culturali e politiche del suo paese.
Da bambini giocavamo molto ad “arabi ed ebrei”. Gli uni si nascondevano, gli altri li cercavano. In genere i maschi facevano gli ebrei e noi femmine gli arabi, perché gli ebrei sono più forti e più brutali. Nessuno ragionava su cosa volesse dire, non facevamo politica, l’importante era divertirci. Era un gioco che ci piaceva molto e che di solito facevamo per strada, ovviamente quando non c’era il coprifuoco. Nel campo profughi di Rafah in cui sono cresciuta non dicevamo mai “gli israeliani” e neanche “l’esercito”, dicevamo “gli ebrei”, per esempio “Stanno arrivando gli ebrei!”. Per me, ebreo significava paura. La notte, stesa sul materasso a terra, pensavo ai bombardamenti, alla morte, agli aerei che passavano lacerando i tetti. Guardavo la grossa scatola gialla di latte in polvere Nido sopra l’armadio. Era la cosa più costosa che si potesse comprare al campo. I comuni mortali bevevano il latte senza marca dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi. Pensavo: “Dio, perché non sono una scatola di Nido?”. Tutti la rispettavano, veniva tirata giù per versare un cucchiaio di latte in polvere nel tè e subito rimessa a posto, era circondata da sguardi. Io invece passavo le giornate a sentirmi dire: «Finirai nel fuoco, andrai all’inferno!» ed ero convinta che sarei bruciata tra le fiamme.
«La ribelle di Gaza»: la voce di Asmaa
Il titolo del libro, per quanto appropriato, dipinge Asmaa in un modo che quasi ne riduce la grandiosità della voce. Si fa presto, di questi tempi, a parlare di “ribellione” per qualcosa che va fuori dagli schemi, soprattutto in riferimento a una donna. Tuttavia, non bisogna polarizzare la voce vibrante dell’autrice e chiuderla dentro all’involucro della semplice ribellione. Lei stessa, per come racconta la sua storia grazie all’aiuto di Sélim Nassib, non vuole porsi in questo modo.
Infatti, veniamo introdotti subito dentro una Gaza complessa, frammentata, ma non solo dal conflitto israelo-palestinese ma anche dalle tensioni interne, in particolare tra l’Autorità Palestinese e il movimento islamista Hamas. Il pregio principale della narrazione riguarda non solo la capacità dell’autrice di rimanere obiettiva, nel non voler costruire un “noi” da una parte e un “loro” dall’altra, ma anche la grande opportunità che offre al lettore di entrare all’interno di una realtà semplice, dove tutte queste tensioni politiche hanno impatto sulla vita delle persone comuni come lei. C’è certamente una collettività, ma poi c’è l’individuo, così l’autrice pone l’accento sull’individualità di sé come protagonista: una donna che cerca di trovare una strada in mezzo a questo disastro.
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La vita di Asmaa Alghoul tra ribellione e tradizione
Il libro è di fatto, comunque, il racconto di una vita: quella dell’autrice. Nata nel campo profughi di Rafah nel 1982, Asmaa Alghoul ha vissuto in prima persona la repressione e la violenza del conflitto. Cresciuta in una famiglia divisa tra l’educazione aperta e progressista del padre e la militanza islamista estrema di uno zio, Asmaa fin da giovane si pone come outsider che sfida l’autorità, viene rimproverata di continuo perché troppo spigliata “per essere una donna”, a volte anche picchiata, e solamente nel nonno ritrova un po’ di affetto.
Dall’infanzia alla prima giovinezza la situazione non cambia quando decide di intraprendere la carriera come giornalista. Vuole documentare le atrocità del conflitto, non prendendo posizione netta solo contro le azioni israeliane ma anche e soprattutto contro le intimidazioni interne da parte di Hamas. Fin da subito additata come una donna pericolosa anche nel suo stesso ambiente, nel corso della sua vita decide di lasciare il marito e prendere decisioni sempre in nome della sua libertà.
All’interno di Gaza, già lacerata tra chi sostiene Hamas e chi desidera solo la pace, i conflitti interiori (e non solo bellici) sono all’ordine del giorno. Conflitti ben più complicati da come li raccontiamo o da come li raccontano i media.
Non esiste il bene contro il male
Uno degli aspetti più affascinanti di La ribelle di Gaza è il modo in cui di fatto non sembrino esistere proprio quelle narrazioni semplicistiche che mostrano il conflitto solamente alla luce della dicotomia tra bene e male. La popolazione civile agli occhi di Asmaa Alghoul non è mai, invece, solamente vittima passiva di fronte a un “noi e loro” che si scontra, ma ha una sua dicotomia interna.
Scopriamo in modo più approfondito come a Gaza ogni momento quotidiano sia costantemente interrotto dalla violenza: i civili sono pertanto costretti a una costante ribellione e resistenza in attesa di trovare “di meglio”. Eppure Asmaa Alghoul spiega che si sentiva quasi in colpa da ragazza per non anelare ad altro, perché le sue radici sono in questa vita da profuga: è la sua, è quella che conosce. Il modo in cui l’autrice stessa incarna questa resistenza non è quello che potremmo pensare, infatti: il suo lavoro di giornalista non riguarda una causa da portare avanti, bensì l’illuminante presa di coscienza che qualcosa non va anche dove è cresciuta.
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Un memoir imperdibile per tutti noi
Il memoir di Alghoul non riguarda solo Gaza e solo le donne a Gaza, ma è una potente testimonianza della condizione delle donne in generale. Certo, l’autrice non si conforma ai ruoli tradizionali imposti alla donna musulmana: nonostante cresca in una famiglia dove la religione è centrale e Hamas esercita una forte influenza, sceglie di vivere secondo principi più liberali, si ribella a una società conservatrice.
Tuttavia, il suo racconto ci riguarda non solo se immerso nel contesto, ma in generale rappresenta un esempio di resistenza contro l’occupazione, contro il patriarcato, contro qualsiasi cosa limiti le opportunità e i diritti delle donne.
La lotta di Asmaa Alghoul è sostanzialmente guidata dal desiderio di autodeterminazione che le fa assumere, nel raccontare, un tono deciso, ma a tratti cordiale. Materno, austero quando serve ma soprattutto onesto, convincente senza alcuna retorica.
La ribelle di Gaza (acquista) è un’opera che sfida con una prospettiva autentica le narrazioni dominanti, costituendo un appello a guardare oltre le semplificazioni ed essere consapevoli di quante persone, a prescindere da religione, genere o estrazione sociale, lottino costantemente per la propria libertà.
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