Inizia da una singola goccia di pioggia, in un mondo ancora giovane e al contempo già simile al nostro, l’ultimo romanzo di Elif Shafak, I ricordi dell’acqua (Rizzoli, 2024).
Dalla biblioteca del re Assurbanipal fino all’Iraq di oggi, passando per la Londra vittoriana e le rovine di Ninive, l’autrice conduce i lettori in un viaggio trascinante e multiforme come l’elemento naturale da cui prende ispirazione.
La Mesopotamia è fatta di storie d’acqua. In tutte le sue pianure alluvionali, i racconti più antichi sono dedicati a corsi d’acqua, tempeste e inondazioni. La parola sumera che significa «acqua» – a, proprio come il curdo aw – vuole dire anche «concepimento», «seme» e «inizio».
Genio proletario
Arthur, nato in riva al Tamigi di metà Ottocento e battezzato “Re di Cloache e Catapecchie” dalla compagnia di ragazzini che fanno da contorno a una Londra cupa e mefitica, sviluppa presto una mente brillante che lo porta a emanciparsi, non senza fatica, dalle sue origini.
Sono gli anni delle prime grandi spedizioni archeologiche, dell’Esposizione Universale e della costituzione delle raccolte del British Museum – attività segnate da ombre di espropriazione e appropriazione che sono ad oggi ancora oggetto di dibattito.
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Sarà proprio durante una di queste spedizioni, sul sito delle antiche rovine di Ninive in riva al fiume Tigri, che Arthur – divenuto ormai uno stimato esperto di antichità nonché traduttore dell’epopea di Gilgamesh – porterà a compimento il proprio destino.
La tempesta in arrivo
Su quelle stesse rive, quasi due secoli più tardi, vive la piccola Narin, seconda protagonista dei Ricordi dell’acqua. Narin, nove anni, è parte della comunità yazida, fedeli di una religione sincretica in bilico tra monoteismo e rituali arcaici che affonda le proprie origini nell’antica Mesopotamia, oggetto da sempre di discriminazioni e persecuzioni.
Narin è cresciuta con le storie del suo popolo, raccontate dall’amata nonna, ultima discendente di una stirpe di guaritrici e rabdomanti, ma non potrà sentirle ancora per molto tempo: davanti a una diagnosi di perdita dell’udito in rapida progressione la famiglia decide di battezzarla al più presto nella valle di Lalish, in Iraq.
La nonna sostiene che, proprio come gli sbuffi di vapore salgono in cielo per poi tornare sotto forma di pioggia, grandine o nevischio, ogni yazida tornerà sulla terra almeno sette volte. È vero che il corpo è mortale, ma l’anima è un’eterna viaggiatrice… come ogni goccia d’acqua.
Sono però tempi turbolenti: la presa di potere dell’ISIS sul territorio è vicina e la minoranza yazida è tra le prime ad essere presa di mira dalle milizie, che dopo aver assediato villaggi e compiuto veri e propri stermini danno vita a una tratta di esseri umani le cui diramazioni arrivano fino all’Europa.
Un nuovo inizio
Quando Zaleekhah, terza e ultima protagonista dei Ricordi dell’acqua mette piede sulla sua nuova casa galleggiante sul Tamigi, si sente sopraffatta dalla vita in ogni suo aspetto: il peso di un matrimonio naufragato è solo l’ultima in ordine di tempo di una serie di crisi che la trascinano in uno stato di vera e propria depressione.
D’altronde, tuttavia, l’acqua è vita per Zaleekhah, giovane inglese che svolge con passione la professione di ricercatrice in ambito idrogeologico. Nonostante questo elemento naturale abbia messo fine alla vita dei suoi genitori quando era ancora una sua bambina, la protagonista lo studia con passione e riverenza.
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L’acqua ricompenserà ben presto Zaleekhah per le sue scelte, con una nuova speranza nella forma di Nen, tatuatrice appassionata di mitologia assira, che la porta a riconnettersi con le sue origini ma la conduce al tempo stesso a un netto contrasto con una famiglia dalla mentalità conservatrice e senza scrupoli.
«I ricordi dell’acqua»: sia lode a Nisaba
La trama dei Ricordi dell’acqua (acquista) si struttura intorno alla triade di protagonisti, collegati progressivamente tra loro proprio come gli elementi che compongono la molecola dell’acqua.
Esterna a questa struttura, a tirare le fila delle vicende dei personaggi, c’è la voce narrante dell’autrice – arcaica e contemporanea al tempo stesso, cantastorie e demiurga. Ritorna d’altronde in diversi punti dei Ricordi dell’acqua la figura della divinità assira Nisaba, dea della narrazione ben presto sostituita dalla sua controparte maschile Nabu, figura rivendicata e impersonata da Shafak stessa.
Nisaba nasce dall’unione fra il cielo e la terra, regni apparentemente così diversi e distanti che sembra impossibile capire che cosa abbiano in comune, e dunque il dono della dea – l’arte della scrittura – rappresenterà sempre il desiderio di cancellare i dualismi, annullare le gerarchie e trascendere i confini.
Dopo L’isola degli alberi scomparsi, che utilizzava come baricentro della narrazione il mondo vegetale, Elif Shafak continua a utilizzare la natura come simbolo dell’interconnessione tra esseri viventi, impreziosendo il suo contributo a un sottogenere narrativo già densamente popolato con un’impalcatura solida e ben ricercata di riferimenti letterari e storici.
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