Un western tutto queer

«Le spietate» di Claudia Cravens

6 minuti di lettura

Una delle ultime uscite di NNE Editore, avvalorata dalla brillante traduzione dell’editor Serena Daniele, è Le spietate (2024, in lingua originale Lucky Red), romanzo d’esordio della scrittrice Claudia Cravens che rivisita il genere western riprendendone l’epica classica ma conferendo agli attori della narrazione una rivisitazione assolutamente contemporanea.

Prima di tutto un romanzo di formazione

Siamo in Arkansas, 1877. Bridget ha sedici anni, è alle prese con un padre alcolizzato e non possiede nulla. A un certo punto si ritrova orfana e sa di poter contare solo su sé stessa: arriva a Dodge City dopo una camminata estenuante nella prateria e la vediamo comparire all’orizzonte vestita solo di stracci, una massa informe di capelli rossi e l’aria dolce e spavalda. La città incarna l’atmosfera del perfetto film western: strade impolverate e fangose, uomini bruciati dal sole, saloon gremiti di persone che vogliono affondare i propri dispiaceri, le prostitute affacciate ai balconi. 

Bridget viene avvicinata da Lila, maîtresse del bordello Buffalo Queen: la nostra eroina viene iniziata così, pur di sfuggire alla povertà, alla professione di prostituta.

Bridget si affaccia al mondo della sessualità scoprendo l’attrazione, il desiderio e la passione. Lo fa lasciando da parte il giudizio e in modo del tutto intraprendente, annaffiando sempre il racconto con un pizzico di goliardia.  Scopre così in Sallie, una prostituta del saloon, l’oggetto del suo primo invaghimento

Ma è l’arrivo in città di Spartan Lee, pistolera leggendaria e temuta da tutti, che destabilizza il cuore di Bridget. In lei la nostra protagonista scopre l’amore: quello autentico, travolgente e perfetto che solo le tragedie regalano. Spartan la conduce attraverso la conoscenza di un erotismo aspro e delicato regalando al lettore apici davvero brillanti e pagine dense di metafore travolgenti.

[…] nessuno aveva mai pensato di considerarmi nella mia interezza, forse perché ero sempre troppo vicina, ma stavolta il suo sguardo mi prese tutta in una volta, e fu come entrare nel salone dopo un rigido inverno, come sentire che la primavera era arrivata.

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Stereotipi rovesciati, da macho a queer

Conosciamo bene le formule narrative legate al genere western perché ci sono state tramandate da una pletora di film e libri che erano immancabilmente i compagni dei nostri nonni. C’è sempre la redenzione, o la fame di conquista; ma nella narrativa classica c’è poco spazio per l’emotività tra le sparatoie, le conquiste di terreni e gli asserragliamenti. Mancava il θυμός, l’ardore e l’emozione che appassionava tanto i greci antichi. 

Cravens utilizza la narrativa tipica del western che rende centrali la voglia di riscattarsi votandosi a una vita migliore, ma decide di inserire personaggi tutti al femminile mossi da una carica emotiva abbagliante e da un ardore che rende le protagoniste di questo romanzo assolutamente epiche.

Non solo: inserisce una costellazione di personaggi genderfluid perfetti per un western rivisitato in chiave queer, dove le donne sono il fulcro delle relazioni e delle dinamiche che costituiscono la trama dell’opera di Cravens (acquista).

Mi resi conto che tutti quelli che mi circondavano avevano avuto, almeno una volta, la profondità necessaria per concedersi. […] mentre le ragazze sfilavano nella mia mente l’una dopo l’altra, il saloon addormentato mi parve all’improvviso risuonare del battito di tanti cuori. 

La metafora della prateria

La prateria è il luogo per eccellenza delle possibilità: incute timore, perché è sconfinata e impervia, ma in essa vi risiedono tutte le possibilità del mondo. Varcare dunque la soglia e abbandonare il conoscibile è un azzardo che solo la nostra eroina è pronta a fare (e non solo quando ricerca vendetta). 

Con delle metafore sorprendenti e una voce interiore forte, la nostra Bridget vuole varcare le porte del confortevole saloon e andare oltre, diventando in un certo qual modo come la persona che ha tanto desiderato e che l’ha conquistata per poi tradirla subdolamente. Eppure il tradimento è un rito di iniziazione, quasi una benedizione, grazie al quale Bridget troverà veramente sé stessa e la libertà e sarà pronta a cavalcare verso quella prateria sconfinata tanto temuta e al tempo stesso agognata (come nel migliore dei film western che si rispetti).

Il sole si stava impigrendo e la luce era uno sciroppo dorato che si riversava sulla schiena; l’erba era gialla e alta fino alle ginocchia, e sospirava accarezzata da un vento leggero simile al tocco di una mano su un tessuto prezioso. Vidi per la prima volta che quella terra poteva essere bellissima.

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Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

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