La nascita di una coscienza che sfida il mondo da cui proviene 

«The Help» di Kathryn Stockett

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«The Help» di Kathryn Stockett

Pubblicato nel 2009 da Mondadori, The Help di Kathryn Stockett racconta una storia che corre sul confine fragile tra tragedia e risveglio: un romanzo che porta il lettore nella Jackson degli anni Sessanta, al centro del Mississippi, uno dei luoghi simbolo della segregazione americana. In questa città apparentemente immobile, fatta di villette borghesi, giardini impeccabili, partite di bridge e cene per beneficenza, convivono due mondi: quello luminoso e superficiale della comunità bianca e quello stretto e invisibile delle donne nere che, ogni giorno, allevano i figli degli altri.

Stockett costruisce una vicenda corale dove la normalità quotidiana diventa teatro di soprusi sistematici, ma anche di piccoli gesti che cambiano la storia. È un romanzo incredibile perché, in mezzo a tanta durezza, non rinuncia alla grazia dei rapporti umani ed è allo stesso tempo tragico perché mostra quanto sia costato, a molte donne, anche solo dire la verità.

«The Help», una storia che rompe il silenzio

La trama di The Help si muove dentro Jackson, Mississippi, una gabbia sociale. È qui che Eugenia “Skeeter” Phelan torna dopo il college: un mondo dove le donne della sua età non lavorano, non scrivono e non dialogano con la politica o diritti civili, ma organizzano eventi, si sposano e difendono regole che non hanno mai scelto. Skeeter è diversa, non solo perché aspira a fare la scrittrice, ma perché inizia a vedere le crepe del sistema che ha sempre dato per scontato. Jackson è la città dei bagni separati, dei quartieri dove i bianchi non entrano e dei bus divisi per colore.

È anche la città di Medgar Evers, leader dei diritti civili assassinato proprio a Jackson nel 1963: un fatto che, nel romanzo, riecheggia come presenza costante, segnale di un clima che esplode a ogni angolo. La scelta di Stockett non è casuale: colloca la storia nel centro geografico del sud segregazionista, rendendo il contesto narrativo parte stessa della trama. È qui che Skeeter decide di rompere il silenzio scrivendo un libro sulle condizioni delle domestiche.

È Aibileen, che porta sulle spalle la morte di suo figlio Treelore e un’intera vita di lavoro invisibile, la prima a parlare. Skeeter entra nelle case di Jackson per raccogliere testimonianze che nessuno vuole ascoltare: quelle di donne come Minny, licenziata da Miss Hilly, la donna che più di tutte incarna il radicato razzismo di Jackson, e di domestiche che vivono costantemente tra paura e necessità. Il romanzo intreccia così le vicende private con una tensione collettiva: l’eco di Martin Luther King, le marce, l’organizzazione dei movimenti per i diritti civili.

Il Mississippi degli anni Sessanta era uno degli Stati più violenti contro chi tentava di cambiare le cose, e Stockett restituisce perfettamente il clima di terrore e sospetto: parlare significava rischiare il lavoro, la reputazione, la sicurezza. In questo contesto, anche un singolo libro può fare la differenza.

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Le vite delle domestiche: un dolore che prende voce

Aibileen, Minny, Yule May e le altre domestiche rappresentano l’anima più vulnerabile e allo stesso tempo più resistente del romanzo. Ognuna di loro porta con sé una storia segnata da traumi personali, ingiustizie quotidiane e una dignità che nessuna umiliazione riesce a scalfire. Aibileen vive nel lutto per la morte di Treelore, un figlio brillante e sensibile che immaginava un futuro diverso da quello imposto dalla segregazione. La sua sofferenza è silenziosa e incisa nei gesti, nel modo in cui continua a crescere i figli degli altri mentre il suo non c’è più.

Minny, invece, incarna la ribellione che non può più essere soffocata: paga sulla propria pelle l’audacia di dire la verità, ma non rinuncia mai al proprio orgoglio né alla capacità di leggere le persone meglio di chiunque altro. Attorno a loro, le storie delle altre domestiche si intrecciano in un tessuto di soprusi sistematici: donne che lavorano per famiglie che le considerano indispensabili e allo stesso tempo inferiori, che pretendono la loro cura ma negano loro qualunque affetto, qualunque riconoscimento, persino la possibilità di vedere crescere i propri figli.

L’adesione al progetto di Skeeter è un atto di incredibile rischio: significa esporsi alla violenza, alla perdita del lavoro, alla vendetta dei bianchi più potenti. Eppure, una dopo l’altra, trovano la forza di parlare. Non per ambizione, ma per necessità, perché tenersi tutto dentro significa continuare a morire ogni giorno un po’ di più. In questo coro di voci ferite emerge anche la figura di Constantine, la domestica che ha cresciuto Skeeter: la sua storia, seppur parzialmente velata, diventa il simbolo di un destino collettivo, quello di donne che hanno dato amore dove non era previsto, e che sono state ripagate con ingratitudine o cancellazione.

Skeeter e Constantine: il legame che smaschera il sistema

“Adesso stammi a sentire, Eugenia. […] Brutta vuol dire che sei brutta dentro. Brutta è una persona che fa del male, che è cattiva. Tu sei una di quelle?”
“Non so. Non credo” dissi tra i singhiozzi. […] Premette con forza il pollice sul palmo della mia mano, gesto che significava, come sapevamo entrambe, “Ascolta. Ascoltami bene”. “Tutte le mattine, finché non sarai sottoterra, bisogna che tu prenda questa decisione. Bisogna che chiedi a te stessa: ‘Oggi voglio credere a quello che mi dicono ‘sti stupidi?’.

Il rapporto tra Skeeter e Constantine è la lente attraverso cui si rivela una verità più ampia e disturbante: nel Sud segregazionista, migliaia di bambini bianchi sono cresciuti da domestiche nere che hanno dato loro affetto, educazione, protezione. Bambini che hanno trovato in queste donne una figura materna più presente delle loro madri biologiche, e che spesso le hanno davvero chiamate “mamma”. Ma quel legame, così intimo e reale nei primi anni di vita, si spezza brutalmente quando diventano adulti. A Jackson ci si aspetta che quei bambini, una volta cresciuti, accettino senza esitazione la stessa gerarchia razziale che ha schiacciato le donne che li hanno cresciuti.

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È un ciclo violento che si ripete, un paradosso emotivo che segna entrambe le parti. Alle domestiche resta il dolore di essere cancellate dalla memoria, ai bambini resta una dissonanza che quasi nessuno ha il coraggio di affrontare. Skeeter è l’eccezione che rompe questo schema. Il legame con Constantine non svanisce nell’oblio di un ruolo sociale imposto, diventa invece la chiave della sua coscienza morale. Quando scopre la verità sulla sua improvvisa scomparsa, Skeeter comprende quanto profonda sia la crudeltà del sistema in cui è cresciuta. La sua scelta di non adattarsi, di interrogare ciò che tutti le hanno insegnato a considerare normale, nasce proprio da quel legame.

Reagire per cambiare: il coraggio di prendere posizione

Ma il fatto è che mi piace raccontare le mie storie: mi dà l’impressione di poter cambiare le cose. Quando esco di lì, il blocco di cemento che ho nel petto si è sciolto, liquefatto, e per qualche giorno riesco a respirare meglio.

Il cambiamento che attraversa Skeeter non coincide con un momento improvviso isolato, ma è un percorso graduale e doloroso, fatto di perdite sociali e di scelte che la allontanano da tutto ciò che fino a quel momento aveva definito la sua vita. Nel momento stesso in cui decide di prendere posizione, la cerchia di amiche, i club femminili e persino la sua famiglia iniziano a guardarla con sospetto. L’esclusione che subisce è sottile ma costante: inviti che non arrivano più, sguardi che evitano i suoi, conversazioni che improvvisamente si interrompono quando entra in una stanza.

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A Jackson il conformismo è come una seconda pelle e chi non si adegua diventa automaticamente un corpo estraneo. Eppure, è proprio in questa fase di isolamento che Skeeter comprende la portata delle sue scelte. Una sera, mentre guida da sola lungo le strade buie del Mississippi, alla radio passa una canzone di Bob Dylan che parla del cambiamento che sta scuotendo l’America. Non ha bisogno di ascoltarne ogni parola, le basta la consapevolezza che fuori da Jackson c’è un mondo che si muove, che qualcosa sta davvero cambiando, e che il suo gesto appartiene a quella stessa onda.

È un momento di lucidità che la conforta, una conferma del fatto che non è sola, anche se nella sua città sembra essere l’unica a vedere la frattura morale che tutti ignorano. Il suo libro, nato come un atto quasi privato, diventa così una piccola scossa. Non è solo la storia delle domestiche, ma la dimostrazione che un gesto disobbediente, quando nasce da un’etica profonda, può avere risonanze impreviste.

Allo stesso modo, i gesti di gentilezza di personaggi come Miss Celia, così distante dalle regole non scritte dell’élite bianca, suggeriscono che esiste un modo diverso di stare al mondo, più umano e meno ossessionato dalle apparenze. Minny, che trova in lei un riparo dopo essere stata umiliata e licenziata da Miss Hilly, diventa il segno concreto di come un atto di dignità possa generare un altro atto di coraggio. The Help (acquista) mostra che reagire significa soprattutto rompere il silenzio, mettere in discussione l’eredità morale ricevuta, scegliere da che parte stare anche quando la scelta costa cara, e capire che il cambiamento non arriva da un’unica rivoluzione, ma da una somma di piccoli gesti capaci di incrinare un intero sistema.

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Elisa Capitani

Classe 1996, lettrice appassionata, amante della letteratura e della scrittura in tutte le sue forme. Ha studiato Lingue e Letterature Straniere a Milano e ha proseguito il suo percorso accademico con una magistrale in Letterature Comparate a Bologna. Ha vissuto a Parigi per quasi tre anni, esperienza che le ha permesso di ampliare i suoi orizzonti culturali e linguistici. Sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare, sogna di viaggiare, imparare nuove lingue e arricchire il suo universo letterario.

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