Non sapeva né leggere né scrivere, il suo lessico era ruvido come la buccia di un’arancia e granuloso come una pietra, ma i suoi discorsi avrebbero potuto «far impallidire tutti i re della terra». Sojourner Truth, pseudonimo di Isabella Baumfree (Swartekill, 1797 – Battle Creek, 1883), è stata un’attivista statunitense, sostenitrice dell’abolizionismo e dei diritti delle donne. Non importava che fosse analfabeta, nella sua bocca succedevano miracoli, si liberavano profezie e rivelazioni che il linguaggio non poteva contenere.
«I suoi discorsi sanno di sabbia cocente, di sangue rappreso, di miele e di incenso. Tutto si ferma quando parla Sojourner. E, insieme, tutto prende vita» si racconta. Alcuni di questi sono racchiusi – per la prima volta in italiano – nel libro Quando morirò, tornerò a casa come una stella cadente, pubblicato da Wudz Edizioni, con la traduzione di Amina De Agostini.
Chi era Sojourner Truth
Viene al mondo già schiava, Belle, nella contea di Ulster, New York. A soli nove anni, nel 1806, viene venduta all’asta insieme a un branco di pecore, per cento dollari. Nel 1826 prende la sua figlia più piccola, Sophie, e scappa. Corre, trova rifugio presso una famiglia e un anno più tardi, quando la schiavitù verrà abolita, sarà finalmente libera. Sente una chiamata spirituale, la segue, si converte al cristianesimo metodista e inizia a battersi nel movimento abolizionista, portando avanti parallelamente le istanze femministe. Muore nel 1883 in Michigan, o forse no. Forse Sojourner Truth non muore, la sua è una dipartita solo apparente: la sua figura viene consegnata all’immortalità che farà dei suoi discorsi il punto di partenza per l’attivismo di molte donne dopo di lei, da bell hooks ad Angela Davis, da Audre Lorde a Toni Morrison.
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Io sono i diritti delle donne
Chi lo direbbe, che i discorsi di Sojourner Truth vennero pronunciati sul finire dell’Ottocento? Le sue parole risuonano più attuali che mai, dai diritti delle donne all’importanza del voto per la democrazia, ma anche la Costituzione, l’uguaglianza e il lavoro.
Durante il suo intervento, si rivolge direttamente agli uomini, alla classe politica: «Non dovete temere di darci i nostri diritti per paura che ne prendiamo troppi, perché non possiamo prendere più di quanto la nostra pinta possa contenere», afferma con sicurezza. In altre occasioni, dichiarerà che «se un posto non è adatto alle donne, allora non è adatto nemmeno agli uomini»: un chiaro riferimento al soffitto di cristallo – che ancora troppo spesso è di cemento armato – in un’epoca in cui il posto delle donne era a casa, in cucina o con ago e filo in mano. Sojourner Truth parla di sorellanza senza mai usare questo termine e, nel momento in cui la voce delle donne era solo un flebile soffio, lei le invita a gridare.
Se la prima donna che Dio ha creato è stata forte abbastanza da capovolgere il mondo tutta sola, insieme le donne dovrebbero essere capaci di rivoltarlo di nuovo dalla parte giusta.
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Sojourner Truth non si accontenta della libertà, vuole lottare contro l’ingiustizia. Le sue idee non sono mai accomodanti e, quando nel 1858 il suo discorso viene interrotto e lei viene accusata di essere un uomo, in tutta risposta si sbottona la camicetta e mostra i seni. Nel 1851, durante il congresso sui diritti delle donne in Ohio, più di un secolo prima dal celebre «I have a dream» di Martin Luther King, farà un discorso destinato a passare alla storia, in risposta alle esternazioni di un uomo della platea. «Non sono forse io una donna?» è la domanda provocatoria che lancia al Convegno: il fatto di essere nera, di essere una ex schiava, di non essere istruita la rende forse meno degna di essere chiamata donna e di reclamare gli stessi diritti delle altre donne?
Come narrato in Quando morirò, tornerò a casa come una stella cadente (acquista), nel 1864 Sojourner Truth riesce ad avere un incontro con il presidente Lincoln al quale espone le sue idee illuminate. Proprio mentre si trova a Washington, stanca di sopportare la segregazione sui mezzi pubblici, all’ennesimo rifiuto di un autista di farla salire, blocca la strada e aiutata dalla folla sale a forza sull’autobus, contribuendo con questo suo gesto plateale alla lotta alla discriminazione.
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