Ci sono libri che sono come una ferita, un’ecchimosi che non si riassorbe, e Amici di una vita di Hisham Matar è uno di questi. Uscito nel 2024 per Einaudi, il titolo si è aggiudicato l’Orwell Prize for Political Fiction 2024. L’autore, nato a New York ma cresciuto a Tripoli, era già noto per le sue pubblicazioni come Nessuno al mondo (2006), Anatomia di una scomparsa (2011), Il ritorno (2017) e Un punto di approdo (2020).
Un romanzo politico?
A leggerne la trama, si potrebbe dire che questo sia a tutti gli effetti un romanzo politico. Il protagonista, il giovane Khaled, da Bengasi approda a Edimburgo per frequentare l’università. Proveniente da una famiglia benestante e figlio di un padre intellettuale che all’aeroporto lo ammonisce con la frase «Non farti traviare», ben presto si ritrova invischiato in una manifestazione anti-Gheddafi organizzata a Londra davanti all’ambasciata libica. E qui la vita di Khaled cambierà per sempre perché uscirà da questa manifestazione gravemente ferito, sia fisicamente che emotivamente. Una ferita che per molti anni gli impedirà di fare ritorno a Bengasi.
Il romanzo, però, parte dalla fine: nelle prime pagine vediamo Khaled che sta salutando il suo “amico di una vita” Hosam in partenza per l’America, e in un flashback che dura tutto il libro ripercorre la sua vita, la sua giovinezza, le cose importanti.
Il dolore, la confusione, il disorientamento e la paura non erano più solamente miei. Vedevo anche prati. Vedevo il mio mare e i miei genitori. La luce familiare. E quando veniva il mattino, ero di nuovo sfatto, diviso, sul punto di spezzarmi. Non ero un uomo bensì un insieme di pezzi che ogni giorno andavano riassemblati.
L’incontro con Hosam
Eppure, non sono gli accadimenti politici il vero fulcro della storia, quanto il fatto che la strada di Khaled incroci a un certo punto quella della persona che diventerà forse la più importante della sua vita: Hosam Zowa.
Il piccolo Khaled, nella sua casa a Bengasi, prima di partire per il Regno Unito, ascolta un racconto di Hosam Zowa, uno scrittore semisconosciuto. Questo racconto, una metafora della vita e probabilmente anche della crisi che prelude la primavera araba, lo colpirà a tal punto che lo accompagnerà per tutti gli anni a venire, finché Khaled non conoscerà di persona Hosam e intesserà con lui un’amicizia destinata a durare tutta la vita.
L’amicizia e il tempo trascorsi in compagnia di Hosam non sono solo momenti intellettualmente pregnanti: l’amico è in qualche modo per Khaled un riconoscimento delle sue radici, il radicamento alla terra in cui entrambi sono nati e cresciuti, una condivisione delle sconfitte imposte dal regime, il fatto che, dopo l’incidente, il protagonista si senta costantemente minacciato dalle spie del governo libico.
Il tempo passava in fretta e in modo strano, poiché spesso mi sentivo ipnotizzato e catturato dalla sua compagnia, e desideravo che non smettesse mai, eppure desideravo anche fuggire, andarmene e fermarmi davanti a un quadro, vedere un film, conoscere qualcuno di nuovo. Quella sensazione contraddittoria rendeva difficile, alla fine di ogni giorno, spiegare come fosse trascorso il tempo.
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Una vita spezzata
Quel che accade il 17 aprile 1984, con gli spari dalla finestra dell’ambasciata libica sulla folla, cambierà per sempre la vita di Khaled, persuaso a partecipare alla protesta dal suo amico Mustafa, che rimarrà ferito anche lui durante la manifestazione.
Ma è Khaled a riportare la ferita maggiore: due proiettili che gli perforano i polmoni, una convalescenza lunghissima, la vita per come la conosceva prima completamente spezzata.
Impossibile per lui tornare all’università di Edimburgo, dove le “cimici” infiltrate mirano a scovare i dissidenti del regime, impossibile parlarne con i suoi genitori a causa delle telefonate controllate, impossibile legarsi sentimentalmente a qualcuno. Khaled inizia una vita solitaria, dove i suoi migliori amici diventano i libri e la letteratura.
Non avrò mai le parole per spiegare cosa provi se ti sparano, se non puoi tornare a casa o devi rinunciare a tutto ciò che proteggevi per la tua vita, o per spiegare la sensazione di essere morto quel giorno a St. James’s Square e di essere rinato, per qualche grottesco accidente, nei panni infelici di un naufrago diciottenne, arenato in una città straniera dove non conosceva nessuno e non sapeva come cavarsela, riuscendo a stento a far passare le giornate, dal mattino alla sera, una dopo l’altra.
L’amicizia
Forse è proprio l’amicizia che, in un certo senso, riesce a salvare il protagonista. Quando conosce Hosam scopre ben presto che anche lui era alla manifestazione del 1984. I dissapori politici verso un regime autoritario, la nostalgia di casa e della propria terra, l’impossibilità di comunicare con i propri cari e di vederli, forse un oscuro passato che ha allontanato Hosam dalla scrittura: sono questi i fili che tengono l’amicizia ben salda negli anni, fino a quando i dissidenti si fanno più forti e i tempi più maturi. Hosam e Mustafa decidono così di partire alla volta della Libia per unirsi alla primavera araba.
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L’incapacità di tornare
Mentre Hosam e Mustafa decidono di tornare in Libia per far parte dell’opposizione armata al governo di Gheddafi, Khaled ha delle ferite troppo profonde, troppo radicate, e il suo patimento gli impedisce di tornare, di rivendicare la propria terra.
L’autore ci regala qui pagine di un’introspezione unica, mentre il nostro protagonista, ormai adulto, prova a mantenere i contatti con i suoi amici che stanno partecipando alle opposizioni e lui, da Londra, viene colto da un senso di impotenza e ottundimento. Il legame con le proprie origini fa scaturire nel protagonista riflessioni penetranti, che appassionano il lettore e lo tengono incollato a queste pagine.
Perché lo consigliamo
Decisamente Amici di una vita (acquista) non è solo un romanzo politico, ma è un romanzo che parla delle proprie origini, di chi si è, di come stare al mondo e come va vissuta la vita e delle cose importanti come le relazioni; in definitiva di come il richiamo verso la propria terra possa essere qualcosa di mostruosamente doloroso.
Ciò che rende imperdibile questo romanzo è che il protagonista analizza ciò che prova grazie a un continuo confronto con gli altri e con gli avvenimenti politici della sua terra di origine, che lo portano costantemente a interrogarsi su ciò che conta davvero.
Vivere una vita non è, come talvolta ho pensato, essere condannati ad assistere alla morte lenta delle cose. O comunque non solo quello, ma principalmente, e al di sopra di ogni altra cosa, senza dubbio al di sopra del proprio paese, religione e nostre varie appartenenze, la vita va vissuta. Non posso dire che fossi convinto. La vita va vissuta non era un principio a cui affidarsi.
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