«Sinfonia del mare»: suoni e silenzi di un’esistenza misteriosa

Una raccolta poetica dove il mare diventa specchio del mistero dell'esistenza dell'uomo

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Sinfonia del mare

In Cuore di tenebra Joseph Conrad descriveva il mare come qualcosa di misterioso, «padrone della sua esistenza e imperscrutabile come il destino». Il mare parla un linguaggio enigmatico tanto quanto l’universo che viviamo. È ciò che ci ha visto nascere e morire, che ogni giorno si rinnova ricordando e dimenticando quanto vissuto.

A questo tipo di mare allude il poeta napoletano trapiantato a Verona Guglielmo Aprile, che al mare dedica Sinfonia del mare. In questa silloge poetica pubblicata nell’ottobre 2021 da Il Convivio Editore, Aprile dà al mare una connotazione esistenzialista che sembra rispecchiare riflessioni già condotte nella sua precedente silloge Farsi amica la notte (Giuliano Ladolfi Editore, 2020).

Le poesie di «Sinfonia del mare»

Risuonano tra le onde eco disperse
di altre voci, di uomini
vissuti in altre età, boati e gemiti
di Atlantidi dimenticate, il rombo
di uragani e naufragi
anche se per la distanza smorzato
si prolunga nel rantolo
della risacca che cresce dal largo
e che parla alla spiaggia, e le confessa
il remoto martirio di qualcuno
che si annegò, e di cui si ignora il nome […].

Così si apre Sinfonia del mare di Guglielmo Aprile: con una poesia dal titolo Mi parlarono le onde, dove il mare si fa bardo che racconta all’io un’esistenza enigmatica, la propria, che è anche quella di tutta l’umanità. Questi versi ci introducono fin da subito al tema della raccolta: il mare non come mero contenitore di acque salate, ma come crogiolo di storie ed esistenze, di vite che si accumulano l’un l’altra e che l’io cerca di percepire: «Mare, di fronte a te, sulle tue sponde/a lungo siedo, da solo, in ascolto».

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L’io si mette fin da subito in posizione d’ascolto nell’intento di ascoltare ogni singolo movimento del mare: l’infrangersi delle onde, le risacche, piuttosto che la quiete dell’acqua. Ogni movimento, anche il più futile, nasconde dentro di sé una storia e un enigma difficile da decifrare, così come misteriosa è la nostra esistenza.

«Sinfonia del mare»: raccontami, o mare, l’esistenza degli uomini

Questa idea di ascolto e di scandaglio del mistero dell’esistenza attraverso il mare viene spesso ribadita in Sinfonia del mare attraverso i titoli delle singole sezioni della raccolta. Titoli come Origliando alle porte del mare, piuttosto che Bardo schiumante, Cembali della Ionia e Mare solo maestro danno la sensazione di assistere a un dialogo fra l’io e il mare, che però si rivela essere muto, silenzioso, fatto di tante domande senza risposta.

Già in Farsi amica la notte, più precisamente nella sezione intitolata Gibilterra, si delineava la concezione del mare come elemento esistenzialista distante rispetto al destino dell’uomo, capace solo di dare silenzi alle sue domande. Nella poesia Omertà del mare ci viene data questa immagine del mare:

Il mare è una grande finestra chiusa,
un testimone fidato e omertoso;
e non tradisce un giuramento:
non si sbilancia non è corruttibile,
sa già un verdetto
ma non concede non può consentire
che esso filtri in anticipo
sui tempi stabiliti.

Sempre in questa raccolta, Aprile illustra il mare come ciò che porge agli uomini «un quesito che non ammette soluzioni», che conduce un «argomentare lucido e inconcludente» e «non arriva mai a una soluzione». Sia qui che in Sinfonia del mare valgono le parole usate da Giuliano Ladolfi nella prefazione di Farsi amica la notte: «le parole […] si tramutano in flatus voci, prive di rapporto con il mondo, incapaci non solo di descriverlo, ma neppure di produrre comunicazione».

Il linguaggio del mare

Il mare, dunque, è espressione di una realtà che possiamo solo ascoltare, non riuscendo mai a comprenderla fino in fondo:

È straniero, e proviene
da un luogo di cui si ignora ogni cosa,
è barbaro, e la lingua
che parla è incomprensibile agli uomini;

Quello del mare ci appare fin da subito come un linguaggio composto da «illeggibili geroglifici» e un «alfabeto rozzo del tufo e della schiuma». La sua è una lingua buia, barbarica, incomprensibile ai più, ma che racconta comunque storie di esistenze precarie come quella di Icaro, il figlio di Dedalo, «il ragazzo che imparò a volare/dopo che si lanciò da una rupe/per ricongiungersi al sole, suo padre».

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Il mare per l’io lirico appare incomprensibile perché tale è il mistero della vita, che ci dà l’illusione della felicità per poi farci naufragare senza una spiegazione. La vita scorre e non si ferma mai, come si può intuire dalla prosodia delle poesie, il cui ritmo è dato da un susseguirsi di versi legati tra loro dall’enjambement che quasi ci impediscono di comprendere ciò che accade.

Il mare assiste a «eventi senza testimoni» e porta il peso di errori che non può condividere con nessuno. Il suo è un «oscuro idioma» che accentua la solitudine dell’esistenza, fomentata dall’impossibilità di comprendere le ragioni della sua fragilità:

Lo sproloquio delle rocce,
farneticare inascoltato;
paranoico mare, parla una lingua buia,
pronuncia una sola parola
che non capiamo, oracolo tenebroso e tremendo.

La vita senza fine del mare

Nonostante la lingua del mare risulti incomprensibile, l’io riesce a mettersi comunque in comunicazione con lui inventando un nuovo linguaggio fatto di silenzi, ma soprattutto delle tracce che il mare ha lasciato per comunicare la sua essenza al mondo:

Le galassie raccontano
alle conchiglie il proprio lungo viaggio;
e lui, il mare, raccoglie e poi disperde
l’eco di quella lunga confessione:

dissipa sillabe d’alghe e schizzi
sopra la pergamena delle spiagge,
senza posa versifica
perduti amori e la storia del mondo […].

La storia del mondo incapsulata nel mare è quella di una vita che nasce e muore continuamente, e che tanto ricorda Morte per acqua, quarta sezione della Terra desolata di T.S. Eliot, con Fleba il Fenicio il cui sacrificio indica una vita che si rinnova. La violenza del mare che vuole le sue vittime dai naufraghi a Icaro e Atlantide è una violenza rigeneratrice, quella della vita, che per ogni vita che nasce ne pretende una che muore.

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L’io lirico arriva a comprendere come il moto del mare dia origine a «una perpetua catarsi» che «consuma e resuscita gli astri», la prova che «nulla è stabile e dura e che il mondo/la sua danza rinnova/nel fuoco del perenne mutamento». Attraverso il mare l’io lirico – e noi lettori con lui – impariamo che l’esistenza è un ciclo continuo di nascita e morte che ci porta a nascere e morire più volte. Un ciclo che non possiamo comprendere fino in fondo, ma necessario per mantenere l’equilibrio del mondo.

«Sinfonia del mare»: il mare come condizione esistenziale

Che cos’è, dunque, il mare? Per Guglielmo Aprile e la sua raccolta Sinfonia del mare (acquista) è lo specchio delle nostre esistenze: un continuo vivere sulla soglia senza comprendere fino in fondo a quale destino andremo incontro. Un incessante movimento di catarsi per espiare colpe inspiegabili, anzi, per espiare la colpa dell’esistenza, ovvero vivere senza comunicare con la realtà. Aprile, però, vuole raccontarci proprio questo: vivere ed esistere significa accettare silenziosamente il proprio destino.

[…] sull’orizzonte è scritto
che non sono reali né l’inizio
e né la fine, né morte e né nascita

e che il tempo non è
che un solo istante, ma moltiplicato
per se stesso infinite volte; e come

tutte le onde di una sola onda
fanno parte, così tutte le vite
in una sola vita il mare fonde.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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