È una credenza comune sostenere che in ogni famiglia vi sono dei segreti nascosti, alle volte sono talmente misteriosi che sembra difficile svelarli. Per evitare di cadere in questo vortice, basterebbe essere indifferenti o, meglio, allontanarsi dai propri cari. Tuttavia, non è questo il destino del protagonista di Malbianco, il nuovo romanzo di Mario Desiati – già vincitore del premio Strega nel 2022 con il romanzo Spatriati – pubblicato per Einaudi.
Divisa in quattro parti, in questa storia il protagonista Marco affronta il passato attraverso un’indagine complessa, poiché parrebbe che la sua famiglia è afflitta da un misterioso mal bianco, una malattia delle piante che simboleggia una condizione di malessere che si riflette sui suoi affetti, e su sé stesso.
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Immagini di un passato insidioso
La mitologia famigliare di Marco
La storia di Malbianco pone al centro Marco Petrovici, un uomo nevrotico appassionato di letteratura, appartenente a una famiglia dal cognome abbastanza particolare. A seguito della sua debole condizione di salute, decide di tornare a Taranto, in Puglia, per scoprire l’origine di alcuni suoi disturbi.
Rientrato a casa e, dunque, dai propri genitori Use e Tonia, la sua condizione non migliora molto e insorgono una serie di sensi di colpa e frustrazioni. La narrazione cambia registro nel momento in cui, a seguito di un ricordo d’infanzia, una figura misteriosa irrompe nella quotidianità di Marco, il quale probabilmente lancia un segnale affinché egli indaghi nel proprio passato per comprendere le vere origini culturali della famiglia, in modo tale da scoprire il segreto dietro il cognome.
La mitologia famigliare ritratta in Malbianco è caratterizzata dalla presenza di alcune figure che sembrano non voler rivelare tutti i segreti, a eccezione di zia Ada che inizialmente fornisce un diario al protagonista scritto dallo zio, il fratello di Use, anche lui di nome Marco, dove racconta la storia di Demetrio e Pepin, due fratelli che hanno vissuto gli orrori della guerra e che per il protagonista rappresentano, rispettivamente, nonno e zio. Queste due figure gettano Marco in una ricerca meticolosa volta a ricostruire la memoria e i possibili collegamenti tra lui, loro, e il resto della famiglia.
Simbologia del bosco
La particolarità del romanzo di Desiati è data dalla costante presenza dei boschi, i quali rappresentano sia il luogo della dimora della famiglia, sia un luogo di timore e inquietudine. Proprio per questo motivo, entrare nel bosco rappresenta la possibilità di addentrarsi nella propria storia, rievocare figure che hanno segnato la nostra infanzia e non sono andate via del tutto, e per immergersi nelle profondità del proprio io interiore. Ma il bosco può rivelarsi insidioso, e qui sopraggiunge timore di smarrire il sentiero, il senso dell’ignoto.
Il bosco presente in Malbianco, al di là del classico archetipo, rappresenterebbe l’albero genealogico dei Petrovici, i cui rami non sono tutti ben saldi. C’è un ramo che è stato spezzato, ed è proprio su quello che Marco deve indagare per riappropriarsene e per costruire una nuova identità, soprattutto per riconciliarsi con la famiglia, nonostante il passato familiare non sia mai qualcosa di neutro, poiché vi possono essere diversi vuoti di spazio e di tempo, fratture e traumi che non si dovrebbero rievocare.
Mio zio Marco Petrovici, morto nel 1975 per un male incurabile e improvviso, ha raccolto in queste pagine alcune intuizioni sulla storia del nostro cognome; ci sono date, documenti e una testimonianza perché, come scrive in uno di questi appunti, «va tagliato il ramo malato».
Tuttavia, Marco attraversa il proprio bosco con coraggio sfruttando l’aiuto della storiografia e di uno psicoterapeuta per fare luce sulle ombre della sua vita, puntellata anche dal fallimento di non essere stato un figlio modello.
Rimuovere il male per sempre: è possibile?
Malbianco (acquista) oscilla costantemente tra il bisogno di sapere e il peso della verità, tra il desiderio di colmare un vuoto e il rischio di scoprire qualcosa di destabilizzante. Non sono tematiche lontane da altri romanzi dell’autore, con la differenza che in questo assistiamo a un viaggio identitario intimo e segnato da un senso di inquietudine e incertezza.
Come spesso accade nella vita, convivere con i propri fantasmi è un’arma a doppio taglio, poiché da un lato si può semplicemente accettare la loro presenza fantasmatica trovando un giusto equilibrio, affinché vengano concepiti come numi tutelari in grado di non farci commettere determinati errori e orientare il nostro modo di vedere il mondo senza che prendano il sopravvento; dall’altra, invece, potrebbero schiacciare così tanto i nostri pensieri a causa di verità non dette, ponendoci nelle condizioni di costruire la vita con un profondo senso di angoscia e rischiare, così, di ledere la nostra personalità.
Ciò che Desiati tenta di trasmettere nel romanzo è una riflessione sulle possibilità di cambiare il proprio presente, costruendo un ponte in grado di mediare tra ciò che è stato e ciò che sarà, seppur tornare indietro possa essere doloroso. La bellezza della narrazione letteraria è che la realtà della fiction non è tanto distante da quella che percepiamo attualmente, poiché pone il lettore nelle condizioni di riflettere sulle sue abitudini, sui suoi comportamenti e, dunque, sul suo pensiero. Ogni azione si riversa sulla nostra mentalità, così come è intrisa nel nostro codice genetico la natura della famiglia alla quale apparteniamo.
Forse è vero che, per certi versi, siamo condizionati dal passato della nostra famiglia, basta solo saper affrontarlo quando si presenta con le sue insidie e saper voler bene ai propri fantasmi, anche se è difficile.
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