«Piccoli addii» da un’età in cui tutto è addio

Il piccolo capolavoro di Giovanni Mariotti

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«Piccoli addii» di Giovanni Mariotti

Piccoli addii è stato edito nel 2020 per i Microgrammi dell’Adelphi. La collana si propone di raccogliere piccoli capolavori sconosciuti di scrittori affermati. Possiamo ritrovare dei veri e propri classici come le milonghe di Jorge Luis Borges oppure un racconto secondario di Robert Louis Stevenson. Non manca nemmeno la saggistica che vanta nomi quali Frederik Treves – il medico dell’Uomo elefante –, Richard Hofstadter e Gottfried Benn. Per la letteratura italiana, invece, per il momento vi sono solamente due esponenti: Carlo Emilio Gadda con La casa dei ricchi e Giovanni Mariotti con, appunto, Piccoli addii.

Nonostante si tratti di un autore prolifico e decisamente interessante, Mariotti non è uno scrittore conosciuto al grande pubblico. Fra le sue pubblicazioni emerge senz’altro Storia di Matilde, definito da Pietro Citati come «il più bel romanzo scritto in Italia negli ultimi vent’anni». Edito inizialmente dalla casa editrice Anabasi con il titolo Matilde, il libro viene accolto nel catalogo Adelphi e diventa in poco tempo un successo. Si tratta sicuramente di un esperimento letterario – l’opera è sprovvista di punteggiatura –, eppure Mariotti riesce a descrivere la vita della “povera gente” come pochi altri prima di lui.

«Piccoli addii»: una malinconica consapevolezza della perdita

Piccoli addii è sicuramente un’opera più modesta rispetto al suo capolavoro o ad altri scritti, eppure è dotato di un fascino irresistibile e il lettore si sorprende di come si possa riuscire a condensare così tante suggestioni in poche frasi ben assestate. Come precisa Matteo Moca, si tratta di pagine «ammantate tutte di una malinconica consapevolezza della perdita». Questa sorta di elzeviri – pubblicati inizialmente in una prima stesura per il Corriere della Sera – consacrano questo grande autore a un pubblico più vasto, dando l’opportunità a tutti noi di addentrarci nel mondo tratteggiano da un libretto scorrevole ed emozionante.

Costituito da due sezione, Piccoli addii non è da definirsi come un omaggio o un solenne e nostalgico commiato per un’epoca scomparsa, anzi. Mariotti rivive la sua vita tramite gli oggetti della sua infanzia o giovinezza e ricorda alcuni episodi caratteristici della sua formazione. La sua è una prosa, a tratti naturalmente poetica, capace di cogliere il senso e alcune decisive chiavi di lettura negli attimi quotidiani. Ormai più che ottantenne rivede i suoi contributi giornalistici per questa speciale edizione. Ne emerge sì una consapevolezza della perdita, ma anche un’ironia agrodolce senza rimpianti.

Il lettore simpatizza inevitabilmente con l’Autore, in quanto Mariotti non si cela dietro ipocrisie o falsi sentimenti di profonda umanità. La sua sincera voce è frutto di un’esperienza genuina, attorniata da migliaia di volumi e da persone pronte a entrare nella sua esistenza seppure per un istante. Piccoli addii è innanzitutto un viaggio: da una parte verso un’Italia che non c’è più (ma così attuale!) e dall’altra una mappatura interiore. Un’epopea d’occasione che sorprende per il suo essere così modesto e al contempo ricco di immagini.

Un amarcord della Versilia

La prima parte è intitolata Piccoli addii alle cose della vita che – come precisa l’autore nella nota iniziale – «era il titolo di una rubrica estiva del Corriere della Sera nel 2004; si trattava di brevi congedi da un mondo che non c’era più». Mariotti – «a un’età in cui tutto è addio» – riprende questi testi, strettamente legati al luogo in cui è cresciuto. Un amarcord della Versilia. Infatti, lo scrittore, orfano di padre, nasce in un piccolo paese della provincia di Lucca e in questo microcosmo sviluppa una sensibilità personalissima. Spesso si prende a pretesto un oggetto di uso quotidiano per analizzare un’epoca. Basti citare Il salvadanaio, magistrale sintesi narrativa:

Mio nonno mi aveva regalato un salvadanaio di terracotta a forma di orcio, e prima di andare a letto lo scuotevo avvicinandolo all’orecchio. Panciuto come un piccolo Buddha, mi rassicurava con la sua petulanza.

In otto paginette sono contenute talmente tante suggestioni da offrire decine di spunti di riflessione. Partendo dalla descrizione del salvadanaio, l’Autore medita sulle espressioni della lingua italiana, sulla storia antica, sulle impressioni infantili e addirittura si abbandona all’analisi di alcuni versi di Pascoli. Nonostante la frammentarietà dei componimenti – tutti si compongono di brevi capitoli – il racconto è estremamente compatto. Come in una matassa – altro titolo di un componimento –, Mariotti riesce in un intento per nulla semplice: ridurre in un lavoro omogeneo tutti i fili aggrovigliati dei suoi pensieri.

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«La visita di leva»

Non è un caso, poi, che questa prima sezione si concluda con La visita di leva. In questo caso Mariotti ragiona sul concetto di nudità. Non nasconde di avere un “pudore innato”, esacerbato ulteriormente da tre anni di seminario. Tanto da affermare – con la sua consueta ironia – che:

Di fronte alla spiaggia di Viareggio formicolante di bagnanti provavamo lo stupore e l’imbarazzo che avrebbe provato un barbaro antico capitato a Olimpia.

Il servizio di leva compare solo poco dopo la metà del racconto: l’Autore, infatti, è chiamato alla visita nonostante sia esentato dal servizio militare in quanto figlio unico di una vedova. Lo Stato sottopone tutti gli uomini a questo supplizio che consiste nel metterli «in fila nudi come vermi» per la visita. Poi, sempre nudi, vengono costretti a scrivere una frase per saggiare l’ortografia. L’Autore con lo spirito satirico che lo contraddistingue giunge ad affermare:

Nella mia memoria quella squallida parata di genitali potrebbe far parte di un film sui Lager.

Il debutto in società

Coerentemente la seconda parte è dedicata – omaggiando Balzac – ad alcune Scene di un debutto in società. In questo caso il giovane timorato della Versilia, ma colmo di fantasie e aspettative, si trova a fronteggiare Milano, costretto a emigrare per lavoro come migliaia di italiani. L’affresco che Mariotti ci restituisce non differisce di molto rispetto a quello consegnatoci da Visconti nel Rocco e i suoi fratelli. In particolare, l’Autore ricorda il suo arrivo nel capoluogo lombardo per lavorare in Rai. Eppure, prima dell’avventura in sé, vengono restituite alcune impressioni sul mondo del lavoro, la società e gli insegnamenti appresi.

Ne Il liceo classico, si racconta di quando lo scrittore rise inaspettatamente – e per un singolare impulso inconscio – di un discorso motivazionale e paternalistico del Preside. L’ironia e l’autoironia, come viene precisato dall’Autore, diventano una salvezza, uno stile di vita da perseguire per la propria indipendenza spirituale e non. Ne seguono spassosi aneddoti sulle peripezie di cui un giovane toscano si trova protagonista. La ricerca delle camere ammobiliate è di sicuro una delle più difficoltose:

Nella memoria quelle camere sono diventate per me un’unica camera – antro disseminato di fogli buttati dappertutto, di librini grigi della Biblioteca Universale Rizzoli, di giornaletti su cui timidamente faceva capolino una pornografia in boccio di cui nessuno per il momento avrebbe osato pronosticare la fioritura, di calzini bucati, di briciole di pane.

«Piccoli addii»: una storia universale

E non mancano nemmeno le riflessioni sulla sensualità, impregnate sempre di pudore e rispetto. Anche se il momento più delicato e forte dell’intero libro è dato dalla descrizione del rapporto con la madre. Ne La bohème l’amore filiale viene raccontato senza fronzoli, sprovvisto di qualsiasi eccesso: si tratta di un puro rapporto, con tutte le sue difficoltà. C’è del tenero nelle parole di Mariotti, eppure la sua è anche un’autoanalisi attenta e non sempre indulgente. La critica raramente viene palesata in maniera brutale; piuttosto emerge silenziosamente, aleggiando di tanto in tanto fra le righe.

Nelle ultime pagine del volume il lirismo di Mariotti raggiunge vette notevoli e anche questa volta è capace di donarci un ritratto del tutto veritiero di un’epoca e di un giovane tanto timido quanto determinato. Piccoli addii (acquista) è una storia universale. Mariotti ha avuto la capacità e la sensibilità di riportarla, ma è come se descrivesse un destino comune di milioni di persone di ieri e oggi.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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