Laura Palmer ci interessava poi tanto da viva?

«Sad Girl. La ragazza come teoria» di Sara Marzullo

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Sad girl

Pensate a Il giardino delle vergini suicide, e alla malinconia impenetrabile delle sorelle Lisbon. Pensate allo sguardo vacuo di Winona Ryder in Ragazze interrotte. Pensate alle canzoni di Lana Del Rey, o al mistero di Laura Palmer che, di Twin Peaks, è protagonista solo da morta, eterna e silenziosa custode di un mistero che in molti desidereranno svelare. Cos’hanno in comune queste e molte altre figure femminili, rappresentate o evocate in libri, film, serie tv, canzoni (e anche nei ricordi di qualche nostalgico di mezza età)?

Eternamente giovani

Secondo Sara Marzullo, autrice di Sad girl. La ragazza come teoria (66thand2nd), sono un simbolo potente per la nostra società e per le strutture di potere a essa sottese. La ragazza sempre un po’ evanescente, triste senza evidente ragione oppure volubile, indecifrabile dallo sguardo maschile ma così familiare e quasi confortante per quello femminile, è molto più presente nei prodotti culturali che quotidianamente consumiamo di quanto non ci riesca di pensare. È sempre un simulacro e mai una persona, sempre ragazza e mai donna: infatti «Perché la loro vita sia per sempre potenziale, devono morire. O, meglio, devono scomparire per essere evocate, viste come immagine allegorica», scrive Marzullo.

In questo tipo di raffigurazione della ragazza, la tristezza è un tratto strutturale, è ontologica quanto la sua aura di apatia, di inafferrabilità, di perturbante sentore di morte. Proprio per questo può esistere solo come ideale, rifugiarsi in un film, in una melodia, in un ricordo idealizzato e stilizzato di quella ragazza che tanti anni fa ti ha rifiutato, e non ti sei mai riuscito a spiegare il perché.

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Congelata nella sua età giovanile, senza poter dunque invecchiare o appassire, la sad girl è simbolo di quello che del proprio lato femminile si è dovuto sacrificare per diventare uomini; è lo scrigno dove sono custoditi i ricordi della propria giovinezza e della propria vulnerabilità, che attraverso di lei si possono quindi evocare. In lei è conservata la memoria di un’età perduta e di cui si avrà per sempre malinconia, lei è l’ache, il dolore profondo e incurabile di cui non si trova l’origine.

Le strutture di potere implicate

Da una spiegazione semiotica della figura della sad girl nell’immaginario collettivo, Marzullo passa poi ad analizzare il potenziale che questa figura custodisce tanto nel processo di creazione artistica quanto nella sua mercificazione, ovvero nel circuito del consumismo contemporaneo. Sad girl è infatti «la ragazza triste, erede autoproclamata di quella tradizione artistica e femminista che aveva trasformato ciò che genericamente chiamiamo tristezza […] in una sorta di stato creativo». Pensate, ora, all’Ofelia nel quadro di John Everett Millais, immortalata mentre, già morta, il fiume la porta via in mezzo a una quantità di fiori che sembra dirci: vedete, si è suicidata, ma niente di serio. La sua bellezza e giovinezza la preserveranno, almeno ai nostri occhi di fruitori d’arte, da qualsiasi corruzione:

Gli artisti sembrano amare questo tipo di composizione, questi memento mori in cui le giovani, sempre fragili e meditabonde, colgono fiori non sapendo che la vita di entrambi sta già finendo, ancor prima di cominciare davvero. 

È certamente un modo di esorcizzare la morte, estetizzandola, ma anche per strumentalizzare il corpo femminile e renderlo «soggetto passivo» nell’ingranaggio del consumismo, perché «Si è infatti tanto più cittadini modello quanto più si è consumatori modello, quanto più si combacia con i prodotti che si consumano», e la sad girl «costruisce la propria immagine a partire dalla giusta combinazione di prodotti culturali».

Essere consapevoli = non essere più vittime?

La ragazza così rappresentata, dunque, non può che essere sottomessa al sistema? Il suo corpo sempre strumentalizzato, sempre oggetto di (+ desiderio, controllo, manipolazione…)? Apparentemente sì, nonostante la narrazione collettiva sia cambiata. Sebbene infatti la situazione sia diversa per pop star e super model, ora «imprenditrici di loro stesse, manager, girlboss e perfino politicizzate», non si può dire lo stesso per l’esperienza che ogni altra ragazza, solo in quanto ragazza, affronta nel mondo del lavoro e della cultura odierno. Marzullo, con grandi qualità argomentative e attingendo anche al proprio vissuto, si chiede se la consapevolezza di certe strutture di potere, oggi molto più diffusa ed esplicitata, sia abbastanza. Abbastanza per sanare il problema e rimettere le ragazze – tutte le ragazze oggettificate e sfruttate per il loro aspetto – in posizione di controllo nella negoziazione.

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Ero troppo sensibile alle parole dei miei capi, oppure non lo ero abbastanza e confondevo la loro benevolenza con qualcosa di più oscuro e difficile da nominare? Il fatto che fossi una ragazza mi impediva di leggere con maggiore serenità quei rapporti, e così vivevo male le loro osservazioni, temevo di non essere abbastanza alla mano o di non essere considerata per la mia intelligenza? O forse ignorare il mio ruolo in quei rapporti mi avrebbe solo messo ulteriormente nei guai? […] Esplicitare la dimensione del proprio sfruttamento cancella lo sfruttamento? 

Sad girl. La ragazza come teoria (acquista) è il saggio di cui avevamo bisogno anche senza saperlo. Marzullo si inserisce nel dibattito sulle discriminazioni di genere e sui mezzi di esercizio del potere sulle donne approfondendone un aspetto enormemente interessante: qualcosa che forse abbiamo notato ma mai messo a fuoco con criterio, dal quale ci siamo sentiti attratti e repulsi. La sad girl che, nella nostra società, è molto di più che una ragazza un po’ malinconica.

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Michela La Grotteria

Classe 1999, genovese, dopo la triennale a Milano si sta specializzando in Italianistica a Bologna. Ama i racconti brevi – ogni tanto ne scrive e pubblica qualcuno – e i romanzi lunghi, le tazze da tè e il francese. Sogna di trasferirsi a Parigi e lavorare in una libreria indipendente.

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