Natale a Oslo

«La porta delle stelle» di Ingvild Rishøi

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Natale a Oslo

«A volte ripenso a Tøyen. E allora lo rivedo in tutta chiarezza, il mio quartiere». Questo è l’incipit de La porta delle stelle, romanzo natalizio dell’autrice norvegese Ingvild Rishøi, uscito di recente in traduzione italiana per Iperborea

Tøyen, Oslo

Ora, per chi non conoscesse Oslo, una breve introduzione sembra di dovere: non per sfoggiare la personale conoscenza sui quartieri di una città dal sapore nordico, nella quale l’autrice di questo articolo ha scelto di vivere, ma perché la storia raccontata in questo libro, la sua protagonista/narratrice e il quartiere in cui si muove sono un tutt’uno, e questa simbiosi è uno dei punti di forza del romanzo.

Tøyen è un quartiere curioso. Situato in centro a Oslo, ma più tendente verso Est, è considerato un quartiere popolare, abitato da immigrati che qui hanno negli anni aperto supermercati e locali etnici. A Tøyen, però, c’è anche dell’altro: il Giardino Botanico di Oslo, con la sua magnificenza rigogliosa, e il vecchio museo Munch, che ora ha trovato nuova sede nel moderno quartiere di Bjørvika. Tøyen è un quartiere di contrasti, e così è anche la vita di Ronja e Melissa: orfane di madre, un padre alcolizzato a cui è vietato l’ingresso in metà dei pub della città, le due ragazze cercano di condurre una vita normale, rispettabile, specialmente mentre aspettano il Natale.

Ma prima che finisca, bisogna che continui. E continua con lui che perde un lavoro dopo l’altro, il frigo resta vuoto e la casa si riempie di gente stravaccata sul divano che dice ma guarda chi c’è, ciao Ronja, e dice e faccelo, un sorrisino ogni tanto e io non rispondo perché cosa vuoi rispondere in questi casi? «Quando credi che tornerà?» «Credere è roba da moschea», dice Melissa. «Ma tu cosa credi?». Tenevo il naso affondato nel suo collo, che era un po’ umido nel punto dove respiravo. «Credo che dovresti dormire».

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Un lavoro per Natale

Ronja e Melissa si creano un microcosmo di affetto e cure, dove Melissa deve ricoprire entrambi i ruoli genitoriali per la piccola Ronja ed evitare che la situazione del padre si aggravi a tal punto da attirare l’attenzione dei servizi sociali. Così, quando il custode della scuola di Ronja propone un lavoro al padre – vendere alberi di Natale, in uno dei punti all’aperto dove a dicembre si va a scegliere il proprio abete –  questo lavoro si trasforma in un’opportunità dorata. Per quanto faticoso e poco pagato, infatti, rappresenta la stabilità che le bambine non hanno da un bel po’, e quando il padre sembra sul punto di perderlo saranno proprio Ronja e Melissa a lavorare al posto suo.

Inizia così un nuovo capitolo della storia delle due sorelle: l’accordo che raggiungono con un impiegato del locale permette loro di lavorare entrambe, in modi diversi, e accumulare una cifra che ha il sapore dell’indipendenza, dell’aver imparato a badare a sé stesse. La scusa inventata da Ronja, per giustificare il suo impiego, è che aiuta a raccogliere soldi per i bambini poveri. 

«Il punto», ha detto Tommy, «è che loro non sono poveri.» «Ma noi?» sono intervenuta. «Noi che?» ha detto lui. Non ho risposto. Ho lasciato che ci pensasse un po’ da sé. Mi ha guardato con i suoi occhi azzurro chiaro».

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Uno sguardo di speranza

Lo stratagemma, ad alti e bassi, si sviluppa per un po’, e poi la trama accelera e porta a un finale brusco, anche se non del tutto doloroso. Questo libro è una favola di Natale moderna. Non c’è raccoglimento attorno a un camino, non ci sono zie ricche in visita che portano bambole. Non c’è una ricca tavola imbandita, né ci sono regali da scartare.

La forza de La porta delle stelle (acquista) sta nello sbozzare i tratti sociali ed economici di una fascia di popolazione, di un quartiere, e delle sue difficoltà, attraverso gli occhi ottimisti e propositivi di una bambina. Il tema dell’alcolismo – grave problema sociale nei paesi scandinavi, abbondantemente trattato in letteratura – si insinua qui attraverso i ricordi offuscati, gli incubi che tormentano i sogni di Ronja che vorrebbe risvegliare sé stessa, la sorella e il padre, e prova con tutti i mezzi che trova a svoltare la situazione. Così, attraverso la gentilezza del suo carattere, che la porta a fraternizzare con il custode della scuola e a dividere il pranzo con uno scoiattolo, anche “La porta delle stelle” passa dall’essere il nome di uno dei pub dove si rifugia il padre, ad assurgere a simbolo di speranza e di ascesa. Mai come a Natale, tutto questo è possibile.

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Michela La Grotteria

Classe 1999, genovese, dopo la triennale a Milano si sta specializzando in Italianistica a Bologna. Ama i racconti brevi – ogni tanto ne scrive e pubblica qualcuno – e i romanzi lunghi, le tazze da tè e il francese. Sogna di trasferirsi a Parigi e lavorare in una libreria indipendente.

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