Ci sono autori i cui romanzi ottengono subito un grande successo e poi scelgono il silenzio. Scrittori che spesso cadono immeritatamente nel dimenticatoio, e che poi vengono riscoperti dopo anni da editori indipendenti coraggiosi. È il caso di Dante Arfelli (1921-1995), autore di Bertinoro, nel cesenate, celebre per I superflui, romanzo vincitore nel 1949 del Premio Venezia (antenato del Premio Campiello), pubblicato in Italia da Rizzoli e negli Stati Uniti da Scribner, l’editore di Ernest Hemingway, dove vende milioni di copie.
A cent’anni dalla nascita del suo autore, la casa editrice ladispolana readerforblind ha ripubblicato lo scorso marzo questo romanzo con prefazione di Gabriele Sabatini per inaugurare la collana de «le polveri», uno spazio dedicato a quei libri e quegli autori ingiustamente dimenticati e a cui si vuole dare una nuova vita.
La casa editrice giusta, dunque, per un autore come Dante Arfelli, che ha scelto di restare nella provincia romagnola invece di frequentare il giro che conta. Uno scrittore che, come scrive Sabatini nella sua prefazione, «sceglie di non abbracciare i meccanismi dell’industria culturale, di non gareggiare per raggiungere il successo».
La trama de «I superflui»
I superflui si svolge dopo la Seconda Guerra Mondiale e ha per protagonista Luca, un ragazzo proveniente dalla provincia che, dopo aver combattuto sul fronte, si trasferisce a Roma in cerca di fortuna con in tasca le lettere di raccomandazione del parroco del paese e di un politico socialista locale.
Tuttavia, a Roma, quella città che Luca «guardava con un senso di spaesamento», al punto che «sentiva venire meno la fiducia che l’aveva sorretto fino ad allora, fin quasi all’arrivo in stazione», il protagonista trova solo lavori periodici che non lo porteranno da nessuna parte, a parte condividere il proprio destino di smarrimento e immobilismo con persone come la prostituta Lidia, l’utopista politico Luigi, l’arrivista e studente universitario Alberto e la vedova Ortali.
Chi sono «I superflui»?
Per parlare di questo romanzo, vale la pena soffermarsi sulle parole dell’autore, citate nella prefazione di Gabriele Sabatini: «I superflui sono, per me, una categoria morale. […] Avevano amore per la vita, solo che questo amore veniva frustrato dalla società, di qui il senso di inutilità, per gli altri più che per sé stessi».
A differenza degli “indifferenti” di Alberto Moravia o degli “egoisti” di Federigo Tozzi, citati nella prefazione, i “superflui” di Arfelli sono una categoria che supera le distinzioni sociali. Sono da intendersi come una categoria esistenziale, espressione dello smarrimento di un’intera generazione, come spiegato da Maurizio Di Fazio nel suo ritratto dedicato all’autore del cesenate pubblicato su “Robinson” l’1 maggio 2021:
Tocca infatti corde abissali e universali questo requiem per un pugno di quasi adatti, ventenni già alla deriva, che si lasciano, si guardano distrattamente vivere, in una fase di ricostruzione collettiva, tra smisurati slanci, spinte ideali, smanie di palingenesi. Le parvenze di illusioni sommerse dalle onde del destino. Una categoria morale e una sinistra profezia personale, inoltre.
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Dello slancio politicamente impegnato tipico del neorealismo non si trova nulla, anzi, l’unico personaggio con slanci rivoluzionari, Luigi, non ne esce bene. A questo proposito, Di Fazio afferma che «il suo stile [di Dante Arfelli] e la sua poetica erano un oggetto sfuggente, in odore d’eresia».
Nei “superflui”di Arfelli si riconoscono, per esempio, l’esistenzialismo di Camus, ma anche l’impossibilità del quotidiano ben raffigurata da autori della Trümmerliteratur tedesca come Heinrich Böll e Wolfgang Borchert. Sono personaggi soli e abbandonati a se stessi: pedine immobili che si lasciano trascinare dalla corrente di fronte allo spaesamento di una quotidianità distrutta dalla guerra, di una società da ricostruire. Sono uomini e donne le cui vicende personali si fanno universali, ma che suonano ancora molto attuali
Luca e l’illusione delle promesse
La vicenda di Luca, pertanto, è sì personale – soprattutto se si considerano alcune analogie con l’autore – ma è rappresentativa di tutta una generazione. Luca, infatti, parla sempre di sé come «fosse un uomo qualsiasi, non lui, Luca, come aveva sempre creduto di essere. Un uomo amorfo che per caso aveva lo stesso nome e aveva vissuto le stesse vicende».
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Come tante persone della sua generazione, Luca è pieno di promesse verso un nuovo inizio, che presto vengono deluse. Non servono a niente, infatti, le lettere di raccomandazione che si porta con sé. L’incontro con l’Eccellenza Astorri e con il commendator Episcopo piuttosto che la frequentazione dei salotti aristocratici con Alberto lasciano Luca senza un nulla di fatto, con tante umiliazioni e promesse infrante:
Ritornare… ritornare… vedremo… faremo… se potremo… Luca aveva la testa piena di queste parole. Ma egli stesso in fondo riconosceva che quella gente non aveva tutti i torti. Chi sa quanti come lui premevano e incalzavano, da diverse direzioni, da tutte le città, da tutta Italia. […] Che cosa dunque aveva in mano dopo un mese? Promesse, nient’altro.
«Il destino siamo noi»: l’immobilismo e il superfluo come modo d’essere
Fra i pensieri di Luca si può scorgere una verità universale: la sua è una generazione che vive nell’incertezza del futuro. Cerca di muoversi sperando in un mondo migliore, ma si ritrova con un pugno di mosche e tante promesse illusorie.
Ogni personaggio dei Superflui cerca con le sue azioni di dare una svolta al suo destino, ma resta immobile nello stesso posto, spesso con risvolti tragici. Se Luca, ad esempio, riesce a trovare un posto di lavoro occasionale per poi ricapitolare nell’indifferenza e nell’apatia che lo contraddistinguono, il progetto dell’utopista Luigi di «creare un mondo in cui ci fosse posto per tutti, anche per i piccoli, anche per gli stupidi» è destinato a non realizzarsi mai.
Espressione più tragica, però, dell’essere superfluo è Lidia, la prostituta che abborda il protagonista arrivato a Roma. Sebbene per vivere frequenti molti uomini, la giovane è determinata a inseguire il suo sogno di emigrare in Argentina in cerca di riscatto, e continua a sperare in un anno nuovo, nell’arrivo di un risultato. Le circostanze, però, porteranno Lidia sempre più ad allontanarsi dal sogno dell’Argentina, come l’Eveline dell’omonimo racconto di James Joyce, paralizzata dal suo destino e dall’impossibilità di un mondo migliore, senza via d’uscita:
“Il destino siamo noi”, disse Luca. “È per questo che non possiamo scamparlo. Quando uno è fatto in un modo farà sempre in quel modo. E chi è furbo e svelto agirà sempre da furbo e svelto. Questo è il destino: come siamo fatti dentro; e così non possiamo sfuggirgli”.
«I superflui»: uomini come foglie
A settant’anni dalla sua pubblicazione, I superflui (acquista) di Dante Arfelli è, come scrive Di Fazio, «un capolavoro sulla condizione umana contemporaneo ai ragazzi degli anni quaranta come a quelli di oggi, e che nasceranno». Un romanzo che readerforblind ha sottratto alla polvere e restituito a noi lettori, poiché quello che narra Arfelli risulta ancora attuale: come Luca, Luigi, Lidia e Alberto, anche noi siamo una generazione allo sbando, con tante promesse e un nulla di fatto in mano, che può solo continuare a camminare sospinta dal corso della vita, in attesa di qualcosa che non arriverà mai.
Come le foglie: una generazione appassisce e cade e già un’altra verdeggia. Così da tempi immemorabili, così ancora per altri tempi infiniti. […] A che cosa valeva il passaggio di una generazione se non preparava una vita migliore per la seguente?
Bibliografia:
Maurizio Di Fazio, Dante Arfelli. Il romanzo perfetto, Robinson – La Repubblica, 1 maggio 2021.
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