Abbiamo conosciuto Paolo Giordano come autore di storie d’amore e di amicizia, di romanzi in cui raccontava relazioni complesse e sentimenti contorti: lo faceva con una maestria estranea a molti altri autori, ma muovendosi pur sempre sul terreno di un genere molto tradizionale. Poi è arrivato Tasmania, pubblicato da Einaudi lo scorso ottobre, che sta segnando una nuova stagione della scrittura di Giordano, e che richiede un discorso tutto a sé.
P.G.: un caso di auto-fiction?
Innanzitutto, Tasmania è un libro in cui la Tasmania c’entra pochissimo. L’isola australiana viene menzionata in una sola occasione, come luogo ideale per rifugiarsi e difendersi in caso di catastrofe:
Dove acquisterebbe un terreno, lei? Per salvarsi, intendo.
Io non farei mai una cosa del genere.
Ma se proprio dovesse. In caso di Apocalisse.
Novelli ci ha riflettuto qualche secondo, poi ha detto: In Tasmania. È abbastanza a sud per sottrarsi alle temperature eccessive. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l’uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un’isola, quindi piú facile da difendere. Perché ci sarà da difendersi, mi creda. Sí, ha aggiunto con maggiore convinzione, se fossi costretto a salvarmi, sceglierei la Tasmania.
Evocata in questo senso, la Tasmania diventa piuttosto una chiave di lettura del libro e della ricerca di salvezza – planetaria e personale – che il narratore conduce. E la figura del narratore è fondamentale: parla in prima persona, si firma P.G. e si presenta come uno scrittore, laureato in fisica e professore alla Sissa di Trieste, appassionato di scienza e cambiamento climatico, che collabora con un noto quotidiano nazionale. Una sagoma dietro cui è facilissimo individuare lo stesso Giordano, che sembrerebbe aver intrapreso a sua volta la strada dell’auto-fiction. Poche altre corrispondenze si possono intessere tra personaggio e autore, considerata la nota riservatezza di Giordano sulla propria vita privata: eppure gli indizi sparsi qua e là tra le pagine ci invitano a considerare come personali le confessioni intime del narratore.
Il filone saggistico: tra reportage e indagine scientifica
La struttura del testo è particolare, e non è facile assegnarlo a una categoria di genere. Parti narrative si alternano a brani di non-fiction, ovvero reportage giornalistici e divulgazioni scientifiche – seguendo le altre due anime del narratore, oltre a quella della narrativa – su questioni che stanno a cuore all’autore: principalmente la crisi climatica, la disparità di genere (in ambito accademico, qui), il terrorismo in Occidente e il precariato. L’indagine su questi temi in Tasmania si intreccia con il racconto della crisi del protagonista che, sulla soglia dei quarant’anni, arriva a mettere in dubbio tutto: dal suo matrimonio con una donna più matura, alla paternità mai realizzata biologicamente ma esercitata in qualche modo sul figliastro, alla propria vocazione di scrittore. In particolare il progetto, iniziato e abbandonato a più riprese, di scrivere qualcosa di inedito sulle bombe di Hiroshima e Nagasaki: compito che minaccia di essere difficilissimo e forse inutile, e nonostante ciò il bisogno di portarlo a termine arriva a sfiorare l’ossessione per l’autore.
Ma dal poco che ho intuito, lei sta attraversando una specie di… crisi. Possiamo chiamarla cosí? Nel frattempo lavora a un libro su dei fatti accaduti in Giappone settant’anni fa di cui non interessa piú niente a nessuno. Sono curiosa: qual è il criterio con cui sceglie di cosa scrivere?
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La vulnerabilità umana, messa a nudo e raccontata
Non trovando pace sul piano personale o intellettuale, P.G. si apre all’ascolto di amici ed esperti che possano far chiarezza: è così che si confronta con Novelli, accademico sregolato, esperto di cambiamento climatico, poi con Curzia, giornalista impegnata nelle indagini sul terrorismo, col sacerdote Karol e col suo amico Giulio, due uomini che vivono la sessualità e l’amore in modo particolare. Ognuno di questi personaggi va a toccare corde sensibili del vissuto di P.G., ognuno lo aiuta a comprendere meglio come affrontare la crisi del suo matrimonio e come trovare un equilibrio nella problematizzazione dello statuto dell’intellettuale contemporaneo.
Mi hanno chiesto di scrivere sul ***. Una rubrica sull’ambiente. Folle, no? Non che io abbia molto tempo sinceramente, tra ricerca e lezioni. Ma non mi sembrava giusto sottrarmi. Altrimenti si lascia il campo libero a tutti questi divulgatori improvvisati. E al negazionismo, chiaro. Se c’è una cosa di cui il paese ha bisogno è un minimo di rigore scientifico.
In Tasmania la scrittura di P.G., o di Paolo Giordano, è sincera, vulnerabile. Al di là del capire se si tratti di auto-fiction o di un espediente letterario, colui che dice io mette a nudo le proprie ferite e le proprie mancanze: «tu tratti ancora i tuoi desideri come un ragazzo. Sei concentrato solo su quello che ti manca, costantemente. – E questo è un errore? – Non so se è un errore. Però è un peccato». Così facendo rivolge al lettore una preghiera – sii buono, vacci piano – e un invito a comprendere la moltitudine sfaccettata delle fragilità umane: qualcosa che ci può rendere tutti più simili e vicini e, forse, salvare l’umano in caso di catastrofe globale.
Tasmania, un libro poco armonico: fragilità o scelta consapevole?
Tasmania (acquista) è un grande libro sull’ansia pre-traumatica che percorre i nostri tempi, e su come arginarla grazie a conoscenza scientifica e letteratura. Tuttavia, ha anche qualche punto debole: benché singolarmente i momenti narrativi e quelli saggistici siano ben realizzati, il loro mélange non è del tutto armonico e la lettura risulta affaticata da quest’apposizione di stili e temi tanto diversi. Forse questa struttura è figlia di tempi che si sottraggono a qualsiasi incasellamento, che rifiutano di essere spiegati; forse, invece, è sintomo di quell’irrequietezza di P.G. che non riesce a coniugare la sua anima di romanziere e la passione giornalistica per la ricerca della verità. Chissà se invece quell’elemento comune tra le sue anime alla fine l’ha trovato, e le duecentosettantadue pagine del libro gli sono servite per arrivare a dichiararlo:
[…] mi viene in mente la risposta – semplice, semplicissima – alla domanda di Moon, la risposta che non sono riuscito a darle al ristorante poche ore fa: scrivo di ogni cosa che mi ha fatto piangere.