Storia del chiacchiericcio femminile

«Tutte chiacchiere. Le voci e i silenzi delle donne italiane a fine Ottocento» di Silvia Falcione

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In origine, era la parola. E, a lungo, la parola è stata un monopolio, proprietà esclusiva del genere maschile, fatta eccezione per le sedimentazioni culturali che potevano essere attribuite alle donne. L’atto della nominazione, che al contempo dice e fa esistere, era stato il gesto battesimale che aveva trasmesso ad Adamo il potere sul resto della creazione. Prendere – e dare – parola è, sin da subito, il modo più economico ed efficace per decidere dell’esistenza di qualcosa. La descrizione fa più che riportare il mondo alla mente: gli dà una forma ben precisa, determina la maniera in cui tale mondo verrà percepito dai parlanti.

È per questa ragione che, oggi come centinaia di anni fa, la battaglia del femminismo si gioca anche sul piano semantico. Raccontare il mondo con parole ricalibrate e riconcettualizzate vuol gettare le fondamenta per costruire un mondo diverso. Il primo ed essenziale passo, naturalmente, è quello di conquistare la possibilità di dire.

Nel suo primo libro, pubblicato da 8tto Edizioni, Silvia Falcione racconta come questa presa di parola è avvenuta, in particolare, nell’Italia di fine Ottocento tra Risorgimento, unificazione e costruzione della nuova nazione. Tutte chiacchiere. Le voci e i silenzi delle donne italiane a fine Ottocento, accompagna il lettore attraverso i quattro passi che le donne italiane hanno compiuto uscendo dal silenzio e introducendosi a un mondo, quello dell’editoria, che le aveva da sempre escluse.

Le italiane alzano la voce

È una storia che si ripete un po’ ovunque, declinandosi secondo i costumi e le leggi del tempo: le donne prendono parola. Lo fanno con i mezzi a loro disposizione, e a volte questi mezzi sono fragili, inadatti, insufficienti. Nella genealogia delineata da Falcione, il passaggio determinante è quello dall’oralità alla conquista, finalmente, della scrittura.

Quando le donne iniziano a scrivere si impossessano di un mezzo maschile. Anche quando non sono sovversive nei temi e nel linguaggio – la convenzionalità è il prezzo da pagare per vedersi pubblicate – lo sono con la loro presenza, con la firma che appongono in fondo ai loro articoli. Molte di loro, che scrivono in concomitanza con l’unificazione dell’Italia, sono tutt’altro che fautrici della causa femminista. Alcune, come Matilde Serao e Neera, vi si oppongono con veemenza, utilizzando il privilegio delle proprie voci per solidificare la posizione subalterna della donna. Eppure, anche loro contribuiscono, più o meno intenzionalmente, alla possibilità sempre crescente che le donne possano assumere sempre più autonomia, dentro e fuori l’editoria.

Avviene così che la voce delle donne si faccia sempre più presente, ed entro la fine dell’Ottocento non è più così raro imbattersi in firme femminili nelle principali testate italiane. Questo percorso, lento e difficile, avviene nel racconto di Falcione tramite quattro passi: quello del salotto, quello delle conferenze, quello del giornalismo e, infine, quello della letteratura.

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La signora del salotto

Tutto ha inizio nell’oralità. Bandita da tempo immemore dal discorso scientifico ufficiale e da quello politico, la donna ottocentesca che può permettersi di farlo ritaglia per sé un piccolo regno della parola. Certo, non è una stanza tutta per sé – le manca la possibilità di rendere immortali i propri pensieri – ma, nei salotti che punteggiano l’Italia e buona parte dell’Europa centrale, lei regna sovrana. Relegata al privato, la padrona di casa trova il modo di far entrare il pubblico nella propria casa.

Il salotto è protagonista, ben oltre l’Ottocento, della vita culturale italiana. Risuonano ancora luminose le parole di Fabrizia Ramondino, che in Star di casa (Orizzonte Milton, 2025) dedica una lunga elegia al salotto napoletano. Scenografia drammatica, il salotto rimpianto da Ramondino è un’istituzione la cui scomparsa sembra segnare la fine di un modo di vivere che la modernità spazza via irrimediabilmente.

L’azione tragica che vi era rappresentata era quasi sempre la stessa: l’immolazione di una Figlia o di un Figlio ai supremi interessi della famiglia, del casato o della casa; della storia quindi e della guerra, metaforica – il Collegio, l’Accademia di Livorno, il matrimonio con un buon partito, un lontano e brillante lavoro, la carriera politica, il convento –, o vera. […] Ma, a differenza che nel teatro greco, non recitavano gli uomini, soprattutto invece le donne; e spesso dovevano impersonare ruoli maschili essendo defunti, lontani, inetti o impediti, i mariti, i padri, i fratelli.

Dominati quasi sempre da donne, le padrone di casa che avevano diritto alla guida della conversazione, i salotti sono, all’apparenza, dei luoghi in cui il chiacchiericcio si fa così fitto da rendere improbabile la coerenza del pensiero. Nessun argomento ne è bandito ma, soprattutto, ogni evento apparentemente insignificante diventa il pretesto per discutere la complessità storica e politica dell’attualità. Scrive Falcione che «[d]i fatto, attraverso la chiacchiera nei salotti la società costruiva l’opinione nazionale».

Le chiacchiere, diametralmente opposte al discorso scientifico e accademico, ormai apparentemente inoffensive, diventano lo strumento che la donna ha a disposizione per acculturarsi. Il gossip, come è stato notato dagli uomini sin da subito, diventa un’arma nella battaglia dell’indipendenza femminile.

Excursus: com’è che solo le donne fanno gossip?

In Caccia alle streghe, guerra alle donne, testo che riprende le fila del discorso iniziato con Calibano e la strega, Silvia Federici dedica un capitolo alla genealogia del gossip. Inizialmente utilizzata per indicare il padrino o la madrina in un battesimo, la parola assume un significato più ampio con gli inizi dell’Inghilterra moderna. Dapprima si riferisce alle persone presenti al parto, poi indica le amiche, ma non è subito un termine dispregiativo.

Le cose cambiano quando le donne vengono accusate di condurre una vita separata in compagnia delle loro amiche, che le distolgono dai loro doveri e dai costumi appropriati. Il tempo lontano dal focolare, passato in compagnia delle altre, è potenzialmente sovversivo. Gli uomini ne sono esclusi, e non può essere un buon segno. Se ne canta già nel XV secolo, in Inghilterra e in Francia, in concomitanza con l’inizio dell’erosione del potere sociale che le donne avevano detenuto fino a quel momento.

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Allontanate dalle arti, le donne e le loro chiacchiere vengono demonizzate. Le amicizie tra donne diventano sospette, ogni scambio di sguardi è l’inizio di una congiura. Nel 1567, in Scozia, si ha la prima testimonianza della mordacchia, lo strumento di tortura che veniva utilizzato su «scocciatrici, bisbetiche o ribelli, nonché sospettate di stregoneria». Le loro bocche vengono letteralmente chiuse, sigillate. Spesso, la mordacchia prende il nome di gossip bridle, letteralmente “briglia del pettegolezzo”.

Tutto quello che dalle bocche delle donne riesce effettivamente ad uscire, verrà tacciato come chiacchiera, superficiale ed eccessivamente emotiva. La contraddizione è evidente: le parole scambiate tra i membri del gentil sesso sono al contempo pericolose e frivole, sovversive e ridicole. Il risultato di questa condanna, però, rimane invariato. L’enormità di conoscenze che le donne hanno accumulato nei secoli verrà respinta nel silenzio, esiliata al di fuori del discorso scientifico e scritto.

Due gigantesse di fine Ottocento

Dal sottofondo rumoroso ed eccentrico che caratterizza i salotti, emergono e si stagliano talvolta delle figure che lasciano il segno. Silvia Falcione è in particolare affascinata da due gigantesse del periodo che porta da un secolo all’altro: la Contessa Lara e la Marchesa Colombi. Saranno loro, fra le altre, a trainare il cambiamento, trascinando le donne fuori dall’oralità e nella parola scritta negli ultimi decenni dell’Ottocento.

L’una, Evelina Cattermole, avida frequentatrice di salotti da cui verrà estromessa dopo essersi macchiata di adulterio, ricostruisce la sua reputazione assumendo un nuovo nome, quello di Contessa Lara. Diventa tra le prime donne in Italia a vedere pubblicate le sue novelle, riguadagnandosi il ritorno nella società dei salotti con i propri sforzi, le proprie parole. (Salvo, poi, essere uccisa dal suo amante alle soglie del XX secolo).

L’altra, Maria Antonietta Torriani, lavora al fianco della femminista Anna Maria Mozzoni. Con lei tiene conferenze e insegna a Milano, prima di incontrare l’uomo che sposerà e con cui fonderà, nel 1875, il Corriere della Sera. Nello stesso anno, inizia ad usare lo pseudonimo di Marchesa Colombi e, di lì a poco, inizia a scrivere per la rivista “La donna“, finendo per scontrarsi, nel 1876, con Neera sulla questione delle donne lavoratrici.

Come le altre, anche loro si dovranno rassegnare a vedersi pubblicate solo come autrici di bassa lega o giornaliste di rubriche frivole su temi come la moda o il galateo. A queste e ad altre donne verrà assegnato il compito, dopo l’Unità, di asservire le loro penne all’educazione e all’acculturazione, tramite le madri di famiglia, del nuovo popolo italiano.

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Nascoste in prima pagina

Sospinte dalle rubriche di moda a quelle dedicate alla pedagogia, le autrici a cavallo tra un secolo e l’altro troveranno comunque il modo di lasciare il segno, strizzando l’occhio alle lettrici con un’ironia che risuona, forse, solo alle orecchie di un pubblico esclusivamente femminile. Nel 1881, nella sua rubrica femminile sul Corriere della Sera che aveva contribuito a fondare, la Marchesa Colombi rassicura le sue lettrici:

Scusino, signore lettrici: non vorrei essere indiscreta […] ma a me possono parlare con sicurezza perché siamo vecchie amiche, e sanno che le loro confidenze rimarranno sepolte nel segreto del “Corriere della sera”.

Se, ancora una volta, la voce delle donne è stata spinta in un angolo, tanto vale utilizzare la propria invisibilità sociale per scambiarsi uno sguardo d’intesa. Ancora una volta, l’etichetta di gossip finisce per tornare utile: gli uomini non baderanno alle rubriche che, scritte da donne, non possono che essere dedicate ad altre donne. Perché dovrebbero?

In Tutte chiacchiere (acquista) Silvia Falcione racconta con dedizione questo gioco di sguardi che si consuma tra le pagine di giornale, i movimenti sotterranei che porteranno le donne dal silenzio al mondo dell’editoria. Anche i romanzi rosa, svalutati ancora una volta per una frivolezza e un sentimentalismo troppo femminili, rappresentano una conquista incommensurabile, poiché per la prima volta sono le donne a raccontarsi. Lo fanno, è vero, raccontando storie d’amore, eppure tra le righe si legge molto di più: la loro sofferenza esistenziale, mascherata dietro a merletti e sospiri, si comunica tra le scrittrici e le lettrici. Si dicono, l’un l’altra, esistiamo.

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Maia Tomasella

Classe 1999, laureata in Scienze Filosofiche, provo a conciliare il mio amore per la filosofia con quello per la letteratura. Sottolineo i libri con la penna e parlo troppo, di solito con i gatti.

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