L’esperienza dell’io nell’era digitale

«TLC» di Federica Defendenti

15 minuti di lettura
TLC

In tempi dove l’intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede, per la letteratura è sempre più necessario confrontarsi con queste nuove tecnologie non soltanto a livello creativo ma anche a livello di percezione della realtà. Con queste nuove tecnologie, infatti, la sfida più grande per l’io è diventata quella di riuscire a mantenere contatto con ciò che lo circonda senza farsi sopraffare dalle nuove tecnologie e dalle illusioni che creano, ma soprattutto cercare di far sopravvivere le tracce della propria esistenza sapendo come l’accelerazione digitale ci condanni facilmente all’oblio.

Già la poesia qualche tempo fa aveva provato a condurre queste riflessioni. Esempio recente è stato Fly Mode di Bernardo Pacini (Amos Edizioni), dove attraverso la figura di un drone il poeta toscano si immagina un contesto tecnologizzato dove l’essere umano non ha più voce in capitolo in una realtà confusionaria e frammentata che non sa più mettere assieme delegando il tutto all’immagine, alla riproduzione tecnica della realtà. Ultimamente, anche Federica Defendenti ha provato a riflettere sull’io nell’era digitale con la sua raccolta di debutto TLC, terzo titolo della collana “Obtortocollo” di Industria & Letteratura.

Le poesie di «TLC»

TLC si apre fin da subito con un contesto chiaro e preciso: quello della «furia delle immagini». Ci troviamo di fronte a una realtà fortemente mediata dal digitale che registra, per esempio, una persona cara all’io in «un video in verticale di nascosto al civico/mentre sale le scale con la camicia in lino che svolazza» e altre immagini appartenenti all’io scattate «per dire dove stava». L’io lirico comunica con il proprio interlocutore attraverso immagini che documentano eccessivamente la propria vita senza lasciare spazio alle emozioni che il vivere suscita in noi.

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La realtà che Defendenti ci illustra è una realtà dove l’io e il suo interlocutore non hanno il coraggio e la voglia di «levarsi lo schermo adesso» e quindi di «guardarsi in faccia». Tutto della loro vita e del loro rapporto è stato tecnologizzato, sostituito da immagini che non si possono più cambiare né arricchire con le proprie sensazioni ed emozioni, che si susseguono velocemente con il rischio di non lasciare nulla. L’io lirico, allora, deve cercare di fare l’impossibile, ovvero mantenere una parvenza di autenticità e contatto con chi la circonda prima che l’oblio delle immagini non lasci più nulla da rivivere e ricordare.

Il doppio significato del titolo «TLC» fra assenza ed essenza

Non per niente si è citato, dunque, Bernardo Pacini, in quanto nel suo Fly Mode si possono trovare riflessioni che Federica Denfendenti porta avanti anche in TLC. Per capire meglio questo parallelismo ci si concentrerà su qualche verso di Pacini. In Pilota remoto, ad esempio, l’autore ci racconta la difficoltà dell’interlocutore dell’io di avvicinarsi a persone e luoghi reali attraverso immagini captate da Google Street View:

Mentre montano stuoie e tappeti sulla iurta
guardi in faccia i loro volti sfumati per la privacy
– immagino che nel buio della stanza tu gli chieda informazioni
Si sta bene qui? C’è un buon clima? Si può essere felici
senza esserci mai stati? Essere felici senza esserci mai.

Punto in comune fra Pacini e Defendenti è cercare di comprendere se sia possibile «essere felici senza esserci mai»: il fatto di vedere e inglobare tutto attraverso le immagini non fa altro che creare dei fantasmi dell’io che in realtà non fa un’esperienza reale di ciò che vede e conosce, ed è dunque condannato a vivere un’esperienza alienante ed estraniante con la realtà. Tuttavia, sempre secondo Pacini la «pietà virtuale dello sguardo/che quanto più registra tanto meno guarda» ci permette comunque di fare esperienza di una realtà altra, che sebbene sia una riproduzione di quella originale è trascendenza e ci permette comunque di fare esperienza di ciò che viviamo e abbiamo vissuto.

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È in questo senso, allora, che è da interpretare il titolo della raccolta di Defendenti, che si può interpretare in due modi, che sono anche i titoli delle due sezioni della raccolta: “TLC” sta infatti per Triple-level cell – sistema di memoria multilivello che immagazzina tre bit di informazioni per cella di memoria – e per Technology life cycle. Da un lato, dunque, abbiamo il disperato tentativo di salvare le immagini che fanno parte della nostra esistenza e dall’altro quello di riuscire a vivere al di fuori di esse, soprattutto se per il ciclo vitale della tecnologia l’obsolescenza è inevitabile.

L’io e la memoria digitale

Nella prima sezione della raccolta intitolata Triple-level cell, l’io lirico ci racconta questo aspetto spettrale della sua presenza e di quella del suo interlocutore nelle immagini. In Telecronaca, infatti, dopo un breve excursus sulla partita della vittoria dell’Italia degli Europei mediata da immagini di videosorveglianza, l’io racconta come la sua percezione del suo interlocutore sia tanto evanescente quanto quella della partita:

vorrei proiettarti sulla parete bianca
vederti in realtà aumentata,
ma resti off-screen, come t’immagino.
occhio appagato sì ma resta l’ellissi tattile, uditiva.
neanche la tua voce è tua in un messaggio vocale
pure registrata con quell’app dolby sound
per una risoluzione lossless hi-fi premium stile.
da audiofilo le cuffie over-ear;
a ogni videochat allargo lo schermo.
cercando l’uno a uno sembra di averti qui mento

L’io sa perfettamente che avere dell’immagini del suo interlocutore non è la stessa cosa che averlo accanto: non lo può sentire, non lo può toccare, dunque non lo può percepire, ma allo stesso tempo non gli può parlare. Fatto interessante, inoltre, è come l’io osservi che le chiacchiere «si chiudano in ellissi di un secondo». Tutto ciò che si comunicano è destinato a sparire, in quanto, se l’immagine dell’io e del suo interlocutore non esiste, non esiste nemmeno quello che hanno vissuto assieme e nemmeno quello che comunicano, al punto che «i segni che cerchiamo sono un alfabeto/in dingbats non si capisce niente».

A chiudere questa sezione sono, dunque, delle immagini introdotte da una barra di ricerca con su scritto «come smettere di avere un sogno ricorrente», in quanto l’evanescenza delle immagini digitali rende ciò che viviamo simile a sogni destinati a durare un attimo effimero e a sparire senza lasciare niente di concreto. In questo ultimo capitolo della prima sezione vi sono immagini di fotografie – appartenenti all’autrice o forse no – e di pop-up da desktop dove emerge la totale incapacità di comunicare e di ricordare a causa di immagini che rendono al realtà frammentaria e impossibile da decifrare, sopratutto se lasciano tracce fantasma della propria esistenza impossibili da percepire.

Delegare la vita al digitale

Detto ciò, si approda allora alla seconda sezione della raccolta, quella che ci dà una risposta a tutto ciò che ci sembra impossibile da percepire e vivere a causa dell’imminente oblio a cui certe immagini online sono destinate. In lobo frontale, per esempio, l’io sembra darci una chiave di lettura di quanto abbiamo visto finora nel momento in cui ci dice come abbiamo ormai delegato ogni approccio alla realtà all’algoritmo e alle app:

dimmi cosa fare cosa devo fare
la prossima mossa magari
per portare avanti la conversazione,
metterci un cuore un’altra emoji intima tipo un broccolo
classificare i tuoi pattern di gesti, scandagliare questi strani istinti
con google lens

L’inautenticità dell’esistenza è dovuta, quindi, a un’eccessiva tecnologizzazione della nostra vita, da Google Lens che scansiona i nostri gesti e movimenti ai motori di ricerca, per esempio, che ci diagnosticano una miopia perché non possiamo permetterci una visita oculistica. L’io si trova in una situazione dove, come recita in Complete Control, non ha nemmeno la forza di risolvere determinati problemi e, per semplificare il tutto, si affida alla tecnologia al punto da restare sopraffatta da essa, che a sua volta la rende incapace di agire e di parlare di fronte ai problemi della vita quotidiana:

abbiamo un bel problema e niente idee
per risolverlo
anche se nel CV scrivevamo problem solving
multitasking e così via per darci un tono.
forse la soluzione è semplificare
al massimo grado fino a perdere
come adesso l’uso della parola
giocare tutta la partita a fare
il mimo, fingerci in complete control

Vivere da zombie digitali

Qui in questi versi si trova la risposta a quanto abbiamo letto finora. Delegando tutto al digitale, l’io non solo non possiede più ricordi del passato, ma si rende conto di essere diventato uno «zombie digitale» che vive come parte di una tecnologia «già nata morta un passato illeggibile dei floppy disk». La consapevolezza a cui si arriva, dunque, è quella di una vita in cui, una volta che arriva la morte, nulla resta se non delle tracce indecifrabili in file impossibili da aprire, poiché la tecnologia ci ha impedito di procurarci i mezzi per sopravvivere anche oltre l’oblio digitale.

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Arrivati a questo punto, l’io si deve rassegnare ad accettare di essere un fantasma passato e presente che si manifesta in immagini che sono riproduzioni della realtà e che, sebbene non trasmettano le stesse sensazioni di quest’ultima, sono comunque alla base di un nuovo modo di vivere la realtà. Come aveva teorizzato Pacini in Fly Mode, l’io lirico di Defendenti deve accettare di vivere la realtà in modo evanescente, cercando di immaginare sensazioni che non saranno mai autentiche, ma che ci servono per continuare a vivere.

Residui di una tecnologia già nata morta

Riprendendo quanto affrontato da Pacini, a conclusione di questo articolo si può dire che TLC (acquista) sia riuscito a trovare un modo di «essere felici senza esserci mai». Questa soluzione non è altro che la rassegnazione a vivere in una realtà tecnologicamente mediata che si mostra più effimera di quella in carne e ossa, dove l’accelerazione dell’online condanna facilmente i nostri ricordi all’oblio e dunque a non avere più un passato. Dopo aver riprodotto immagini effimere della realtà in un ciclo continuo di cancellazione e riproduzione, l’io deve allora essere in grado non solo di registrare la realtà, ma anche di guardarla, cercare il più possibile di catturarne l’essenza e, anche se mediata da immagini, viverla come fosse quella vera.

siamo un errore, non so in quale processo
avvenuto scrivi
dentro il codice javascript che ci dispieghi il mondo.
io scorro l’interfaccia, il sito fa acqua da tutte le parti,
bugga. ci era stato promesso
un po’ diverso (il milione
investito nella Creazione non basta).
sperduti nell’esperienza utente,
una fuga disperata a un’altra pagina ma è not found;
dio è un programmatore poco skillato lo vediamo
subito, l’abbiamo smascherato ma ormai

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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