«Urla sempre, primavera»: il sogno di una rivoluzione possibile

Un'opera mondo che illustra i sogni e le possibilità della rivoluzione

14 minuti di lettura
Urla sempre, primavera

«Ed attraverso / le mie labbra sii tu per la dormiente / terra la tromba d’una profezia! / O vento, se l’inverno sta arrivando, / potrà la primavera essere lontana?». Così finiva una delle poesie più belle della letteratura mondiale, Ode al vento occidentale di Percy Bysshe Shelley. Il componimento del poeta inglese è un inno ai sogni di rivoluzione, un augurio a rinnovare il mondo.

Un libro che nutre gli stessi sogni di rivoluzione è Urla sempre, primavera, che il genovese Michele Vaccari ha pubblicato ad aprile 2021 per i tipi di NN Editore. L’autore, noto soprattutto come editor, ha scritto un romanzo poderoso che mescola passato, presente e futuro per ragionare sulle possibilità e le speranze della rivoluzione.

La trama di «Urla sempre, primavera»

Urla sempre, primavera narra il 1943, il 2001, il 2022, il 2043. Si confronta con eventi realmente accaduti come la Resistenza e il G8 di Genova; immagina anche avvenimenti di un futuro ucronico come la tragedia di Piazza Duomo a Milano nel 2019 (quest’ultimo un collegamento con il precedente romanzo Un marito, edito Rizzoli, 2018). A governare l’Italia – ora Metropoli, la cui capitale è diventata Genova – un’oligarchia di anziani. La Venerata Gherusia, questo il suo nome, ha eliminato la scienza, l’istruzione, gli animali, e dopo aver bandito la procreazione si appresta a estinguere l’umanità attraverso un referendum.

I protagonisti sono: Zelinda e suo marito Guido; il commissario Giuliani, che cerca di fuggire da una colpa del passato; il vecchio partigiano queer Spartaco ed Egle. Quest’ultima è l’unica sopravvissuta di un’umanità sull’orlo della fine, colei che porta la cicatrice della rivoluzione, il fuoco del sogno da alimentare affinché non si estingua per sempre.

Leggi anche:
«Lezioni da un secolo di vita» di Edgar Morin

Le loro vicende sono narrate in libri, una suddivisione che ricorda quella della Bibbia, e che fa di Urla sempre, primavera un “Testamento” passato, presente e futuro della rivoluzione, dei suoi fallimenti, degli ideali che l’hanno alimentata e degli uomini e delle donne che l’hanno seguita:

Se ho un destino, lo sto scrivendo oggi per la me di domani. Se ho un destino, non ci sarà niente di leggendario, perché questo è lo scopo. Che diventi tutto vero ciò che finora abbiamo solo sognato. Il mito è solo mito finché non rinasce la lotta.

«Urla sempre, primavera»: un’opera mondo sulla rivoluzione possibile

Definire Urla sempre, primavera è qualcosa di veramente difficile. Lo si può definire sicuramente un’opera slipstream, che contiene in sé molti generi letterari. È una distopia, ma il mondo raccontato nella sua irrealtà è molto simile al nostro. Può essere considerata un’ucronia, ma si confronta anche con fatti storici realmente accaduti. È un romanzo che raffigura il disastro ambientale, lo specismo ma anche le questioni di genere. Michele Vaccari unisce tutto questo per creare un’opera mondo in cui ragiona sulle possibilità della rivoluzione, sulle logiche del potere e sulle forze dei sogni e degli ideali.

La riflessione di Vaccari coinvolge passato, presente e futuro. Il filone narrativo di Egle è ambientato l’8 settembre di un ipotetico 2043, cent’anni dopo l’armistizio dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Questo evento non solo sancì l’inizio della Resistenza, ma anche quella che Salvatore Satta (1902 – 1975) in De profundis (1948) definì «la morte della patria». Questa espressione indica la fine di quei valori collettivi che avevano sotteso il Risorgimento. Nel romanzo di Vaccari, però, indica la fine delle utopie rivoluzionarie di cui continuiamo a nutrire sogni e possibilità sventate dall’individualismo dei più.

L’autore crea un continuum temporale che giunge al futuro, in quanto la rivoluzione è una lotta senza fine, dove ogni storia si fa sempre contemporanea e attuale, la già citata morte della patria è qualcosa di perpetuo alimentato dall’egoismo e dall’individualismo dei più, ma i sogni e gli ideali passano di generazione in generazione.

Genova e la Venerata Gherusia

La storia di Urla sempre, primavera non è ambientata in una città qualunque, ma a Genova. Non è un caso che Vaccari abbia scelto di ambientare il suo romanzo nella città ligure. Genova non solo è la città natale dell’autore, ma anche, come afferma Carlo, il padre del commissario Giuliani:

La mia Genova, quella che avevo conosciuto, quella in cui dieci minuti sei al mare a tuffarti dagli scogli, la medaglia d’oro della Resistenza, era un simbolo, un forte da conquistare, per la destra un monumento da abbattere, la prima città a liberarsi da sola dai nazisti, a costringerli a firmare un accordo coi partigiani. Dovevano farcela pagare, anche dopo quel 1960 che non gli è mai andato giù. Forse non te lo ricordi perché i giornali non ci si sono soffermati troppo sopra dato che, nei fatti, non ci sono stati morti ma questa è stata l’ultima città italiana a essere stata costretta a rivivere gli orrori della guerra. Il G8 è stato una vendetta. Le strade a ferro e fuoco, le donne picchiate ovunque, aggredite per prime, massacrati a caso i pacifisti, gli ecologisti, gli indifesi, gli sfigati, i deboli.

Leggi anche:
«Vita Nostra»: tra fantasy, formazione e filosofia

È significativo come a pronunciare queste parole sia proprio questo personaggio. Carlo Giuliani nella realtà è il manifestante morto durante gli scontri del G8 di Genova in piazza Alimonda il 20 luglio 2001. Genova è centro focale di ogni tipo di rivoluzione e ribellione soffocata nel sangue, ma che prosegue nel futuro: quello di un’Italia ora chiamata Metropoli, governata dal «populismo geriatrico» della Venerata Gherusia, capace di creare un mondo che ricorda distopie come Il racconto dell’ancella, 1984 e i romanzi Nina dei lupi e Pietra nera di Alessandro Bertante.

Elementi come la Lingua Nuda, un idioma di impronta orwelliana che mescola storpiandoli dialetto genovese, lingua inglese e spagnola e linguaggio internettiano, una «lingua pura, niente parole faziose, niente regole da professoroni, parla come ti viene», la messa al bando della procreazione, il razzismo specista verso gli animali come «nuovo crogiuolo per l’odio comune, come se, così facendo, l’uomo potesse scagionarsi dalle proprie, fatali lacune», la presenza della Milizia, una «psicopolizia di Orwell che diventa realtà» e il “mentegiornale” sono aspetti tipici di ogni distopia che si rispetti attraverso cui la Venerata Gherusia cerca di soffocare tutto ciò che di umano e di rivoluzionario è rimasto nella mente delle persone.

Le responsabilità dei singoli

La primavera promessa dalla Venerata Gherusia è, dunque, una devoluzione. I Venerati fanno sprofondare Metropoli in uno stato atavico e primordiale, dove non c’è rinnovamento, ma invecchiamento e regressione. Dopotutto, «Rivoluzione è soltanto un altro modo per chiamare il fallimento», sostiene il commissario Giuliani a Zelinda in sogno.

Se una rivoluzione fallisce, infatti, è per il convergere di interessi molto diversi fra loro. In questo senso è significativo non solo il senso di colpa del commissario Giuliani, che per paura ha commesso un gesto che l’ha portato ad abbracciare un sistema di cui ora non vorrebbe più far parte, ma anche quello che viene narrato nel Libro nero, quello dedicato a Spartaco, padre di Zelinda e nonno di Egle.

Partigiano queer, ha combattuto la Resistenza e negli anni Settanta è stato protagonista dei movimenti della sinistra extraparlamentare. Ben presto, però, Spartaco si rende conto che l’individualismo e l’interesse di pochi prevale sulla collettività, soprattutto per l’esclusione delle minoranze di cui lui fa parte. «Altro che condividere la rivoluzione,» afferma, «compagni insieme, vi daremo una mano. Solito individualismo da collettivismo di maniera».

Egle: sogno di rivoluzione mai sopito

Tuttavia, Spartaco ripone ancora speranza nella rivoluzione. Come recita l’esergo del Libro verde tratto dal Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, l’importante è «che ne restasse uno». L’uomo ha il potere di comunicare attraverso la telepatia, e trasmette il sogno della rivoluzione a sua nipote Egle. Quest’ultima ha il potere di far sì che i sogni si realizzano, di evitare che il Presidente della Repubblica porti a compimento l’estinzione dell’umanità.

Leggi anche:
«Solenoide»: l’iper-romanzo fiume di Mircea Cărtărescu

Come recita il suo nome greco Αἴγλη (Àiglē), la protagonista è “fulgida”, “splendente”: colei che porta il fuoco, destinata a portare avanti la speranza della rivoluzione:

[…] è il mondo che verrà il tuo presente, così che diventi il presente di tutti. Solo tu puoi farlo, Egle: diventa il tuo nome, splendore, perché questo è il potere del tuo potere: illuminare l’immaginario di tutti, spostare il punto di vista, trovare altri come te, far risorgere il tempo in cui sognare era dare carte alla realtà.

A Egle, «Piccola Luce» come la chiama Zelinda, spetta il compito di costituire una nuova utopia fondativa con gli Animali rimasti in vita, e soprattutto con gli Orfani, fra cui Ermes, gli unici che non sono stati coinvolti dal «populismo geriatrico» dei Venerati. La protagonista deve alimentare il fuoco della rivoluzione e creare un linguaggio comune; «le guerre», scrive Vaccari, «si vincono solo se i tuoi problemi parlano la lingua di chiunque». La giovane combatterà fino alla fine per portare il fuoco, la verità assoluta: abbiamo bisogno dei sogni di rivoluzione, perché sono questi a renderci umani.

«Urla sempre, primavera»: alimentare il fuoco della rivoluzione

Urla sempre, primavera (acquista) è un romanzo sulle rivoluzioni possibili. Su chi continua a nutrire i propri sogni e ideali per tenersi in vita, perché crede ancora nella speranza di poter cambiare il mondo. Le rivoluzioni solitamente falliscono per il prevalere degli interessi dei singoli su quelli della collettività, ma quella che vincerà sempre è quella del sogno. Spartaco, Zelinda, Egle: tre declinazioni diverse del sogno, di un’umanità che continua a combattere, a portare il fuoco dell’umanità.

Ho scoperto col tempo che i sogni di ognuno, in realtà, convivono in un grande universo comune. È una landa ipotetica, un riferimento, uguale per tutti, come una Terra promessa, che ogni volta che ci addormentiamo compare nelle nostre teste, una realtà parallela, di cui chiunque vede solo lo spicchio che lo riguarda. Noi no, noi possiamo avere una panoramica, basta esercitarsi. Assimilare questo concetto, fu come imparare a convivere coi fantasmi. Ma ero morto anch’io.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.